Del
brigantaggio postunitario è interessato, oltre al Sud, il territorio
di tutta l’Italia; in questa raccolta di racconti è interessato
l’Appenino tosco emiliano. Il maresciallo Benedetto Santovito, nato
in un paesino del Sud, il salernitano Castellabate che era attaccato
alla montagna, fu trasferito, durante il fascismo, da Bologna in un
paese della Toscana; la caserma aveva come appuntato Cotigno, nato a
Morano Calabro in provincia di Cosenza.
L’ultimo
degli otto racconti, che va da pagina 233 alla pagina 280, porta il
titolo “Lo Spirito e altri briganti” e dà il titolo al libro. La
parola “brigante” assume un significato particolare, contrapposta
a “bandito”. I banditi, che troviamo alla fine del Cinquecento,
erano più o meno come i Bravi manzoniani, mentre i briganti, che
troviamo attorno al 1860 e negli anni successivi, pur forse diversi
da quelli dell’Italia meridionale, erano spinti tra l’altro da
condizioni di vita disperate, fame, reazione violenta a
sopraffazioni, renitenza alla leva.
Il
racconto precedente “Un velo grigiomorte” collega il brigantaggio
alla resistenza.
Ogni
racconto è introdotto dal capitolo intitolato “Dai colloqui con
Benedetto Santovito”, in cui il maresciallo racconta della sua
vita.
Lo
Spirito era il soprannome del brigante Gaetano Prosperi, che svaniva
come uno spirito alle ricerche dei carabinieri. Eppure c’era,
scrivono Guccini e Macchiavelli, nascosto da qualche parte, e si
faceva vivo per assaltare la posta, derubare i viaggiatori o i
corrieri del governo che trasportavano le paghe per gli operai,
esigere un contributo dai possidenti… Poi di nuovo via, a imbucarsi
dove nessuno riusciva a stanarlo.
Gli
altri briganti, di cui si raccontavano le storie in osteria o nelle
stalle, erano Luigi Demetrio Bettinelli, soprannominato Principino,
Luciano Fioravanti, Domenico Biagini, detto il Curato, e Domenico
Tiburzi, detto il Domenichino. I quattro briganti s’incontrarono e
decisero di mettersi assieme. Ebbero tutti una morte violenta.
Ma
nel racconto si narra la storia di Spirito, che morì a quarant’anni
come il padre, il nonno e il bisnonno. L’ultimo nato da lui l’aveva
voluto chiamare Brennero, ma per tutti diventò Ciarèin per gli
occhi azzurri che aveva; per lui Gaetano aveva sognato e sperato una
vita diversa dalla sua. Ma non fu così. La madre si era ammazzata
per la disperazione. Brennero-Ciarèin sparì di casa a dodici anni e
per molto tempo non se n’ebbe più notizia. Tornò dopo tanti anni
dalla Francia, e una gelata mattina d’inverno lo trovarono morto
nella neve.
Gaetano
divenne brigante dopo quanto successe con i caporali della ferrovia.
Armato di fucile si aggirò per la montagna, facendo vari soprusi.
Finché venne ucciso dai carabinieri.
Al
piccolo Ciarèin sarebbe piaciuto diventare un uomo come lo Spirito.
Per molto tempo si rifiutò di parlare. Poi sparì di casa.
Francesco
Guccini – Loriano Macchiavelli, Lo
Spirito e altri briganti,
Mondadori Editore, Milano 2002, pp. 283
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