Fernando Riccardi nell'introduzione al
suo libro scrive che ha soltanto gettato un minuscolo seme nel
terreno della vera storia del brigantaggio. Noi riteniamo che abbia
fatto qualcosa di più, specialmente quando individua e descrive le
cause che hanno dato vita a quel fenomeno; solo mettendo assieme
tutte quelle cause e concatenandole organicamente può essere
spiegata la genesi del brigantaggio postunitario, nessuna di esse
presa isolatamente ha svolto un ruolo decisivo.
Dai piemontesi fu abolito il concordato
firmato nel 1818 tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie e
furono emanati una serie di decreti che abolivano pressoché
totalmente la proprietà ecclesiastica, che fino ad allora aveva
costituito una vitale risorsa per i tanti che vivevano in situazioni
di precarietà e di indigenza. Era scontato che questo avrebbe
alimentato il fuoco della rivolta, ma al governo sabaudo importava
solamente incamerare l'ingente patrimonio ecclesiastico per
rimpinguare le sue esangui casse.
Il carico fiscale si abbatté come una
mannaia sulle popolazioni dell'ex regno napoletano. Prima
dell'avvento dei piemontesi le tasse in vigore erano soltanto cinque,
che pesavano principalmente sui possidenti. Tutto ad un tratto
vennero introdotte una caterva di tasse, che andarono ad incidere
soprattutto sulle classi più umili. Lo scopo era ben preciso:
tutelare la ricca borghesia liberale che aveva abbracciato la causa
unitaria e stritolare chi già si dibatteva in enormi difficoltà. E
poi venne anche la tassa sul macinato. Le proteste dei "cafoni"
furono sedate con le fucilate.
L'obbligatorietà del servizio militare
nell'esercito borbonico in pratica era solo nominale, lo svolgevano i
volontari che erano tantissimi. Con i piemontesi la leva divenne
obbligatoria. La stragrande maggioranza dei giovani meridionali
disertò. Non volevano lasciare la loro terra per andare a morire
lontano e non volevano privare le loro povere famiglie di braccia
lavoro (il servizio durava sei anni). I piemontesi arrestavano i
renitenti e fucilavano chi si opponeva. Chi si salvò scappò in
montagna ad ingrandire l'esercito dei briganti.
L'eterna promessa di dare le terre a
chi le lavorava (almeno quelle demaniali) spinse molti giovani
meridionali ad arruolarsi con Garibaldi. Ma anche questa volta
rimasero fregati. Le terre demaniali furono messe in vendita, ma
vennero tutte accaparrate dai ricchi "galantuomini", che
avevano i soldi per comprarle. Ai poveri "bracciali" non
restava che fame, miseria e disperazione. E divennero briganti,
lottando per se stessi e per la terra.
Conseguenza del passaggio delle terre
demaniali ai ricchi fu l'abolizione degli usi civici. Fino ad allora
i poveri meridionali avevano potuto frequentare liberamente le terre
del demanio pubblico, raccogliendo legna, olive, funghi, erbe,
bacche, ghiande e altro, per sfamare se stessi e i loro animali. Ora
tutto ciò fu impedito. E per non morire di inedia furono costretti
ad imbracciare il fucile e rifugiarsi nelle montagne e nei boschi. Da
briganti si beveva, si mangiava e non si moriva di fame.
Ed infine la popolazione meridionale
nutriva un profondo attaccamento alla monarchia borbonica, che si era
sempre schierata in difesa e al fianco del popolo. Quando gli ultimi
due giovani regnanti furono cacciati dal loro Regno con le armi,
senza alcuna dichiarazione di guerra, il popolo si schierò dalla
loro parte. I briganti andarono all'assalto dei soldati piemontesi e
morivano gridando "viva re Francesco" e "abbasso
Garibaldi e il re Savoia".
Tra i briganti troviamo contadini,
braccianti, coloni, massari, pastori, mulattieri, carbonai,
guardiani, ma anche artigiani, commercianti, possidenti,
aristocratici, funzionari, ed ancora preti, frati, canonici, abati,
vescovi, ed anche garibaldini.
«Tutto
questo variegato cosmo di umanità - scrive Riccardi - contribuì a
tenere desta per dieci lunghi anni, e anche di più come dimostrano
alcuni recenti studi, la rivolta brigantesca».
Fu una lotta di popolo, di cui la storiografia ufficiale non parla.
Il libro poi tratta di uomini e fatti più significativi del
Brigantaggio: il lucano Carmine Crocco, il brigante più famoso del
decennio postunitario, che con la sua banda a cavallo, che in alcuni
momenti raggiunse le 1.500 unità, riportò una serie di clamorose
vittorie contro le truppe sabaude; il pugliese Pasquale Romano, il
più importante fra i briganti politici, ex sergente dell'esercito
borbonico divenne mito e simbolo della lotta senza quartiere allo
straniero invasore; i legittimisti stranieri: rampolli di nobili
famiglie, militari di ogni ordine e grado, avventurieri in cerca di
emozioni forti, artisti, scrittori, poeti, romanzieri e letterati,
che vennero in aiuto del re borbone Francesco II e della regina Maria
Sofia, fra essi vengono ricordati lo spagnolo generale José Borges,
il belga marchese Alfred de Trazegnies, il tedesco nobile Edwin
Kalkreuth; le brigantesse, a volte più risolute e determinate dei
loro compagni, fra esse Maria Oliverio (Ciccilla), Maria Capitanio,
Michelina De Cesare; la deportazione di un ingente numero di
prigionieri napoletani nei lager del Nord (Fenestrelle il più
tristemente famoso), dove venivano lasciati morire e sciolti nella
calce viva per non lasciarne traccia; la commissione parlamentare
d'inchiesta sul brigantaggio, mandata nel Sud con il compito
assegnato di convincere il parlamento a promulgare una legge che
attribuisse ai tribunali militari la competenza a giudicare i
briganti (legge Pica); la persecuzione spietata da parte piemontese
contro le gerarchie e le istituzioni ecclesiastiche: moltissimi
vescovi meridionali vennero allontanati dalle loro diocesi, molti
seminari diocesani vennero chiusi, oltre 2.300 conventi e monasteri
furono chiusi e quasi 30 mila religiosi messi in mezzo alla strada;
i fotografi dei briganti, che accompagnarono l'esercito piemontese
durante tutta la campagna del Sud, utilizzati per fini
propagandistici affinché descrivessero il fenomeno brigantesco non
per quello che realmente era ma per ciò che il governo piemontese
voleva che apparisse.
Peculiarità del libro di Fernando Riccardi è l'aver collegato episodi storici
del brigantaggio, avvenuti 150 anni fa, alla rievocazione che di
quegli episodi vien fatta ai giorni nostri. L'avventura di Carmine
Crocco viene rappresentata ogni anno per l'intero periodo estivo nel
parco della Grancìa, a Brindisi di Montagna in provincia di Potenza,
con un eccezionale cinespettacolo dal titolo "La storia
bandita". L'arresto e la fucilazione di José Borges vengono
commemorati da una decina d'anni l'8 dicembre a Sante Marie in
provincia dell'Aquila. Il 6 gennaio di ogni anno viene celebrata, in
una cerimonia rievocativa, l'uccisione del sergente Romano nel bosco
di Vallata a Gioia del Colle in provincia di Bari. Allo stesso
sergente brigante Pasquale Romano è stata intitolata una strada a
Villa Castelli in provincia di Brindisi.
Rocco Biondi
Fernando Riccardi, Brigantaggio postunitario - Una storia tutta da scrivere, Arte Stampa Editore, Roccasecca (Fr) 2011, pp. 222, € 20,00
1 commento:
Mi sono perso la presentazione a Cassino. Fate sapere dove farete la prossima. Ho scritto un romanzo storico su quel periodo: Il Brigante Repubblicano e sono molto interessato a tutto ciò che è stato dopo quel 1860. Il link ad una recensione del mio libro è qua
http://www.caserta24ore.it/13022012/libri-e-uscito-il-brigante-repubblicano-la-storia-di-un-giovane-contadino-meridionale-che-finisce-nella-banda-de-il-generale-dei-briganti-carmine-crocco/
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