Il
libro è utile solamente per conoscere briganti e luoghi in cui essi operarono,
in una parte specifica degli Abruzzi. Non si può, né si deve, accettare la
filosofia che sottende l’intero libro: l’equiparazione del brigantaggio alla
mafia. Scrive il Torres: «Tra l’uno e l’altro movimento di protesta, visto
sotto l’aspetto temporale, l’unico cambiamento riscontrato è quello
dell’etichetta, pur se nel suo significato è rimasto sostanzialmente identico. Il
brigantaggio è da considerarsi una calamità sempre attuale, che rivive non
appena si allenta la morsa persecutoria da parte delle forze governative».
Noi invece riteniamo che i briganti sono
stati, anche se spesso inconsapevolmente, insorgenti e partigiani che hanno
lottato in difesa della loro terra, delle loro famiglie, della loro dignità.
Altrimenti non si spiega perché le bande brigantesche, operanti nel disciolto
Regno delle Due Sicilie, raggiunsero una forza complessiva di trentamila
uomini, come lo stesso Torres ammette. Senza tener conto delle forze ausiliarie
(favoreggiatori o manutengoli) che si schierarono con esse. Il brigantaggio post
unitario è durato tanto tempo, tenendo testa ad una grande forza repressiva,
perché la popolazione meridionale si schierò con esso.
Per le popolazioni il brigante era
considerato un giustiziere, quasi un eroe, riparatore dei torti e vendicatore
dei deboli e dei poveri contro l’arroganza dei potenti e dei ricchi, tanto da
accattivarsi ed accrescere le simpatie popolari, scrive ancora Torres. Anche se
aggiunge più avanti: «Crediamo opportuno, però, in questa sede confermare
l’opinione comune secondo la quale di grandi briganti o galantuomini ce ne
siano stati molto pochi; fors’anche sarà esistito qualcuno in Abruzzo,
certamente nessuno nella Conca Peligna e nell’Alto Sangro». Ovviamente non
possiamo concordare con lui.
L’Abruzzo Peligno comprende un largo
fondovalle di circa cento kmq ed abbraccia quasi tutto il territorio di
Sulmona, di Popoli e di Pratola Peligna e parte del territorio di Castelvecchio
Subequo, a pochi passi dalla Marsica e ai confini dello Stato Pontificio. Oggi
tutti questi paesi (eccetto Popoli che appartiene alla provincia di Pescara)
fanno parte della provincia dell’Aquila. Il Sangro è un fiume che bagna l'Abruzzo
meridionale e il Molise. La Marsica comprende trentasette comuni della
provincia dell'Aquila.
La Conca Peligna, con le sue grotte
naturali e la fittissima vegetazione, fu un ambiente ideale e sicuro per i
briganti. Le truppe regolari piemontesi invece, armate ed equipaggiate di tutto
punto, riuscivano con molta difficoltà a perlustrare quelle fittissime ed
estesissime boscaglie.
Il Torres, che sostanzialmente ritiene il
brigantaggio un movimento puramente delinquenziale, sostiene che esso sia
sempre esistito e si sia sviluppato maggiormente nei periodi di cambiamenti
politici. Scrive: «Ogni qualvolta si affacciava un nuovo dominatore,
proclamandosi liberatore dalle insane voglie del suo predecessore, veniva
immancabilmente, almeno nei primi tempi, accolto dal popolo infelice e ormai
logorato, come un nuovo usurpatore dal quale aspettarsi nuovi soprusi, nuovi
sfruttamenti e nuove violazioni. Ed ecco che gli abitanti di quelle terre
insorgevano, dimostrandosi sostenitori del regime soggiogato, assumendo
atteggiamenti decisamente ostili nei riguardi dell’instaurando governo».
La stessa cosa avvenne, secondo Torres, con
i piemontesi che subentrarono ai Borbone. Vengono richiamati nel libro gli
episodi salienti che caratterizzarono il brigantaggio post-unitario nei dieci
anni che vanno dal 1860 al 1870, coincidenti con il disfacimento del regime
borbonico, l’avvento nel Sud di quello piemontese e l’esodo di massa verso il
nord della penisola e le Americhe.
Viene descritto piuttosto dettagliatamente
l’operato delle bande brigantesche operanti nell’Abruzzo Peligno e la relativa
repressione ad opera dell’esercito piemontese. Il numero delle bande cresceva a
dismisura ed il governo piemontese ricorse all’emanazione di leggi speciali
(cosiddette leggi Pica e Peruzzi). Le bande ponevano in atto le tecniche della
guerriglia, alle quali l’esercito piemontese, organizzato in modo tradizionale,
non era in grado di rispondere. La guerra di bande – scrive il Torres – è per
definizione una guerra particolare fatta soprattutto di intuito,
d’improvvisazione e di rapidità di movimento. Fanteria e cavalleria piemontese
non erano attrezzate per combattere la controguerriglia; una qualche efficacia
nella repressione l’ebbero i Bersaglieri. Nel tempo però l’esercito subì
sostanziali modifiche per adattarsi alla guerriglia brigantesca.
Elenco qui rapidamente le varie bande
descritte nel libro. La banda dei sulmonesi fu capeggiate da Felice e Giuseppe
Marinucci, e da Antonio La Vella (detto Scipione). La banda della Maiella, che
si sviluppò nel tenimento di Pacentro, ebbe come capo Pasquale Mancini, detto
il Mercante, che morì in combattimento sotto il piombo delle truppe piemontesi
nel 1862; detta banda subirà nel tempo frequenti frazionamenti con conseguenti
avvicendamenti nel comando: nel versante orientale della Maiella operarono Salvatore
Scenna (catturato nel 1864 e condannato a morte) e Domenico Di Sciascio (ucciso
nel 1866), in quello occidentale Nicola Marino (arrestato nel 1868 e condannato
ai lavori forzati a vita). La banda formata da paesani di Introdacqua, in
provincia dell’Aquila, della quale furono capi Giuseppe Tamburrini
soprannominato Colaizzo, Concezio Ventresca noto come Liborio, Pasquale
Fontanarosa e Pasquale Del Monaco. La banda Crocitto, che prende il nome dal capobrigante
Luigi Croce Di Tola, nato a Roccaraso nel 1838, operò fino al 1871 quando il Di
Tola fu preso e condannato. Altre bande di briganti di cui si parla nel libro
sono quelle di Nunzio Tamburrini, di Luca Pastore (fucilato dai piemontesi
insieme a tre dei suoi compagni), di Fabiano Marcucci detto Primiano (morì in
un ospizio dei vecchi nel 1918 dopo essere stato in carcere per quarantacinque
anni), di Domenico Valerio detto Cannone (condannato ai lavori forzati a vita),
di Domenico Fuoco (venne trovato ucciso nella notte dal 17 al 18 agosto 1870).
Un capitolo a parte è dedicato alle
brigantesse che divennero, da casalinghe, protagoniste combattive ed eroiche.
Cito qualche nome: Caterina Marinucci (moglie di Salvatore Scenna), Maria
Vincenzina Marsilio, Maria Domenica Como, Angela Di Martino, Maria Suriani.
Delle brigantesse scrive il Torres: «Alla fine, nonostante tutto, al cospetto
delle leggi e di manu militari, esse furono costrette a soccombere con l’essere
gettate in prigioni umide e fetide, talvolta senza prove e senza rispetto, solo
perché sospettate di essere confidenti dei briganti, talantra abbattute come
selvaggina nociva, con scariche di fucileria, perché sorprese con l’arma in
pugno che avevano appena imparato ad usare al posto del fuso e del fasciatoio».
Come si vede l’autore ha simpatia per le brigantesse, anzi ritiene che sia
stato il movimento unitario a far amare sempre meno la donna.
Molto ricca è, in appendice, la
trascrizione e la riproduzione di documenti d’archivio.
Luigi Torres è nato nel 1941 a Casarano
(Lecce), è stato Generale dell’Esercito italiano, è vissuto per molti anni a
Sulmona (provincia dell'Aquila in Abruzzo).
Rocco Biondi
Rocco Biondi
Luigi Torres, Il Brigantaggio nell’Abruzzo Peligno e nell’Alto Sangro 1860-1870, Muscente
Majell, Alessandria 2003, pp. 416
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