Il
libro ripropone un’edizione fuori commercio allestita in occasione
della rappresentazione del “Grassiere”, prima opera teatrale di
Nigro, composta nel 1980 e messa in scena nel 1981. Il lavoro
linguistico (già sperimentato in “Giocodoca”) contribuisce a
realizzare la fertile contaminazione tra storia e fantasia, che
contrassegna gran parte dell’opera di Nigro.
Aldo
De Jaco nella prefazione scrive che il brigante non sarà solo il
rappresentante di un’epoca ma incarnerà un atteggiamento di
perenne rivolta, che rappresenta la sofferenza e l’oppressione del
vivere dei poveri. Il brigante tradirà e taglieggerà e Filomena che
è lo spirito della rivolta e della speranza resterà sola.
Nel
primo tempo si narra che il grassiere, l’uomo delle tasse, messo
nel Regno delle Due Sicilie dagli spagnoli, sembra morto ad opera di
Filomena che gli ha ficcato lo spillone nel cuore ed è sicura di
averlo ucciso; ma così non è, perché il grassiere è come l’aria,
senza faccia, senza occhi, senza mani. Crocco è accusato dal
magistrato di furti aggravati, sequestri, rapine, omicidi,
estorsioni, e si difende dicendo che lui è il ragazzo che il padrone
fa arrestare dai gendarmi per piccoli furti fatti per sfamarsi.
Nel
secondo tempo si parla, tra l’altro, dell’amore di Crocco e
Caruso nei confronti di Filomena e di come Crocco la lascia Caruso.
Nell’intermezzo
Caruso giustifica la sua scelta di passare con i piemontesi perché
vuole cambiarli da dentro le loro mura e non da fuori, dalla
finestra, come fanno i briganti. Il paese aveva bisogno di strade,
scuole, ci volevano leggi nuove, e per avere tutte queste cose
bisognava entrare in amicizia con questa gente nuova, questi
vincitori, entrare dentro il parlamento, comandare insieme a loro. Il
fucile non poteva rispondere a tutte queste necessità.
Nel
terzo tempo si assiste ad una vittoria di Crocco. Nel palazzo
vescovile si riuniscono il vescovo, il sindaco, il barone, il
capitano Borges, insieme a Crocco ed alcuni suoi briganti. Il barone
don Ferdinando sponsorizza Borges. Crocco afferma che dopo aver
cacciato i piemontesi caccerà pure i borboni.
Nel
congedo finale vien fuori il prosaico compromesso di Pulcinella e
Filomena che non cede e i briganti che diventano immortali come il
grassiere; anche se i briganti cadranno si rialzeranno: «’nzime si
vince o se more briand».
L’opera
si chiude con l’appello di Filomena e i briganti che gridano:
«Siamo qua Filomena. Qua, insieme a te...».
Leonardo
Mancino chiude così la sua postfazione: «La poesia è arma contro
l’omologazione, contro la repressione e contro l’afasia.
L’appello di Filumena ai briganti esce così dal perimetro di un
teatro per legittimarsi grido per uno e per i tanti momenti di
storia».
Rocco
Biondi
Raffaele
Nigro, Il grassiere, briganti in scena, Schena editore, Fasano
(Br) 1992, pp. 110
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