8 gennaio 2012

La mobilitazione legittimista contro il Regno d'Italia: la Spagna e il Brigantaggio meridionale postunitario, di Aldo Albònico

Libro rimasto a tutt'oggi fondamentale per conoscere e capire l'intervento legittimista spagnolo in favore del Re Borbone e contro il Regno d'Italia dei Savoia. Viene illustrata l'ampiezza di quell'impegno attraverso l'esame di una copiosa documentazione inedita dispersa negli archivi spagnoli, italiani e vaticani. Il periodo interessato va dal 1860 al 1866.
Per legittimismo qui si intende la lotta armata contro i Savoia piemontesi nel tentativo di riportare sul trono del Regno delle Due Sicilie lo spodestato re borbone Francesco II, al quale si continuava a riconoscere il legittimo diritto di ritornare sul trono. Attori principali furono degli ufficiali carlisti che avevano combattuto la guerra di successione a fianco di Don Carlos Isidro, perdendola; regina di Spagna era divenuta invece Isabella II.
Il governo spagnolo, guidato dal generale Leopoldo O'Donnel, nella questione italiana si attenne nei fatti ad una comoda neutralità, come del resto l'Austria e la Russia, e tuttavia una qualche compromissione della Spagna si diresse più in favore di Pio IX che di Francesco II, anche se tale sostegno fu solo di carattere diplomatico.
Il diplomatico spagnolo Salvador Bermúdez de Castro si schierò apertamente dalla parte del Re Borbone in esilio a Roma. Fin dal 1853 era ministro di Spagna presso la Corte napoletana, amico personale di Francesco II lo seguì prima a Gaeta e poi a Roma; cooperò attivamente a favorire la reazione armata. Caldeggiò in tutti i modi l'impresa di Borges.
Il generale José Borges nel 1861 aveva 48 anni, aveva partecipato in Spagna al primo conflitto carlista insieme al padre, nel secondo (1847-49) era stato generale di brigata e comandante in capo dei carlisti di Tarragona, nel 1860 aveva appoggiato il tentativo insurrezionale del conte di Montemolín (Carlos VI secondo la successione legittimista). Dopo la sconfitta si rifugiò in Francia, dove per vivere fece modesti lavori, tra cui il rilegatore di libri. Ma non rinunciò mai alla sua vocazione militare. Offrì senza riuscirci i suoi servigi all'esercito pontificio. Aderì entusiasticamente alla causa borbonica. Tentò senza successo di entrare nelle fortezze assediate di Gaeta e Messina.
La grande avventura di Borges inizia con lo sbarco, al calar della notte del 13 settembre 1861, su una spiaggia vicino a Brancaleone in Calabria. Erano in 20, di cui 18 spagnoli e due napoletani. Erano partiti da Malta la notte dell'11 settembre. Si uniscono per alcuni giorni con la banda del brigante Mittica, composta di circa 120 uomini. Ingaggiano alcuni conflitti a fuoco con i piemontesi. Il 19 ottobre Borges si incontra nel bosco di Lagopesole in Basilicata con il capo brigante Carmine Crocco. Combattono insieme ed ottengono molti successi. Riescono a mettere insieme forse 3.000 uomini. Ma fra i due la visione di come condurre l'offensiva è totalmente diversa ed inconciliabile. Il comando non venne mai davvero affidato a Borges, che deluso rinuncia e prende la strada per Roma, seguito dagli spagnoli e da alcuni insorti locali. Ma prima di varcare il confine dello Stato pontificio vengono arrestati e fucilati a Tagliacozzo l'8 dicembre 1861. Erano 17, di cui 8 napoletani e 9 spagnoli. Fra questi ultimi vi era José Borges. Addosso gli furono trovate varie carte, tra le quali un taccuino-diario scritto in francese. Finiva così, con un totale fallimento, la prima spedizione di spagnoli al servizio dei Borbone napoletani.
Mentre si svolgeva l'offensiva di Borges, le autorità borboniche a Roma non avevano cessato di approntare altre iniziative. Il catalano Rafael Tristany, anch'egli come Borges carlista e generale di brigata, giunse a Roma per porsi al servizio di Francesco II nel novembre 1861. Aveva 47 anni. Dopo il fallimento di due precedenti tentativi, Tristany nel marzo 1862 intraprende una nuova campagna contro il Regno sabaudo sui monti al confine tra lo Stato pontificio e l'Abruzzo. Vi rimase per più di un anno. Le forze armate del Papa, che presidiavano quel confine, non opposero mai un serio impedimento alla guerriglia. La stessa accondiscendenza veniva data dai soldati francesi fin quando furono comandati dal filolegittimista generale Charles de Goyon. Obiettivo di Tristany era quello di riunire i legittimisti spagnoli, francesi e tedeschi insieme ai briganti di Luigi Alonzi, detto Chiavone, che operava presso Sora e comandava una banda di circa 200 uomini. Ma anche in questo caso non furono buoni i rapporti tra lo straniero Tristany e l'indigeno Chiavone. Questa volta però ad avere il sopravvento fu lo spagnolo, che fece arrestare e fucilare il capo brigante (anche se alcune versioni non danno per morto Chiavone). Successivamente Tristany fu arrestato dai francesi e allontanato definitivamente dall'Italia. In un suo diario Tristany ha sostenuto che il fallimento della lotta armata borbonica fu determinato dalla mancanza di denari e di quadri e dai contraddittori ordini dei Comitati borbonici. I giudizi che vengono dati su Tristany sono per lo più ostili, fino all'accusa di grande venalità che lo avrebbe fatto passare addirittura con i piemontesi. Albònico però lo difende e ne da un giudizio complessivamente positivo.
Altro personaggio spagnolo che entra nelle vicende della lotta borbonica è il luogotenente di Tristany, il carlista spagnolo Juan Serracanta, falegname ebanista, che come tanti altri, sia italiani che stranieri, hanno sfruttato le operazioni della Corte borbonica per fare soldi. Serracanta effettua uno spudorato doppio gioco e in cambio di denaro promette di far cadere i suoi uomini, spagnoli e napoletani, nelle braccia dei piemontesi. Questi ultimi in questo affare spendono parecchi soldi, ma con scarsissimi risultati.
Altri spagnoli di un certo rilievo che hanno appoggiato la lotta legittimista sono stati il colonnello Silvestre Bordanova, prima carlista e poi appartenente alle forze armate regolari spagnole, e Agustín Capdevila, compagno d'armi di Borges. Ambedue avevano partecipato alla difesa di Gaeta. Successivamente Bordanova si ritirò in Spagna, mentre Capdevila fu fucilato dai piemontesi a Lagopesole, in Basilicata, nel gennaio 1862.
In totale il numero degli spagnoli impegnati nel tentativo di organizzare l'opposizione armata al Regno d'Italia piemontese non superò il centinaio.
Albònico chiude il suo libro tirando delle conclusioni, che sostanzialmente condivido. Grande è stata la pochezza morale, ma anche militare e politica, dei protagonisti della vicenda, sia borbonici che piemontesi; non si riesce a individuare quale delle due parti sia ricorsa a metodi peggiori, chi abbia commesso più malefatte. La fine del brigantaggio politico è da fissare non alla fine del 1861 con la morte di Borges, come molti fanno, ma alla fine del 1863 con la firma della convenzione franco-piemontese e la scomparsa dalla scena di Tristany, Bosco e Serracanta. I briganti inoltre combattevano una loro guerra autoctona, parallela a quella in favore di Francesco II. Molto grande fu la profusione di denaro pubblico da parte del Ministero dell'Interno piemontese per pagare agenti provocatori, che talvolta sfruttarono anche i cosiddetti briganti. Viene rivalutata la figura di Francesco II, che non è assolutamente spregevole e insignificante come interessatamente lo dipinge la pubblicistica liberale filopiemontese.
Ancora da approfondire rimane il coinvolgimento spagnolo extragovernativo a favore dei Borbone, quale quello della regina Isabella II, dei vescovi e dei maggiorenti del carlismo.

Aldo Albònico, La mobilitazione contro il Regno d'Italia: la Spagna e il Brigantaggio meridionale postunitario, Giuffrè Editore, Milano 1979, pp. 402

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