Sono arrivato alla fine del libro, ma
non sono riuscito a trovare una risposta alla domanda che mi ero
fatta leggendo il sottotitolo del libro: perché i terroni dovrebbero
salvare l'Italia?
Non vedo un motivo plausibile che
dovrebbe spingere i meridionali, che per 150 anni sono stati
annientati dalla cultura e dall'economia nordista, ad avere un
qualsiasi interesse ad impegnarsi in un qualche modo per risollevare
le sorti dell'Italia cosiddetta unita. Questa convinzione mi proviene
dall'attenta lettura fatta a suo tempo di "Terroni" ed ora
di "Giù al Sud".
I due libri di Pino Aprile sono
accomunati dal riuscito tentativo di indicare possibili strade di
"guerriglia culturale" per far uscire i meridionali dalla
minorità cui sono stati condannati dagli artefici della malefica
unità.
La strada maestra è stata ed è la
ricerca della "propria storia denigrata e taciuta". E
questa fame di storia è avvertita come risorsa economica e
personale. Si cercano i documenti, si scrive l'altra storia, quella
della stragrande maggioranza degli abitanti del Sud che dopo il 1860
si sono opposti alla invasione piemontese. Si scoprono i nostri padri
briganti, che hanno lottato e sono morti per la loro terra, le loro
famiglie, la loro patria. Si dà vita a progetti artistici che hanno
come protagonista il proprio passato, del quale non ci si vergogna
più. Per andare avanti bisogna ripartire da quel che eravamo e da
quel che sapevamo. I nostri antenati subirono e si auto-imposero la
cancellazione forzosa della verità storica. Bisogna riscoprirla
questa verità se vogliamo diventare quello che meritiamo di essere.
Nel Sud i guai arrivarono con l'Unità.
Le tasse divennero feroci per «tenere
in piedi la bilancia dei pagamenti del nuovo Stato e concorsero a
finanziare l'espansione delle infrastrutture nel Nord».
A danno del Sud, dove le infrastrutture esistenti vennero
smantellate. Messina, perno commerciale dell'intera area dello
Stretto, perse il privilegio di porto franco, con scomparsa di molte
migliaia di posti di lavoro. La Calabria, che oggi appare vuota e
arretrata, era partecipe di fermenti e traffici della parte più
avanzata d'Europa. In Calabria si producevano bergamotto, seta,
gelsomino, lavanda, agrumi, olio, liquirizia, zucchero di canna. Per
favorire l'industria del Nord si provocò il crollo dell'agricoltura
specializzata del Sud, chiudendo i suoi mercati che esportavano
oltralpe.
Scrive Pino Aprile: «L'Italia
non è solo elmi cornuti a Pontida, pernacchie padane e bunga bunga».
L'Italia è anche la somma di tantissime singolarità positive
esistenti nel Sud. E il suo libro è la narrazione, quasi resoconto,
degli incontri avuti con queste realtà nei suoi viaggi durati tre
anni dopo l'uscita di "Terroni".
Pino Aprile si chiede ancora: «Perché
la classe dirigente del Sud non risolve il problema del Sud, visto
che il Nord non ha interesse a farlo?».
E risponde: perché la classe dirigente nazionale è quasi tutta
settentrionale, perché il Parlamento è a trazione nordica, perché
le banche sono tutte settentrionali o centrosettentrionali, perché
l'editoria nazionale è quasi esclusivamente del Nord, perché la
grande industria è tutta al Nord e solo il 7,5 per cento della
piccola e media industria è meridionale. E allora che fare? «Finché
resterà la condizione subordinata del Sud al Nord - scrive Pino
Aprile -, la classe dirigente del Sud avrà ruoli generalmente
subordinati. Quindi non "risolverà", perché dovrebbe
distruggere la fonte da cui viene il suo potere delegato. Si può
fare; ma si chiama rivoluzione o qualcosa che le somiglia. E può
essere un grande, pacifico momento di acquisizione di consapevolezza,
maturità. Succede, volendo».
E non ci si può limitare alla denuncia, bisogna lasciarsi
coinvolgere direttamente e personalmente, per governare questi
fenomeni.
Negli Stati Uniti d'America i
persecutori hanno saputo pacificarsi con le loro vittime indiane,
riconoscendo il loro sacrificio ed onorandole. In Italia questo non è
ancora avvenuto, gli invasori piemontesi non hanno ancora
riconosciuto le motivazioni della rivolta contadina e dei briganti.
Noi meridionali dobbiamo pretendere questo riconoscimento. Noi
meridionali l'unità l'abbiamo subita, non vi è stata un'adesione
consapevole. Nei fatti essa unità è consistita nel progressivo
ampliamento del Piemonte, con l'applicazione forzata delle sue leggi,
strutture, tasse e burocrazia. Il Sud, ridotto a colonia, doveva
smettere di produrre merci, per consumare quelle del Nord: da
concorrente, a cliente.
Non è vero che la mafia esiste solo al
Sud. Milano è la principale base operativa per 'ndrangheta e mafia
siciliana, dove si trasforma il potere criminale in potere economico,
finanziario, politico.
Stiamo per uscire dalla minorità, dopo
un sonno di un secolo e mezzo, il Sud sembra aprire gli occhi.
Lo sconfitto smette di vergognarsi di
aver perso e recupera il rispetto per la propria storia.
L'interesse primario dei meridionali
non deve essere quello di salvare l'Italia, ma quello di valorizzare
se stessi. Solo indirettamente e conseguentemente, forse, potrà
avvenire il salvataggio dell'Italia intera.
Rocco Biondi
Pino Aprile, Giù al Sud. Perché i terroni salveranno l'Italia, Edizioni Piemme, Milano 2011, pp. 476, € 19,50
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