Il
brigante del libro non è contro il potere, ma contro il suo abuso, dice Eduardo
Zarelli nella sua prefazione. Il brigante qui si è formato nella tradizione
popolare, che l’accosta al perdente e testimonia il seme della rivolta. Si
muore per essere uomini che la violenza e l’illusione non piegano.
Il libro è una raccolta di fotografie, sia
in prevalenza di briganti uccisi che dei soldati che li hanno uccisi, ai quali
tutti il libro è dedicato. Il libro pone sullo stesso piano briganti e soldati,
ma così non è: i secondi invasero, i primi non volevano essere invasi. Le
fotografie si susseguono in modo confuso; si parte dalla regina Maria Sofia e
si termina con il brigante Barone e un suo compagno dopo la loro fucilazione
del 1865. Ad ognuna delle foto è dedicata l’intera pagina dispari con breve
didascalia, l’altra pagina pari raccoglie una frase famosa. Due fotografie
riproducono quella che si dice anche qui essere Michelina De Cesare; in realtà si
tratta di una modella messa in posa nello studio fotografico; manca invece la
foto del cadavere della vera Michelina.
Una pagina è dedicata, dai due autori, ai
briganti che vollero farsi re. Divennero re-briganti e il loro regno fu la
macchia, dove si muovevano come caprioli. Re furono il Passatore, Tiburzi,
Crocco, Caruso e altri capobriganti. Alcuni sostengono che i re-briganti
scomparvero perché non sapevano leggere e scrivere, mentre per i due autori i
re-briganti cominciarono a morire proprio nel momento in cui presero a leggere
e scrivere.
Rocco Biondi
C’era una volta il Brigante, a cura di Vittorio Savini e Giuseppe Savini,
Macro edizioni, San Martino di Sarsina (FO) 1996, pp. 132
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