L'annuario “Riflessioni-Umanesimo
della Pietra” ha pubblicato, nel corso dei suoi trentatré anni di
uscita, vari articoli sul brigantaggio in Puglia. Ora, in occasione
del settimo centenario della fondazione della città di Martina
Franca (luogo di pubblicazione della rivista) e del
centocinquantesimo anniversario dell'unità nazionale, il Gruppo
Umanesimo della Pietra ha deciso di raccogliere in un unico volume
tutti i saggi pubblicati sul tema del brigantaggio nell'annuario
“Riflessioni” dal 1978 al 2010. Sono quindici pezzi di vari
autori.
La motivazione della scelta è stata
esplicitata dal direttore della rivista Domenico Blasi, che nella
presentazione scrive che i collaboratori del Gruppo Umanesimo della
Pietra hanno ritenuto «che
per noi meridionali rivendicare l'orgoglio d'essere italiani
e, quindi, la nostra identità culturale poteva risiedere nel
proporre e nello stimolare una riflessione collettiva su quella che è
un'autentica risorsa della nostra terra: il brigantaggio,
fenomeno sociale variamente interpretato dall'imperante revisionismo
storico».
Rivivono le vicende di uomini e donne
meridionali, uccisi, torturati, imprigionati da una politica
“nazionale” che continuava a relegarli ai margini di una società,
solo a parole liberale e più giusta. Scrive ancora Blasi: «Quel
loro andare solitario lungo i tratturi o per i sentieri dei boschi
racconta le pene e le umiliazioni subite dalle misere genti del Sud,
poveri braccianti e sfruttati in genere, la cui riabilitazione
storica e morale è nel passato che è dentro di noi e che, anche se
non l'abbiamo vissuto direttamente, vive nella storia delle nostre
città e delle nostre campagne, incisa sulle pietre che conosciamo».
Non sempre e non tutti gli articoli
danno però una valutazione benevola dell'operato dei nostri padri
briganti. Spesso gli autori si lasciano prendere la mano dal modo in
cui vengono presentati i fatti nei documenti che hanno per le mani e
spesso acriticamente ripetono valutazioni che appartengono agli
estensori dei verbali e non ai briganti interrogati, che di volta in
volta vengono definiti truci e osceni, minuta e abietta accozzaglia
di terroni, masnadieri, folli, malavitosi, malfattori, criminali,
sozzi, manigoldi, malviventi, figuri, delinquenti, e le brigantesse
vengono appellate drude. Spesso agli autori sfugge (o dimenticano)
quello che uno di loro sottolinea e cioè che, nella verbalizzazione,
le dichiarazioni dei briganti, quasi sempre analfabeti che
sottoscrivevano con una croce, vengono manipolate ad usum delphini.
E' comunque altamente significativa
questa operazione del Gruppo Umanesimo della Pietra e si inserisce a
pieno titolo nel processo in atto di rivalutazione del brigantaggio
meridionale, che Mario Guagnano, prefatore del numero speciale della
rivista e autore di otto degli articoli raccolti, definisce
«complessa realtà
sociale, finora malcelata nei bui sotterranei della Storia, dai quali
oggi emerge prepotente come espressione dell'identità culturale
delle genti meridionali»,
aggiungendo che l'impiego contro i briganti di centoventimila uomini
dell'esercito del neonato Stato italiano fu il riconoscimento
implicito dell'importanza politica e militare dell'insorgenza
postunitaria, in netto contrasto con la propaganda ufficiale, che
all'opinione pubblica interna ed estera dipingeva il fenomeno come
episodico e delinquenziale.
I fatti di brigantaggio, raccolti e
narrati nella miscellanea, riguardano principalmente episodi avvenuti
nell'alto Salento e specificatamente a Noci, a Martina Franca, a
Gioia del Colle, nelle Murge, nella Terra delle Gravine. Protagonista
principale di quasi tutti i saggi raccolti è il brigante ex sergente
borbonico Pasquale Domenico Romano. Ma fanno la loro comparsa anche i
briganti preunitari Gaetano Meomartino detto Vardarelli e il prete
Ciro Annicchiarico; fra i postunitari Carmine Crocco Donatelli,
Cosimo Mazzeo Pizzichicchio, Antonio Locaso il Capraro, Vito Rocco
Chirichigno Coppolone; fra le brigantesse Arcangela Cotugno.
Tanti sono i fatti che si potrebbero
citare, ne ricordo solo alcuni. Francesco Semeraro in un suo
articolo, pubblicato sul primo numero della rivista “Riflessioni”
nel 1978, riporta un episodio (ricordato da molti, anche oggi, con i
toni favolosi della storia dei briganti) avvenuto il 23 settembre
1922 in una masseria di Martina Franca; fu assaltata e saccheggiata
la masseria San Paolo di don Ciccillo Basile; i briganti erano una
quindicina, tra essi vi era anche una donna travestita da monaca; i
briganti vollero che fosse imbandita la tavola e si fecero servire da
donna Nina Lenti, moglie del proprietario; prima dell'alba lasciarono
la masseria con il bottino di argenteria, gioielli e danaro. Il
regime fascista scoprì e represse con durezza i responsabili
dell'episodio. Il guardiano della masseria, di trentuno anni,
accusato di aver segnalato la via libera ai briganti con la luce di
una candela e di aver avvelenato il cane di guardia, morì in
carcere, per le bastonate ricevute, ancor prima del processo. Questo
episodio documenta che il brigantaggio non finì nel 1870. E' una
interessante traccia da approfondire.
Vittorio De Michele presenta e pubblica
per la prima volta gli Appunti sul brigantaggio del prete
martinese Giuseppe Grassi, morto nel 1953. In sostanza il Grassi
concorda con l'azione repressiva contro il brigantaggio messa in atto
dal governo sabaudo, ma alla fine dei suoi appunti non può non
ammettere quanto fu raccapricciante il metodo dei piemontesi nel fare
giustizia dei briganti. Quando venivano uccisi nella guerriglia in
mezzo ai boschi, i loro cadaveri venivano legati nudi sul dorso di un
asino e portati in paese al ludibrio del popolo, per poi essere
buttati in una fossa comune che faceva anche da mondezzaio. Se invece
i briganti venivano catturati vivi, dopo un sommario processo che
durava pochissimi minuti venivano fucilati in piazza e i cadaveri
legati per tre giorni alle colonne della chiesa, per poi essere
precipitati nella fossa comune. Era la sventurata sorte dei
“murt'accìse”.
Nicola Bauer, un altro autore, osserva
amaramente: «Tristi sono
i tempi. La voce del diritto e della giustizia tace. I briganti,
fatti prigionieri, sono subito fucilati, senza nemmeno un sommario
processo».
Questo sonno della ragione degli
invasori piemontesi faceva particolari vittime fra le loro stesse
file. Un elevato numero di suicidi si registrava nei reparti
impegnati nella repressione del brigantaggio, stimato in
cinquanta-sessanta all'anno; non tutti riuscivano a reggere i
massacri che erano costretti a fare.
Mario Guagnano (che riporta la
precedente notizia dei suicidi) documenta una sonora sconfitta subita
dall'esercito piemontese a Montecamplo, nei pressi di Castellaneta
(Taranto). Il 29 gennaio 1864 i briganti, forti di centosessanta
uomini a cavallo, ingaggiarono un combattimento con un battaglione di
fanteria, che lasciò sul campo una cinquantina di soldati morti.
Gli altri autori degli articoli della
miscellanea sono Pasquale Gentile, Angelo Martellotta, Domenico
Greco, Angelo Pais.
L'impressione generale che si riceve,
leggendo gli articoli della miscellanea, è che gli autori si muovano
altalenando, senza scegliere un campo, tra le tesi dei liberali che
vollero e portarono alla cosiddetta unità d'Italia e la difesa
tentata dai briganti della loro terra e delle loro vite. La nostra
scelta di campo è invece unica e chiara: siamo, senza se e senza ma,
dalla parte dei briganti.
Rocco BiondiGruppo Umanesimo della Pietra, Insorgenti e Briganti tra le Murge e il Salento, Artebaria Edizioni, Martina Franca 2011, pp. 184