19 febbraio 2009

Inchiesta Massari sul Brigantaggio, a cura di Tommaso Pedio

Il libro, come scrive nell’introduzione Tommaso Pedio, ripresenta un contributo documentario sulla società italiana negli anni immediatamente successivi all’Unità. Sono raccolte le lettere scritte da Aurelio Saffi alla moglie in occasione del viaggio fatto nel 1863 nelle province meridionali dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio, alcuni articoli pubblicati nello stesso anno da Saffi, uno scritto dell’avvocato Pietro Rosano indirizzato ai componenti della Commissione d’inchiesta, la relazione della Commissione d’inchiesta letta dal deputato Giuseppe Massari alla Camera dei Deputati a Torino nella seduta segreta del 3 maggio 1863, l’altra relazione letta dal deputato Stefano Castagnola nella seduta segreta del 4 maggio 1863, una replica alla relazione Massari pubblicata su “La Civiltà Cattolica” dei Gesuiti sempre nel 1863.
La Commissione d’inchiesta sul Brigantaggio meridionale fu nominata dalla Camera il 22 dicembre 1862, su richiesta dell’allora Governo di Destra, per smentire le conclusioni cui era pervenuta una precedente Commissione che era stata nominata il 28 novembre dello stesso anno. La relazione di quest’ultima Commissione era stata elaborata e letta in seduta segreta dal deputato lombardo Antonio Mosca. In essa si sosteneva che il brigantaggio dell’Italia meridionale era una vera e propria rivolta dei ceti subalterni contro la borghesia terriera che aveva accettato l’annessione al Piemonte perché convinta che il nuovo regime le avrebbe lasciato le terre arbitrariamente usurpate. La miseria quindi aveva spinto i contadini alla rivolta e all’odio contro i ricchi galantuomini. Per superare questi contrasti bisognava avere il coraggio di togliere la terra agli usurpatori e distribuirla ai contadini che ne avevano diritto.
Questa conclusione non poteva essere gradita all’allora classe dirigente. I deputati meridionali, moderati o democratici, fautori o oppositori del Governo, erano essi stessi usurpatori delle terre demaniali. Il Governo, quindi, non poteva mettersi contro la borghesia meridionale.
Gli obiettivi della seconda Commissione sul brigantaggio erano già stati fissati quindi prima della sua nascita e prima del viaggio nell’Italia meridionale. La Commissione era nella sostanza filogovernativa. Entrarono a far parte della Commissione nove deputati appartenenti ai diversi gruppi parlamentari, dall’estrema sinistra all’estrema destra. Il viaggio della Commissione nel Meridione durò circa un mese nel febbraio/marzo 1863. Fu ascoltata soltanto la voce dei galantuomini filogovernativi, non furono ascoltati i briganti sfuggiti alla fucilazione presenti nelle carceri, non furono ascoltate le vedove e le madri dei briganti, non furono ascoltati i cosiddetti manutengoli fiancheggiatori dei briganti, non fu ascoltato il popolo del sud.
Il Massari con la sua relazione si industriò a non irritare né i moderati, né i democratici, né il Governo, né l’opposizione. Pur riconoscendo lo stato di profonda miseria in cui vivevano i braccianti e i contadini, si guardò bene dal porre fra le cause del brigantaggio l’egoismo e le prepotenze dei galantuomini, ridusse il tutto, a suo dire, al malgoverno degli spodestati Borbone e all’ignoranza, fanatismo e superstizione religiosa degli abitanti nelle campagne meridionali. Il brigantaggio venne declassato a volgare delinquenza comune, fomentata ed orchestrata dai sostenitori dei Borboni reazionari e retrivi, i quali ricevevano da Francesco II ordini e disposizioni e dalla Curia Romana uomini e denaro al fine di restaurare a Napoli l’antico regime.
La lunga relazione Massari è divisa in sei capitoli, che illustrano le cause ed il carattere del brigantaggio, la responsabilità del potere centrale, la religione politica, la carenza e disorganizzazione nella lotta contro il brigantaggio, nuovi sistemi da adottare, progetto di legge speciale sul brigantaggio. Gli assunti dei titoli sono vaghi e potrebbero portare indifferentemente a conclusioni opposte. Il Massari arriva alla conclusione che è questione completamente oziosa sforzarsi di capire se il brigantaggio possa avere carattere sociale, essendo evidente che esso viene adoperato e sfruttato dai filoborbonici per fini prettamente politici.
In tutta la relazione viene apertamente fuori l’odio e la supponenza dei piemontesi e dei filopiemontesi contro gli abitanti del sud che lottano per la loro sopravvivenza morale e fisica. Ecco come sono definiti i meridionali, briganti o no: “misero ceto, orde di masnadieri, infame banda, assassini, ladri, saccheggiatori, crudele flagello, contadiname, tristi, superstiziosissimi, predoni, volgari e miserabili scellerati, orde brigantesche, uomini lordi di sangue e macchiati dei più atroci delitti, facinorosi, malfattori, avventurieri e ribaldi di ogni risma, malviventi, abbietti, codardi, cannibali, belve selvagge, rotti ad ogni lascivia e turpitudine, pronti ad ogni delitto, bevitori di sangue, mangiatori di carni umane, sbandati, sanguinarie comitive, vera immondizia di plebe, volgari delinquenti, renitenti, disertori, masnadieri campestri, sciagurati”. Così venivano descritti i nostri padri meridionali dal Massari.
Un’affermazione della relazione giustifica la feroce ed inumana repressione perpetrata in quegli anni dai piemontesi contro l’intero popolo meridionale: «Il brigantaggio è una vera guerra, anzi è la peggior sorta di guerra che possa immaginarsi; è la lotta tra la barbarie e la civiltà», dove ovviamente i barbari erano i meridionali ed i civili i piemontesi. Quelle parole riecheggiamo ancora oggi a giustificazione delle barbare ed inumane guerre dei popoli ricchi contro i popoli poveri.
La relazione Massari si chiude con il progetto di una legge sul brigantaggio di ventinove articoli, proposta a maggioranza dalla Commissione d’inchiesta. In realtà poi la legge che viene approvata con procedura d’urgenza dal Senato nella seduta del 6 agosto contiene solo nove articoli. E’ la famigerata legge Pica, pubblicata il 15 agosto 1863. Viene assegnata ai Tribunali Militari la competenza per i reati di brigantaggio, si sancisce la fucilazione per chi oppone resistenza a mano armata, la condanna ai lavori forzati a vita per chi aiuta i briganti con notizie e viveri, il domicilio coatto per gli oziosi, i vagabondi, i sospetti, i manutengoli ed i camorristi.
La relazione del deputato Castagnola, attraverso la lettura dei verbali di alcuni processi che venivano celebrati in quegli anni, mira a dimostrare che complici ed istigatori del brigantaggio sono Francesco II ed i comitati borbonici residenti a Roma, insieme al governo pontificio. Si parla tra l’altro della congiura di Frisa, del processo Bishop, dei processi contro la banda Pilone, contro il parroco Mancinelli, contro la principessa Barberini-Sciarra, contro monsignor Frapolla vescovo di Foggia, contro la banda del sergente Romano.
A chiusura del libro viene riportato un appassionato intervento della “Civiltà Cattolica”, con il quale si smonta l’intero apparato accusatorio della relazione Massari. Da altra fonte sappiamo che l’intervento è costituito da due articoli pubblicati sulla “Civiltà Cattolica” il 5 ottobre 1863 ed il 7 novembre 1863, a firma del gesuita padre Carlo Piccirillo.
Si sostiene che la causa principale del Brigantaggio sia politica e che esso non sia altro che la difesa della propria indipendenza. L’odio alla bandiera piemontese, la fedeltà a Francesco II che li aveva capitanati a Capua e a Gaeta, il disappunto nel vedere la propria patria caduta in mano ad uno Stato straniero, porta i Briganti ad affrontare una vita piena di stenti, di fatiche, di privazioni, di rischi, fino al sacrificio della propria vita, come per moltissimi avvenne.
La differenza tra i piemontesi ed il popolo meridionale, che ha nei cosiddetti briganti la propria mano armata, è che i primi sono venuti al Sud per rapinare un bene non loro, mentre il secondo vuol recuperare quel bene. Così scrive la “Civiltà Cattolica”: «Il ladro che m’entra in casa, e in parte sostenuto dalla violenza delle proprie armi, in parte aiutato dal tradimento de’ miei servitori, me ne caccia spietatamente, e vi asside padrone in luogo mio, qual diritto potrà invocare in favore suo se quindi a poco, rifatto animo e messomi in forze, io vengo ad assalirlo nella mal occupata casa, e cacciarlo dal non suo nido?»
I vinti riprendono cuore, conclude l’articolo della “Civiltà Cattolica”, ed aspettano d’ora in ora un’occasione favorevole per rinfrancarsi. Sono stati gli errori e le prepotenze dei vincitori piemontesi a generare il Brigantaggio, sono quegli errori e quelle prepotenze che faranno aumentare sempre più gli oppositori, fino al trionfo.
Sappiamo ora che la storia andò diversamente, ma i nostri padri Briganti meritano rispetto. Speriamo che prima o poi la Storia dia loro ragione.
Rocco Biondi

Tommaso Pedio, Inchiesta Massari sul Brigantaggio, Relazioni Massari-Castagnola, Lettere e scritti di Aurelio Saffi, Osservazioni di Pietro Rosano, Critica della “Civiltà Cattolica”, Lacaita Editore, Manduria 1998, pp. 372

1 commento:

José Mottola ha detto...

La Civiltà Cattolica è stata una luce tra le tenebre del modernismo e della persecuzione anticattolica ordita da liberali, giudei e massoni: tra l'altro, tra 1892 e 1938 condusse una forte campagna contro il "popolo deicida",appoggiando l'endocrinologo pugliese Nicola Pende,ispiratore dell'eugenica matrimoniale alla base delle leggi razziali del 1938.Però!