Raffaele Nigro, ultimo
cantastorie contemporaneo (come viene definito da Valentino Romano
nella prefazione), con questo suo libro ci introduce e immerge nel
mondo dei cantastorie, che colmavano l'assenza di spettacoli nei
piccoli centri, nei borghi sperduti, nei cortili delle masserie. Nel
tempo la televisione li ha soppiantati e fatti sparire.
Arrivavano durante le
feste popolari e dei santi patroni, si fermavano nei piazzali,
davanti ai santuari, nei luoghi destinati alle fiere e ai mercati,
issavano il telone con le raffigurazioni della storia, mettevano mano
a uno strumento musicale (liuto, ribeca, chitarrone, ghironda) o si
affidavano alla melodiosità della solo loro voce, e raccontavano le
loro storie. Alla fine il cantastorie passava con la mano o col
berretto teso, ad accogliere qualche obolo, e cercava di vendere un
libretto o un foglietto a stampa dei suoi versi.
I temi trattati erano
vari, generalmente si ispiravano alla cronaca o all'agiografia, e
andavano dai canti religioso-narrativi ai componimenti
epico-cavallereschi, alle novelle d'amore tragico e infelice, alla
mitologia, alle composizioni satiriche e burlesche.
Nigro in questo libro ha
raccolte e commentate cinque ballate che sono imperniate sulla vita
di briganti meridionali.
Si comincia con la ballata
su "Don Ciro Annicchiarico", raccontata da Leonardo
Arcadio. Questo autore, nato nel 1771, era un bracciante che d'estate
si trasformava in girovago cantastorie. L'Annicchiarico, nato a
Grottaglie in provincia di Taranto nel 1775, era un prete che si
innamorò di una donna detta "la Curciola", della quale si
era invaghito anche un altro prete grottagliese, don Giuseppe
Motolese, appartenente ad una famiglia facoltosa. Il Motolese rimane
ucciso nella notte della Madonna del Carmine del 16 luglio 1803;
dell'omicidio viene accusato Don Ciro, che arrestato riesce a fuggire
divenendo brigante. La sua carriera brigantesca finisce l'8 febbraio
1818 con la fucilazione nella piazza di Francavilla Fontana. Il testo
della ballata, pubblicata da Pietro Palumbo, «è
sistemato in 204 quartine di endecasillabi molto deteriorati, a
metratura e rima incerte, a volte alternata, spesso assonanzata o per
nulla rispettata».
La seconda ballata è la
"Istoria della vita, uccisioni ed imprese di Antonio di Santo",
che ha come autore Nicola Bruno, vissuto tra la fine del '700 e gli
inizi dell'800. Il di Santo è un brigante di Solopaga, in provincia
di Benevento, che visse a cavallo tra '600 e '700 e partecipò nel
1701 alla congiura antispagnola. Quando la congiura fu scoperta, il
di Santo riusci a sfuggire al carcere dandosi alla macchia e
riparando nelle grotte del massiccio del Taburno. Il cantastorie
descrive il brigante come un carattere facinoroso, attaccabrighe e
puntiglioso. Arrestato, riesce a fuggire dal carcere, scavalcando un
alto muro, e dà il via a una serie di vendette personali. La ballata
è composta da 67 ottave in endecasillabi. Il brigante comunque non
muore.
La terza ballata narra
della "Bellissima istoria delle prodezze ed imprese di Angelo
del Duca". Ricordiamo che con questo brigante inizia la storia
dell'ormai classico romanzo di Raffaele Nigro "I fuochi del
Basento". Del Duca era nato a San Gregorio Magno in provincia di
Salerno nel 1734. Benedetto Croce sostiene che Angiolillo avrebbe
condotto una vita da pastore almeno fino ai cinquant'anni, quando per
una violenza subita da un suo nipote spara una fucilata contro un
guardiano ammazzandogli il cavallo. Angiolillo è costretto a fuggire
e darsi alla macchia. Operò tra Salerno, Avellino e la Basilicata.
Non si citano nella sua vita episodi violenti o di grassazioni se non
ai danni dei ricchi feudatari e degli alti prelati. Toglieva ai
ricchi per dare ai poveri. Nella rapsodia di Angelo del Duca si
arriva persino a parlare di miracolosità delle sue gesta. Fu
impiccato a Salerno il 26 aprile 1784. Il poemetto si compone di 42
ottave.
Il quarto cantare è la
"Istoria della vita e morte di Pietro Mancino, capo di banditi",
che ha come autore il cantastorie cieco Donato Antonio de Martino.
Mancino è una figura che più delle altre si avvicina agli antichi
capitani di ventura. Nato nella prima metà del '600, secondo una
fonte a Vico del Gargano, secondo un'altra a Lucera, uccise due
nobili che avevano insidiato l'onore delle sorelle. Per timore di
essere incarcerato fuggì dalla Puglia, mise su una banda di quindici
fuorilegge, seminando terrore tra Puglia e Basilicata. Si recava
spesso in Dalmazia. Combatté al fianco di diversi signori. Nel 1637
lo troviamo prima a Torino, dove fu nominato colonnello dai francesi,
poi alla corte pontificia con lo stesso grado militare. Morì di
morte naturale nel 1638. Raffaele Nigro inserisce nella raccolta
l'edizione Muller di 63 ottave e in appendice l'edizione Paci-Russo
di 62 ottave. Le due edizioni hanno non poche differenze.
L'ultima ballata,
intitolata "Crudelissima istoria di Carlo Rainone dove s'intende
la Vita, Morte, ricatti, uccisioni, ed imprese da lui fatte", fu
composta dal cantastorie Giuseppe Di Sabato, nato ad Ottaviano.
Rainone, originario di Carbonara di Nola in provincia di Napoli,
visse tra fine '600 e primi del '700. Secondo l'autore del cantare,
durante la sua carriera di bandito Rainone si macchiò di 167
omicidi. A tal proposito scrive Nigro: «Il
canto è di quelli con agnizione negativa, perché a differenza della
"Bellissima istoria di Angiolillo" dove si mettono in luce
i pregi dell'uomo, qui sono le efferatezze del brigante a risaltare».
Rainone venne catturato e ucciso il 10 luglio 1672. Il componimento è
di 72 ottave.
Quello che Nigro scrive
nel preambolo alla ballata su Pietro Mancino, «questi cantari hanno più funzione di prodotto letterario che di documento
storico», può essere esteso a tutte le
altre ballate.
Nella premessa alla
raccolta delle ballate, Raffaele Nigro fa interessanti e
condivisibili osservazioni sul decennio postunitario, sostenendo che
la guerra politica e sociale di quegli anni fece morire il sogno
romantico e la possibilità di voli fantastici. La cronaca è nemica
del mito. L'annessione del Sud all'Italia unita si era concretizzata
in un bagno di sangue. Negli scritti di quegli e su quegli anni
prevale la metodologia scientifica. Dopo il 1861 il romanticismo è
morto. Solo a partire dal 1870 le narrazioni e le edizioni a stampa
di storie banditesche riprendono vigore.
Rocco Biondi
Rocco Biondi
Raffaele Nigro,
Ascoltate, signore e signori, Ballate banditesche del Settecento
meridionale, Prefazione di Valentino Romano, Capone Editore,
Cavallino 2012, pp. 198, € 16,00
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