Il
libro parla del palazzo Acciari, sito in Sala Consilina (provincia di Salerno
in Campania), ed in particolare del ruolo che questo palazzo ebbe durante il
periodo del brigantaggio postunitario con il capobrigante Angelantonio Masini.
Costruito nel milleseicento subì importanti
modifiche intorno al 1735, come risulta dalla data posta al centro
dell’epigrafe in latino che corre lungo la cornice del portico interno. In
quegli anni fu aggiunto il «portale principale, sorretto da colonne e
ingentilito dal ricamo della balaustra del terrazzo, del frontone con gli
stemmi sormontati dalla corona nobiliare, dal portico supportante una loggia
coperta e una terrazza aperte su un ampio e suggestivo panorama».
Nel 1863, anno d’inizio della vicenda che
si narra nel libro, l’immenso casamento era abitato in tutto da otto o nove
persone, compresa la servitù. Capo nominale della famiglia era il
settantaseienne Pietro, vedovo, che aveva due figli: Vincenzo e Felice; il
primo, quarantaseienne, era sposato con Angela Mugnolo ed aveva due figlie:
Maria diciottenne e Maria Giuseppa tredicenne; il secondo, Felice, era prete e
parroco di San Nicola. Completavano il gruppo domestico due o tre persone della
servitù.
L’autore Alfonso Vesci, nato a Sala
Consilina, abbracciò la carriera militare andando in pensione con il grado di
Generale di Corpo d’Armata. E’ un risorgimentale, come risulta chiaramente
dalle pagine del libro. L’appoggio dato al brigantaggio, infatti, per lui
risulta essere la causa principale della decadenza della famiglia Acciari.
L’ala principale del palazzo era stata
assegnata con la dote alla nonna paterna dell’autore. Il padre aveva raccontato
ad Alfonso, nelle sere d’inverno passate accanto al fuoco del camino,
l’avvincente storia dei briganti nascosti in casa e dei carabinieri e dei
soldati che davano loro la caccia. In quei racconti venivano mischiati
briganti, vittime, funzionari, militari, guardie nazionali, il paese intero, ma
soprattutto lui, Angelo Antonio Masini, il capobrigante di Marsico. Molti anni
dopo, scrive nella nota introduttiva Alfonso Vesci, complice la passione per la
storia del Risorgimento, durante ricerche sul periodo del brigantaggio, si era
imbattuto di nuovo negli Acciari, negli archivi dell’ufficio storico dello
Stato maggiore dell’Esercito. E quella storia, anche se “minima”, l’autore ha
voluto trarre dall’oblio, consapevole che quella «è pur sempre parte della
Storia con tanto di iniziale maiuscola».
Angelantonio Masini, detto Ciuccolo, era nato a Marsicovetere
(provincia di Potenza in Basilicata) nel 1837. Al compimento della maggiore età
fu soldato nell’esercito borbonico. Renitente al richiamo alle armi
nell’esercito piemontese, si diede alla macchia nell’ottobre 1861. Con il
cugino Nicola Masini mise su una banda di una quindicina di briganti.
Inizialmente il suo campo d’azione fu una piccola area intorno al suo paese. In
seguito, con il crescere dell’organico e della fama, fu chiamato spesso a far
parte di bande maggiori e più importanti capitanate da Peppe Caruso (Zi’ Peppe), Donato Fortuna (Tortora), Giovannino Fortunato (Coppa), Giuseppe Nicola Summa (Ninco Nanco), Giuseppe Padovani (Cappuccino), Carmine Crocco (Donatello).
Fu costretto dall’azione del generale
piemontese Emilio Pallavicini a spostare il suo settore d’azione sul versante
del Vallo di Diano, sul confine fra le attuali Campania e Basilicata. Qui fu
necessario creare la rete di sostegno: spie, basisti, messaggeri, portatori di
viveri, sellai, fabbri e maniscalchi, calzolai, sarti, armaioli, medici. Ma
servivano anche “amici” importanti e facoltosi in grado di offrire rifugi
sicuri ed entrature e coperture presso i poteri costituiti. Questi “amici”
infatti erano meno soggetti ai controlli delle autorità civili e militari, e la
magistratura assicurava loro una qualche impunità.
Per il capobrigante Masini gli Acciari
costituivano una sufficiente certezza di insospettabilità. Il loro palazzo poi,
in ottima posizione, offriva agevoli accessi, favorevoli vie di fuga, sicuri
nascondigli in caso di ispezioni, numerose feritoie per osservare e mettere
sotto tiro eventuali assalti. Fu fatto quindi un accordo fra Masini e gli
Acciari, favorevole ad entrambi.
Triplice poteva essere la causa che
spingeva i “notabili” ad appoggiare il brigantaggio: comunanza di ispirazione
filoborbonica o di matrice cattolica, paura di vedere i propri beni (bestiame,
colture, masserie) distrutti, guadagni (i briganti pagavano bene).
Quest’ultima, secondo il Volsci, fu la causa principale che spinse gli Acciari
ad appoggiare Masini, tenuto conto delle difficoltà economiche in cui questa
famiglia di ex ricchi cominciava a trovarsi.
Verso la fine del 1863 la banda Masini,
composta di circa una quarantina di uomini, effettuò vari assalti nel
territorio di Sala, uccidendo animali, incendiando masserie, depredando beni ed
armi.
Per l’intero inverno Maria Rosa Marinelli,
donna di Angelantonio Masini, e Filomena Cianciarulo, compagna di Nicola
Masini, quest’ultima in stato di avanzata gravidanza, furono ospiti nel palazzo
Acciari. Le due donne, che ufficialmente erano state rapite, partecipavano
attivamente alle imprese della banda, distinguendosi per intelligenza,
combattività, abilità nel maneggio delle armi. Perquisizioni nel palazzo da
parte dei piemontesi, durante la permanenza delle due donne, non portarono a
risultati concreti; il sistema dei nascondigli funzionò a dovere.
Filomena Cianciarulo il 28 marzo 1864 diede
alla luce una bambina, che don Felice Acciari battezzò, prima che venisse
esposta (vale a dire abbandonarla alla carità e alle cure altrui).
Angelantonio Masini, riuscendo a raggruppare
fino ad una settantina di briganti, mise a segno altri clamorosi colpi. Ma subì
anche pesanti battute d’arresto. Nel frattempo era stato trovato un secondo
punto d’appoggio nella masseria di Silvestro Addobbato, un altro salese.
Ma il cerchio attorno a Masini si stringe e
per il tradimento di tale Gerardo Ferrara, proprietario di una masseria, fu
ucciso durante un conflitto a fuoco il 20 dicembre 1864. Molti briganti della
sua banda si arresero o furono arrestati, e vuotarono il sacco contro i loro ex
compagni.
I fratelli Vincenzo e Felice Acciari furono
arrestati, e dopo un processo fu comminata una pena di 20 anni di lavori
forzati; pena che fu ridotta a 10 anni e forse, secondo il Volsci, ne scontarono
al massimo sette od otto anni.
Anche Silvestro Addobbato fu condannato a
15 anni di lavori forzati.
Maria Rosa Marinelli fu condannata a
quattro anni, più sei di vigilanza speciale. Filomena Cianciarulo ebbe una
condanna a tre anni di reclusione, più sei di vigilanza speciale; partorì nel
carcere un altro bambino, sempre figlio di Nicola Masini.
Per il Volsci, il nome degli Acciari
portato orgogliosamente dagli avi «fu trascinato alla vergogna dagli incauti
ultimi discendenti». Dimostrando così la poca stima che ha per i briganti.
Il libro si chiude con la “sorpresa”, anche
per l’autore Volsci, che nel 2014 viene a sapere dell’esistenza in Brasile di
un discendente degli Acciari.
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