È
un romanzo che narra fatti avvenuti in Calabria nel decennio immediatamente
successivo alla cosiddetta unità d’Italia. L’amore sbocciato fra Antonio, un
soldato piemontese mandato con i suoi commilitoni a Cirò a combattere i
briganti, e Franceschina, una ragazza calabrese già sposata “per affetto e
abitudine” con un suo quasi coetaneo.
Antonio era un ragazzo intelligente e
istruito, che aveva studiato dai gesuiti; conosceva l’italiano, il latino e il
francese. Nel Sud vide cose orrende fatte dai suoi compagni, comandate dai
generali piemontesi: fucilazioni di migliaia di contadini, donne violentate,
preti e monaci fucilati, interi paesi bruciati. Disertò dal suo esercito e
diventò brigante.
Franceschina conobbe la spietatezza dei
piemontesi; violentarono e uccisero sua sorella sedicenne, la stessa sorte
toccò alla sua comare, gli fu ucciso anche un proprio cugino di otto anni.
Antonio ragionava che mai lui lo avrebbe
fatto, si trattava di italiani contro italiani, e poi la sua religione
cattolica, la sua etica e la sua educazione contadina glielo impedivano. Lui contadino
non doveva ammazzare altri contadini. Un giorno quelle stragi verranno alla
luce, pensava. I piemontesi, oggi ritenuti padri della Patria, sarebbero
additati come criminali di guerra. Antonio era diventato brigante non solo per
amore, ma il rispetto della dignità umana; sentiva forte l’odore della dignità,
del dolore, della lotta per la giustizia, in somma l’odore che faceva di un
uomo… un brigante!
I cattivi briganti erano i piemontesi, che
fucilavano nel Sud cittadini inermi, saccheggiavano case e masserie,
incendiavano paesi e pagliai. I cattivi briganti, gli invasori piemontesi, fecero
chiamare dal potere, dagli scrittori regime, dagli ascari meridionali, Briganti
le bande dei partigiani del Sud, che difendevano la loro terra, la loro
famiglia, la loro religione. Quello che loro del nord chiamano “Risorgimento”,
noi lo chiamiamo “Genocidio”, scrivono gli autori del romanzo.
Milon, Sacchi, Fumel, Pinelli non facevano
prigionieri, attiravano in trappola briganti e contadini del Sud e li
uccidevano.
Antonio e Franceschina entrarono nella
banda di Domenico Straface Palma e vennero utilizzati per missioni speciali.
Parteciparono attivamente al sequestro del ventiduenne barone Alessandro De
Rosis Morgia, che fu rilasciato solo dopo 36 giorni in seguito al pagamento di
60 mila ducati. Del rapimento ne parlarono la Calabria e i giornali di tutta
Italia. Milon e Sacchi furono ridicolizzati.
Dopo la morte di Palma, il piemontese Antonio
divenne capobrigante del Sud. E Franceschina gli diede un figlio.
Tutti i grandi capi erano stati fucilati,
impiccati, carcerati: Crocco, Ninco Nanco, i fratelli Piccioni, i La Gala,
Pilone, Chiavone, il sergente Romano, Faccione, Muraca, Palma. Cavalcano
insieme a loro Franceschina, Michelina De Cesare, Maria Orsola D’Acquisto, Rosa
Cedrone, Cherubina Di Pierro.
Ai briganti del Sud, sopravvissuti ai
fucili piemontesi, non rimase che emigrare. Antonio, con il suo piccolo
Nicodemo, s’imbarcò verso il Canada.
Il libro, come del resto gli altri di
Ciano, trascrive anche brami di vari autori, citandoli.
Gallello fa parlare nel dialetto calabrese,
traducendo in nota in italiano, vari personaggi.
Rocco Biondi
Rocco Biondi
Antonio Ciano e Francesca
Gallello, Amore e morte nella Calabria briganta, prefazione di Pino Aprile,
Veliero edizioni, Cirò Marina (KR) 2018, pp. 186
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