Un
romanzo di Raffaele Nigro, per poterlo comprendere appieno nella sua ricchezza
letteraria e di contenuti, bisogna leggerlo; non può essere raccontato. Una
recensione può solo riportare degli elementi della cornice e fare delle
citazioni estrapolando quasi a caso, per invogliare alla sua lettura.
La storia si svolge nel museo delle cere
(esistente solo nel romanzo) di Bari, visitato da un nonno, anziano professore,
e da suo nipote, un giovane di oggi, uno di quelli che si sentono hard disk da
riempire.
Le statue di cera si muovono e parlano.
I personaggi appartengono alla storia delle
varie epoche, dalle antiche alle odierne, che Nigro ha studiato ed amato.
Il modo di parlare delle statue di cera rivela
la classe sociale a cui appartengono.
Nazim Hikmet è un gigante della
letteratura, uno di quelli che si sono schierati dalla parte dei contadini in
una terra dove venivano trattati da schiavi e ha fatto della politica la
ragione della sua scrittura. Un vero socialista.
Kaleb racconta del poliziotto turco Mansur
Madhia, contrario all’ingresso della Turchia in Europa, che si fece esplodere
imbottito di tritolo divenendo per il popolo un santo ed un eroe. Lui era per
l’affiliazione al mondo orientale, alla fratellanza araba. Lui era per la
tradizione, anche se «i giovani adesso disprezzano la tradizione, che li fa
sentire fuori dal mondo, e si cercano nelle discoteche, bevono alcol di
nascosto e fumano hashish e marijuana».
Nella seconda stanza c’erano cumuli di
paglia sparsi sul pavimento. La stanza era dedicata ai barbari. Il longobardo
Erchemperto racconta la sua storia e di come ebbe una mano mozzata.
Il monaco Cassiodoro di Squillace cominciò
a raccontare senza aspettare inviti. Lì, sulla collina, aveva realizzato scriptoria cenobi archivi librerie, dove
venivano recuperati documenti devastati dal tempo e dalle fiamme, venivano
trascritti antichi codici. La sua fu una vita di scritture e libri, retorica e
politica, dopo aver tentato di mettere insieme Goti e Latini. Lui romano si
innamorò di una gota, per la quale scriveva che «l’amore è un gioco di violenza
e di tenerezze, di fughe e di attrazioni». I libri erano per lui la vera
grandezza dell’Ottocento. Anche se vi è uno scarto tremendo tra la serenità
della scrittura e la ferocia della vita.
Alla destra poi erano state collocate due
creature di cera identiche tra loro come gocce d’acqua: le sorelle Kessler. E
leggermente in disparte le statue di Elvis Presley, Marilyn Monroe, Marcello
Mastroianni, Charlie Chaplin, Liz Taylor, Richard Burton, James Dean, Brigitte
Bardot e Carmelo Bene.
Un occhio di bue illuminò quest’ultimo, che
aveva la calzamaglia nera e lo sguardo reso intenso dal rimmel. Bene si
riteneva un fallito e un infelice, che era apparso alle Madonne che – dice – «restavano
incantate alla mia apparizione e alle mie bestemmie ed erano festose a quella
liberazione dalla tragedia popolare o dal Sant’Uffizio». Apparve anche a Cristo
penitente e al mondo intero a capo dei cavalieri dell’Apocalisse. «Ho
affrontato gli eserciti della convenzione borghese e devastato sconquassato e
distrutto. Dopo aver combattuto contro i mulini della classicità sono diventato
un mulino a vento della classicità».
Una stanza e buona parte del romanzo sono
dedicate alle statue di cera degli Hohenstaufen di Svevia. Federico II, che
faceva sempre il contrario di quello che il cieco falco monitore gli suggeriva
(era il gioco del falco che sapendo Federico restio ad accettare consigli gli
suggeriva sempre il contrario di quello che lui voleva che facesse); si era circondato
di artisti, filosofi e scienziati; si era dichiarato libero dalle falsità e
dalle chiacchiere della Chiesa. Bianca Lancia, che fu la quarta moglie di
Federico e imperatrice per pochi giorni. Manfredi, figlio di Federico e di
Bianca, scendeva in battaglia con la stessa facilità con cui usava la penna.
Gottfred di Magonza, falconiere e spia del papa presso Federico.
Una delle ultime sale del museo
rappresentava un corteo funebre, al quale prendevano parte le statue di Elio
Vittorini, Carlo e Primo Levi, Natalia Ginzburg, Cesare Pavese, Amelia
Rosselli, Rocco Scotellaro, Fernanda Pivano, Tommaso Fiore, Vasco Pratolini,
Oriana Fallaci, Giangiacomo Feltrinelli, Ignazio Silone, Gino Montesanto,
Pierpaolo Pasolini, Leonardo Sciascia e altri; era il funerale di Raffaele
Crovi.
A me ha interessato in modo particolare la
sezione del museo dedicata ai re Borbone e ai briganti. Ci sono le statue di
Carmine Crocco, Fra’ Diavolo, Gaetano Mammone, Panedigrano, Peppe Caruso, Maria
Oliverio, Maria Giovanna Tito, Filomena Pennacchio e altri. «Eravamo finalmente
in sintonia con i temi del nonno: braccianti, contadini e briganti». A raccontare
la sua storia è il brigante Giuseppe Schiavone di Sant’Agata di Puglia. Sotto i
Borbone entra a fare il servizio militare, ha una buona mira e mano ferma, sa
leggere e scrivere e viene promosso sergente. Sotto le armi conosce il sergente
Pasquale Romano di Gioia del Colle. Quando «il Regno si squaglia come il lardo»
viene spedito al suo paese e subito dopo richiamato in servizio per indossare
la divisa piemontese. Se ne scappa e diviene brigante. Inizialmente si associa
alla banda di Carmine Crocco, ma poi diventa capobrigante formando una sua
banda, dando vita a parecchie azioni vittoriose. Si innamora pazzamente di
Filomena Pennacchio e la mette incinta. Ma Rosa Giuliani, la precedente donna
di Schiavone, non potendolo avere per sé lo consegna a tradimento ai
piemontesi. Il monaco Francesco da Paola [nato nel 1416 e morto il 1507] volle
ricambiarlo del favore di aver salvato dalla distruzione il comune di Montemale
di Benevento; convinse le guardie a farlo incontrare con Filomena per
consegnarle l’abitina di sant’Anna. In pratica Schiavone consegnò Filomena alle
guardie, ma così facendo la salvò e salvò suo figlio.
Un piano del museo prese fuoco per un corto
circuito e le statue di cera si liquefecero.
Oltre alle statue dei personaggi che ho
citati, tante altre fanno parte del museo delle cere di Raffaele Nigro, che
forse è il vero e buono custode di quel museo.
Rocco Biondi
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