3 aprile 2011

Il brigantaggio postunitario, di Raffaele Nigro


Nel libro viene raccontata la storia del brigantaggio postunitario, esaminando la letteratura sul tema. Vengono presentati gli scritti, contemporanei agli avvenimenti e successivi, inquadrandoli e classificandoli di volta in volta fra quelli a favore dei rivoltosi meridionali e quelli a favore degli invasori piemontesi.
L'anno di partenza è il 1860. «Un anno di azioni, militari e politiche, straordinarie. A raccontarlo, anche in poche parole, sembra un romanzo», scrive Raffaele Nigro.
Garibaldi sbarca in Sicilia e, senza una vera opposizione militare, risale le regioni meridionali fino Napoli. Francesco II, ultimo re borbone, si rifugia a Gaeta, da dove dopo una strenua resistenza ripara a Roma. Nelle campagne dell'Abruzzo, del Molise, della Basilicata, della Campania e della Puglia si scatena, contro i piemontesi, una violenta reazione armata, da parte di contadini, artigiani, pastori, renitenti alla leva, soldati sbandati, idealisti stranieri; una guerriglia che terrà impegnato l'esercito piemontese per diversi anni e porterà alla promulgazione di leggi speciali.
Capi di questa rivolta furono, tra gli altri, il lucano Carmine Crocco di Rionero, il pugliese Pasquale Romano di Gioia del Colle, Luigi Alonzi nato a Sora ai confini con l'Abruzzo, il legittimista spagnolo Josè Borges, il campano Gaetano Manzo di Acerno.
A fare luce su molti avvenimenti di quegli anni fu l'Autobiografia, scritta dal capobrigante Carmine Crocco, detenuto nel carcere di Portoferraio, e revisionata dal capitano medico Eugenio Massa, pubblicata nel 1903. Nel 1862 il ginevrino Marc Monnier aveva pubblicato a Parigi il Giornale di Borjes, poi tradotto in italiano; era un diario nel quale il generale catalano Borges annota la sua triste avventura dallo sbarco in Calabria sul finire del settembre 1861 ad alcuni giorni prima di essere fucilato a Tagliacozzo l'8 dicembre dello stesso anno; nel diario si rende anche conto del tentativo fallito di trovare un'intesa con Carmine Crocco. Nel 1868 l'ufficiale tedesco Ludwig Richard Zimmermann pubblicava a Berlino un libro di Memorie della sua vita tra i briganti nel biennio 1861-62 fra i monti abruzzesi, dove operava il capo brigante Chiavone (Luigi Alonzi) fucilato il 28 giugno 1862; il libro di recente è stato tradotto dal tedesco in italiano da Erminio De Biase. Utile per conoscere come vivevano i briganti è il diario di William Moens, un agente di borsa inglese, che nel maggio del 1865 venne sequestrato fra i monti dell'Irpinia dalla banda di Gaetano Manzo; rimasto prigioniero per tre mesi, venne liberato dietro pagamento di un forte riscatto; il diario venne pubblicato nel 1866 a Londra e tradotto successivamente in italiano col titolo di Briganti italiani e viaggiatori inglesi.
Raffaele Nigro dà poi conto di diversi scritti filopiemontesi. A cominciare dal libro che il giornalista ginevrino Marc Monnier pubblica nel 1862 prima a Parigi e poi Firenze: Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle province napoletane dai tempi di fra Diavolo sino ai nostri giorni; era un libro utile alla causa liberale e al progetto unitario di Cavour. Basilide Del Zio, medico di Melfi ed esponente della media borghesia, pubblica nel 1905 Melfi - le agitazioni del Melfese - Il brigantaggio. Documenti e note; nel libro Del Zio segue le vicende dei briganti casale per casale in una ricostruzione minuta e con l'intento di mostrare la partecipazione dei lucani alla difesa dell'unità d'Italia contro il legittimismo di una parte dei contadini e di una piccola schiera di borghesi. Il maggiore Carlo Melegari, che partecipò con i piemontesi all'eccidio di Casalduni e Pontelandolfo, trentasei anni dopo quegli avvenimenti pubblica in forma anonima i Cenni sul brigantaggio. Ricordi di un antico bersagliere; ovviamente negativo è il giudizio che dà della resistenza dei briganti. Alessandro Bianco di Saint-Jorioz, ufficiale dell'esercito piemontese, nel 1864 dà alle stampe Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863 studio storico-politico-statistico-morale-militare; il libro ha un dettagliato dizionario biografico dei capibanda che operano nel centro Italia e prova a spiegare come francesi e papalini siano i veri manutengoli di queste bande; per Jorioz i briganti sono solo delinquenti pronti alla razzia.
Dall'altra parte vi sono scrittori che danno del fenomeno del brigantaggio una lettura diversa, attribuendogli un significato sociale e politico. Il capitano borbonico Tommaso Cava De Gueva nel 1865 pubblica Analisi politica del brigantaggio attuale nell'Italia meridionale; viene esaltato l'operato dei legittimisti, che hanno provato a far insorgere il Regno di Napoli dopo la disfatta. Pasquale Villari, un liberale moderato, nelle sue Lettere meridionali pubblicate nel 1878, sostiene che il brigantaggio è la conseguenza di una questione agraria e sociale, che travaglia quasi tutte le province meridionali; la condizione di vita dei contadini meridionali è tale che essi non hanno alternativa, la fame o il brigantaggio. Enrico Pani Rossi, funzionario settentrionale trasferito a Potenza per lavoro, nel suo volume La Basilicata ritiene che il brigantaggio sia una risposta sociale al disinteresse della politica e una reazione alla miseria. Francesco Saverio Nitti, lucano di Melfi e presidente del consiglio prima del fascismo, nel suo saggio Eroi e briganti del 1899 scrive: «Per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa. Le rivolte dei briganti, coscienti o incoscienti, nel maggior numero dei casi ebbero il carattere di vere e selvagge rivolte proletarie». Giustino Fortunato, parlamentare lucano nato a Rionero nel 1848, ripeteva che il brigantaggio era stato la reazione di una gente stanca di subire quotidiani soprusi. Gaetano Salvemini, pugliese di Molfetta, storico e antifascista, era convinto che la depressione del sud fosse funzionale al decollo economico avviato da Giolitti nelle aree settentrionali; intervenne sul tema del brigantaggio con un'analisi della vita del brigante Michele Di Gè.
La questione meridionale e il brigantaggio furono affrontati, negli anni del fascismo e immediatamente dopo, in parecchi romanzi. Non più letteratura popolare, ma letteratura funzionale alla lotta politica contro il fascismo, che si era schierato con la borghesia e con gli agrari contro i lavoratori della terra. Corrado Alvaro pubblica nel 1930 Gente in Aspromonte; non c'è nulla di leggendario e di esaltante nella vita del brigante, perché al fondo di questa scelta c'è la vita del pastore e del bracciante; ad Alvaro preme raccontare le ragioni che spingono un giovane al banditismo, non ciò che avviene quando un individuo ha superato l'argine della legalità; se non esiste una Giustizia nella società ognuno se la inventi con le sue mani. Nel 1933 Ignazio Silone pubblica in lingua tedesca Fontamara, che uscirà in Italia in italiano solo nel 1953; è la storia della vita del brigante Berardo Viola, che reagisce al proprio destino di immobilismo lottando, a favore del ritorno dei Borboni, fra le montagne dell'appennino abruzzese; arrestato morirà in carcere nel 1906. Nel 1942 Riccardo Bacchelli pubblica il racconto lungo Il brigante di Tacca del Lupo; in esso si riassume l'epopea brigantesca del Sud e la difficoltà di unificazione nazionale. Francesco Jovine pubblica nel 1942 il romanzo Signora Ava; si spiegano le ragioni dei fenomeni rivoluzionari e briganteschi mutuando la visione gramsciana della storia; i contadini combattono contro gli aristocratici e i borghesi per il possesso della terra; il romanzo è un affresco della provincia molisana nel periodo 1859-1862, sulle orme delle gesta di Pietro Veleno, contadino fattosi brigante suo malgrado. Ancora nel 1942 Carlo Alianello pubblica L'alfiere, epopea epica nella quale il brigantaggio veniva presentato come questione sociale e politica: quella dei briganti era stata una resistenza vera e propria contro l'invasione dell'esercito piemontese; nel 1952 Alianello ritorna sul tema del brigantaggio con Soldati del re; poi nel 1963 Alianello vince il premio Campiello con il romanzo L'eredità della priora, in esso si parla di briganti che comunque non diventeranno mai protagonisti, le loro azioni si svolgono sullo sfondo; Alianello ha l'opportunità di dichiarare la propria posizione antiunitaria e antinordista: i grandi ideali dell'Unità d'Italia sono naufragati con la guerra fatta dai piemontesi contro il Meridione.
Nel secondo dopoguerra molte pubblicazioni affrontano il tema del brigantaggio. Nel 1959 lo storico inglese Denis Mack Smith, nella sua Storia d'Italia, inserisce il paragrafo Controrivoluzione e brigantaggio (1860-65); nel 1959 Michele Topa pubblica vari articoli sul brigantaggio, poi raccolti nel 1993 in volume sotto il titolo I Briganti di sua Maestà; nel 1964 Franco Molfese pubblica Storia del Brigantaggio dopo l'Unità; Tommaso Pedio nel suo monumetale Dizionario dei patrioti lucani. Artefici e oppositori (1700-1870) inserisce moltissimi briganti; nel 1969 Aldo De Jaco pubblica Il brigantaggio meridionale. Cronaca inedita dell'Unità d'Italia; nel 1974 Maria Rosa Cutrufelli pubblica L'unità d'Italia - guerra contadina e nascita del sottosviluppo del Sud; nel 1980 esce di Roberto Martucci Emergenza e tutela dell'ordine pubblico nell'Italia liberale; nel 1999 inizia la pubblicazione in tre volumi della Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli archivi di Stato. 
Il libro, pubblicato da Adda in bella veste grafica, è in parte una risistemazione aggiornata del materiale sul brigantaggio postunitario presente nell'opera magna sulla letteratura del brigantaggio pubblicata da Nigro nel 2006 presso Rizzoli con il titolo Giustiziateli sul campo. Sono state aggiunte le cronache delle visite fatte ai luoghi borbonici e banditeschi. Questa nuova edizione si arricchisce con un vasto apparato iconografico che raccoglie foto, incisioni, pitture, pagine di giornali, copertine di libri, fotogrammi di film sul brigantaggio. 
Facendo la cronaca della manifestazione che si svolge ogni anno nel bosco di Gioia del Colle, presso il monumento al Sergente Romano, Raffaele Nigro afferma, dimostrando la sua simpatia per Garibaldi: «Mi infastidisce ascoltare da Nisticò che il vero bandito sia stato Garibaldi»; ma io e tantissimi altri la pensiamo come Ulderico Nisticò. 
Fra le aggiunte, rispetto al libro del 2006, mi piace notare la citazione dell'attività dell'associazione “Settimana dei Briganti” di Villa Castelli, della quale mi onoro essere presidente. 
Rocco Biondi 

Raffaele Nigro, Il brigantaggio postunitario. Dalle cronache al mito, Mario Adda Editore, Bari 2010, pp. 200, € 20,00

1 commento:

Anonimo ha detto...

bell'articolo, cercherò di procurarmi il libro. roberto.