Scopo
dichiarato dall’autore nel proemio del libro è quello di voler «dare un corpo
ad un ammasso di note raccolte sui luoghi durante un lungo soggiorno alla
frontiera». Il piemontese Alessandro Bianco, conte di Saint-Jorioz, era stato
Capo di Stato Maggiore alla frontiera pontificia sotto gli ordini del generale
Giuseppe Govone e aveva potuto seguire le azioni militari ai confini dello
Stato Pontificio per circa tre anni. Il libro fu pubblicato nel 1864.
In epigrafe sono poste delle frasi tratte
dal Diario di José Borges, per esplicitare subito la valutazione altamente
negativa che viene data del brigantaggio: “Andavo a dire al re Francesco II che
non vi hanno che miserabili e scellerati per difenderlo, che Crocco è un
Sacripante e Langlois un Bruto”.
Bianco di Saint-Jorioz proclama di non
accusare ma di raccontare, sostenendo quindi di essere oggettivo nelle sue
valutazioni. Ma così non è e non può essere, quando si afferma che «tutto
insomma ciò che vi è di laido e di riprovevole nella umana Società si trova in
gran copia diffuso e penetrato in queste misere popolazioni» meridionali. «Qui
siamo fra una popolazione che, sebbene in Italia e nata Italiana, sembra
appartenere alle tribù primitive dell’Africa, ai Noueri, ai Dinkas, ai Malesi
di Pulo-Penango». Con buona pace di queste tribù e della loro civiltà.
Salvo poi a contraddirsi alla fine del
libro quando si afferma a proposito degli abitanti del Regno delle Due Sicilie:
«Il 1860 trovò questo popolo del 1859 vestito, calzato, industre, con riserve
economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva animali;
corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia. Tutti,
in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso è
l’opposto». Molto probabilmente la presenza fisica nei territori napoletani e
la conoscenza diretta avevano fatto cambiare l’opinione del Saint Jorioz,
frutto dell’indottrinamento a monte.
In realtà l’obiettivo, anche dichiarato,
del capitano Bianco di Saint-Jorioz era quello di difendere ed esaltare l’operato
dei militari in contrapposizione all’operato del Governo politico. Quest’ultimo
contro i briganti non poteva mettere mano ai mezzi coercitivi, e proclamare
apertamente che intendeva governare con lo stato d’assedio, senza passare agli
occhi dei governi esteri per un Governo violento, che si imponeva ai napoletani
con la baionetta. Mentre quindi dava ai militari amplissimi poteri, confermava
anche nel loro potere le autorità civili. Venendo così a creare forti
contrapposizioni, che non giovarono all’obiettivo di sconfiggere il
brigantaggio.
Secondo Saint Jorioz l’esercito in quelle
circostanze eccezionali ha dovuto necessariamente ingerirsi in molte cose che
non le spettavano, al solo scopo di evitare mali maggiori e più funeste
conseguenze. I Prefetti invece erano o deboli o faccendieri e comunque
d’impaccio al buon andamento della cosa pubblica. La stessa cosa avveniva con
la giustizia, i militari arrestavano briganti e manutengoli e i giudici dopo
pochi giorni li mettevano in libertà. I sindaci e gli amministratori pubblici
erano per la maggior parte venali e compromessi; quasi tutti se la intendevano
con i briganti. I componenti la Guardia Nazionale erano pessimi e di nessuna
utilità.
Altro luogo comune, abbastanza corrente in
quei tempi, che Saint Jorioz fa proprio è che la camorra sia la madre del
brigantaggio; scrive: «i mariuoli della montagna non hanno mai avuto altra
scuola che la camorra». E la camorra sarebbe una istituzione eminentemente
borbonica, lasciata in eredità alle province meridionali da Francesco II. Ma
nessuno studioso serio, oggi, concorda più con questa tesi.
Dopo il proemio, nel primo capitolo si
parla del cosiddetto spirito pubblico e dello stato
politico-morale-amministrativo di alcuni paesi alla frontiera pontificia;
spirito e stato che nella maggior parte sono pessimi. Vengono esaminati una
trentina di paesi, tra i quali San Giovanni in Carico, Fondi, Pico, Avezzano,
Sora, Traetto, Tagliacozzo, Colli. Viene poi fornito un quadro dell’Aquila e
della provincia dell’Abruzzo Ulteriore Secondo. L’Aquila è una città
monumentale situata al centro d’Italia fra due vaste capitali, Roma e Napoli.
Questa provincia ha un’aria salubre che assicura ai suoi cittadini una grande
longevità; la vita media degli aquilani già allora era di circa ottant’anni. Il
terreno è fertile e abbonda di acqua; potrebbe fornire una buona coltura, se
non fosse ammassata nelle mani di pochi possidenti. Sarebbe opportuna una
ripartizione fra i contadini che questa terra lavorano; ma il governo non ne è capace.
Abbondano quindi vagabondi, ladri, truffatori; e di conseguenza briganti. «Il
bisogno – scrive Saint Jorioz – fa commettere qualunque delitto. Chi manca di
pane implora perdono a Dio del furto commesso e continua a rubare».
Il capitolo successivo è dedicato ai
prefetti, sottoprefetti, giudici, delegati di pubblica sicurezza, doganieri ed
altri pubblici impiegati. Tutti ne escono con le ossa rotte in quanto «non sono
più onesti, illibati, intemerati ed irriprovevoli, di quello che non lo fossero
sotto Ferdinando e Francesco Borbone».
Nel terzo capitolo si parla di briganti e
capibanda, dei loro parenti, di preti e frati. Chiavone, Centrillo, Matteo,
Cuccitto, Conte, De Rivière, Massot, Castagni, Basile, De Trazégnies, Caretti,
Borges, Tristany, Zimmermann sono capibanda e luogotenenti dei quali si
forniscono ritratti. Per capire cosa Saint Jorioz pensi dei preti basta leggere
la sua seguente icastica frase: «A noi ci fa più male un prete che cento
briganti affamati».
Seguono poi le accuse, allora correnti fra
i filopiemontesi, della supposta complicità con il brigantaggio sia da parte delle
truppe francesi schierate al confine pontificio sia da parte del Governo
pontificio. I francesi, sin dai “primordi della nostra occupazione” scrive
Saint Jorioz, si sarebbero mostrati sprezzanti verso le truppe piemontesi e
accondiscendenti verso i briganti. Solo con l’allontanamento del generale Goyon
e la sua sostituzione con il conte di Montebello, nel comando delle truppe
francesi, le relazioni fra i comandanti francesi e italiani divennero
amichevoli. Della complicità fra Governo pontificio e briganti non servirebbe
parlarne, tanto essa è palese, scrive ancora Saint Jorioz.
A scanso di qualsiasi equivoco, un capitolo
del libro viene intitolato “Della guerra contro i briganti”, a testimoniare
quello che nei fatti realmente avveniva in quegli anni nei territori dell’ex
Regno delle Due Sicilie. Se i briganti fossero stati semplici delinquenti non
sarebbe occorso più della metà dell’intero esercito italiano per sconfiggerli.
Il capitolo sesto traccia una breve storia
del brigantaggio alla frontiera pontificia, sulla scorta dello scritto “Quadro
storico del Brigantaggio nella zona di Gaeta”, dedicato dall’autore Francesco
Baglioni da Fano a Bianco di Saint-Jorioz.
Infine nella conclusione vengono riassunte
tutte le valutazioni negative sul brigantaggio, ma anche sviluppate delle
considerazioni che riconoscono in qualche modo al brigantaggio, contraddicendo
quanto scritto nelle precedenti pagine del libro, un carattere politico e
sociale.
Libro utile per sapere come il brigantaggio
veniva valutato dai piemontesi negli anni in cui operava; completamente inutile
per conoscere cosa quel fenomeno veramente rappresentava.
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