Il
libro è una sintesi della storia del brigantaggio, dagli inizi della presenza
dell’uomo sulla terra agli anni prossimi al 1870, che segnano convenzionalmente
la fine del grande brigantaggio postunitario. Libro utile per uno sguardo
d’insieme sul fenomeno che, con alti e bassi, è sempre esistito. Man mano che
ci si avvicina ai nostri tempi si parla sempre più dei briganti di Basilicata.
Quando l’uomo, da raccoglitore diventa
cacciatore, imita il comportamento degli animali predatori. Si passa dal lupo
(simbolo della forza), alla volpe (simbolo dell’astuzia), al cane (amico
dell’uomo pastore-allevatore e nemico dei razziatori-briganti). I briganti
però, pur imitando principalmente i primi due animali, nel corso della storia
verranno a distinguersi dalle altre tipologie di fuorilegge acquisendo “tratti
di relativa nobiltà”. I briganti infatti saranno gli unici a “scrivere e
possedere una storia”. Essi «sono riusciti a rappresentare frammenti di storia,
anche per periodi non brevi, di una certa importanza e qualità, imponendosi per
coraggio e fierezza, nella consapevolezza di appartenere ad una categoria
sociale non irriverente e bastarda, ma figlia e simbolo di tradizioni
antichissime, se non, in alcuni casi, addirittura nobili».
Anche i briganti avevano le proprie
divinità protettrici. Nel mondo greco si tratta dell’eterno adolescente Hermes e di Autolico, che possiede il potere magico di far sparire gli oggetti
rubati e cambiare la forma degli animali che ha razziato. Presso i Romani
abbiamo due figure femminili: Laverna,
patrona anche della notte e dell’oltretomba, e Furina, preposta principalmente alle fonti ed alle acque.
Si dà del brigante a chi si comporta con
modi spavaldi, ma anche in un certo senso affascinanti, mitizzando il
personaggio fino ad indicare colui “che
ruba al ricco per dare al povero”. Il brigante spartisce in modo equo il
frutto di grassazioni e ricatti, mantiene la parola data, assolve ai debiti,
rispetta il capo e i suoi manutengoli ed amici, ma se tradisce viene eliminato.
Può conseguire onori e ricchezze, e talvolta diventare famoso.
Il brigantaggio può non essere molto
distante da altre categorie sociali, anche da quelle considerate più alte, cui
spesso furono contigue, se non proprio organiche. Non sarebbe possibile infatti
scrivere una storia di semplici ladri o di assassini, se si fosse trattato
soltanto di individui isolati, privi di consenso sul territorio.
Il brigante fa giustizia dei torti, prende
al ricco e aiuta il povero, non uccide se non per autodifesa o per giusta
vendetta, non si distacca mai completamente dalla sua comunità, non è nemico
del re, è amato e appoggiato dai suoi compaesani.
Assai viva rimane ancora oggi la memoria
dei briganti nelle comunità che li hanno espressi. Pennacchia cita vari esempi
di questa memoria; tra essi le iniziative che svolgono a Villa Castelli in
provincia di Brindisi, organizzate dall’associazione “Settimana dei Briganti -
l’altra storia” che presiedo.
Nel libro vengono descritte le gesta di
briganti famosi che vanno dal periodo romano all’età moderna (Felix Bulla,
Angelo del Duca detto Angiolillo); del periodo napoleonico: repubblica
napoletana (Gerardo Curcio detto Sciarpa, Luca Scocozza), regno di Giuseppe
Bonaparte (Nicola Abalsamo detto Pagnotta), regno di Gioacchino Murat (Rocco
Buonuomo detto Scozzettino, Domenico Rizzi detto Taccone, Pasquale Lisanti
detto Quagliarella). Nelle bande non mancavano ecclesiastici e borghesi.
Nel periodo murattiano viene scatenata una
repressione spietata ad opera del generale Manhès, consistente essenzialmente
nel far troncare alle radici, con la forza, ogni forma di connivenza tra
popolazioni e briganti.
L’ultima parte del libro (circa un terzo)
parla del periodo dell’Italia unita, che inizia il 1860. Protagonista assoluto
è Carmine Crocco, che coordinava una grande massa di uomini, suddivisi in molte
bande, ognuna delle quali aveva una zona di operazione e un capo; le bande più
grandi erano composte da qualche centinaia di uomini. Fra questi capibanda
abbiamo Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco, Giovanni Fortunato detto
Coppa, Vito Vincenzo Di Gianni detto Tòtaro, Donato Tortora, Giuseppe Caruso
detto Zi’ Peppe, che poi tradirà Crocco.
Sulla falsariga di molti scrittori su
Crocco, anche Pennacchia riporta come vero cognome Donatelli e come soprannome
Crocco. Dal certificato di nascita invece il vero cognome di famiglia risulta
essere Crocco.
Le operazioni più grandi guidate da Crocco
si svolsero a Ripacandida, Venosa, Melfi, Rionero e nell’Alta Irpinia.
Tra Crocco e Borges, mandato nell’ex Regno
delle Due Sicilie per fornire una direzione militare ed un chiaro indirizzo
legittimista alla spontanea rivolta contadina guidata dai briganti, sorsero
contrasti insanabili, che spinsero quest’ultimo ad abbandonare la Basilicata
nel tentativo di raggiungere Roma. Ma Borges venne raggiunto dai piemontesi e
fucilato a Tagliacozzo.
La “legge Pica” diede inizio ufficialmente
da parte piemontese alla legislazione eccezionale, che istituì i tribunali
militari, le giunte provinciali per l’invio al domicilio coatto,
l’autorizzazione a proclamare lo stato d’assedio. Questo provvedimento diede il
colpo di grazia al movimento di ribellione.
Crocco,
dopo altri scontri con l’esercito piemontese, si costituì nell’agosto del 1864
nello Stato Pontificio e fu messo in carcere a Roma. Dopo l’annessione del 20
settembre 1870 dello Stato Pontificio al regno piemontese, Crocco fu trasferito
in varie carceri italiane, finché nel 1872 fu processato a Potenza. Condannato
al carcere a vita morì nel carcere di Portoferraio nell’isola d’Elba il 18
giugno 1905.
Crocco dettò le sue memorie, al capitano
medico Eugenio Massa, che furono pubblicate nel 1903.
Le ultime pagine del libro di Pennacchia sono
dedicate alle brigantesse, che seguivano a vario titolo i briganti uomini. Fra
esse abbiamo Maria Rosa Marinelli, Maria Giovanna Tito, Maria Lucia Dinella,
Filomena Cianciarulo, Giuseppina Vitale, Arcangela Cotugno, Elisabetta
Blasucci, Mariateresa e Serafina Ciminelli, Angela Maria Consiglio, Maria
Domenica Piturro.
Giuseppe Pennacchia, Brigantaggio in Basilicata, Edizioni
Odisseo, Itri 2007, pp. 168
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