Chi
si interessa di brigantaggio postunitario dovrebbe leggere questo romanzo di
Claudio Conti, ottenendone grande giovamento nel comprendere l’ambiente
culturale e sociale nel quale quel fenomeno è nato e si è sviluppato.
Claudio Conti, nato a Roma nel 1939, che ha
prima insegnato matematica nell’università e successivamente da dirigente ha
lavorato in Inghilterra e negli Stati Uniti, è arrivato alla narrativa in tarda
età. A questo romanzo, che ha come sfondo il brigantaggio meridionale, ha
lavorato in pratica tutta la vita, partendo dai racconti su di un suo bisnonno
fatti dal padre ed entrati a far parte delle fantasie della sua infanzia. Pur
essendo vissuto quasi sempre al nord, si è sempre sentito nell’animo, come lui
stesso scrive nella introduzione, un “mediterraneo”, un uomo del Mezzogiorno
intimamente legato ai valori di quella cultura. Sulla guerra civile che
insanguinò la proclamazione del Regno d’Italia si è documentato nel corso di
lunghi anni, giungendo alla conclusione che le attuali contraddizioni che
affliggono la vita politica e sociale del Mezzogiorno sono l’effetto degli
eventi tragici e cruciali di quegli anni.
Il tema del brigantaggio meridionale non
viene trattato dal punto di vista dei briganti e del mondo contadino, ma da
quello dei cosiddetti galantuomini, grandi proprietari terrieri e allevatori,
che con il loro patto con l’amministrazione piemontese hanno contrassegnato la
nascita della cosiddetta Unità d’Italia. Il protagonista del romanzo però, pur
appartenendo a quest’ultima categoria, attraverso un complesso percorso di
maturazione intellettuale e morale, si sente più vicino alla classe dei poveri
contadini che non a quella dei galantuomini e abbandona la carriera militare
per abbracciare quella dell’artista pittore.
Un romanzo e quindi un libero esercizio
della fantasia dell’autore. A Irsina non è accaduto nella realtà nulla di
simile a quello descritto nel libro e Lombroso ha svolto la sua attività di
medico militare in Calabria e non a Melfi.
Il protagonista Gaetano, rimasto orfano (la
madre era morta nel darlo alla luce, il padre morì qualche anno dopo) fu
adottato da uno zio materno, dal quale prese il cognome di Pallotta. Venne
accudito da tre sorelle zitelle di detto zio: Don Severino, un proprietario
terriero, che divenne prima sindaco del suo paese Deliceto in provincia di
Foggia e poi deputato al parlamento italiano. Per prestigio e per salvaguardare
i propri interessi economici privati Don Severino decise che il proprio figlio
adottivo Gaetano avrebbe seguito la carriera militare. Ancora sedicenne (si era
nel 1851) Gaetano entrò alla Nunziatella, la Reale Accademia Militare. Nel 1859
uscì da detta Accademia con il grado di secondo tenente dell’esercito
borbonico. Caduto il governo borbonico, dopo il plebiscito, entrò nell’esercito
italiano con il grado di sottotenente.
Fu utilizzato dall’esercito piemontese,
specialmente come interprete nel tradurre il dialetto meridionale, nella lotta
contro i briganti. Quest’ultimi nel romanzo appaiono solo sullo sfondo e sono
imprendibili. Vengono invece raccontati episodi di atrocità ad opera dei
piemontesi, che metteranno in crisi il meridionale Gaetano.
Fra i briganti cui si accenna troviamo
Crocco, Taschetta, Schiavone, Sacchitiello, Andreotti, Totaro, Caruso, Cavalcante,
Ninco Nanco, Coppa, Della Gala, Chirichigno. Sono diventati tali perché il
nuovo governo ha aumentato il prezzo del pane, dell’olio e del sale, rendendo
più dura la vita della povera gente e ha introdotto la coscrizione obbligatoria.
Gaetano s’innamora di Matilde, inizialmente
scelta da Don Severino perché appartenente ad una famiglia possidente, ma che
nonostante avesse avuto il padre ucciso dai briganti riesce a capire le ragioni
di questi ultimi.
Una figura singolare e significativa è
quella del professore Marziale Letterelli, che insegnava latino al
ginnasio-liceo di Melfi e che viveva in uno spazio nel quale protagonisti
assoluti erano i libri: “accatastati per terra, impilati sui comodini, ordinati
in scaffali di legno, di diverse epoche e misure, che coprivano pressoché
completamente le pareti”. Il professore ritiene che i galantuomini possidenti utilizzano
Carmine Crocco per salvaguardare i propri interessi, e lo fermano dall’invadere
Potenza perché non più utile a loro. Farà anche venire a galla le
contraddizioni presenti nell’animo di Gaetano e lo condurrà a seguire la
propria vocazione abbandonando la vita militare.
Il libro si chiude con il saluto che la
quercia che campeggiava nella piazza del suo paese rivolge a Gaetano: “Ben
tornato. Ti aspettavamo, sapevamo che saresti venuto”.
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