21 agosto 2006

Immigrazione: oltre la pietà

E' la ricerca e la speranza di un modo migliore di vita, per sé e per la propria famiglia, a spingere uomini donne e bambini a rischiare la vita per fuggire dai propri paesi di origine e approdare nei paesi "ricchi". Lo hanno fatto i nostri nonni, i nostri genitori, i nostri fratelli, i nostri parenti. Correndo forse meno rischi, perché non dovevano attraversare il mare.
Chi fugge dalla propria terra non è colpevole. Colpevoli sono semmai i governanti di quelle terre, che non fanno tutto quello che sarebbe necessario per elevare le condizioni di vita dei loro connazionali. Più colpevoli siamo noi, paesi ricchi, che siamo andati in quelle terre per sfruttarle economicamente, senza badare agli uomini chi ci vivono.
Ed ora quegli uomini, disperati, ci raggiungono nei nostri paesi ricchi, per pretendere quello che spetta loro in quanto uomini e donne come noi, con gli gli stessi nostri diritti.
Ed è emergenza. Il problema da affrontare subito non è come cacciarli, ma come accoglierli.
Bisogna fare di tutto per evitare le tragedie. Magari collaborando con i paesi di origine di questi nostri fratelli bisognosi, non esclusivamente bloccandoli per non farli partire, ma principalmente regolando partenze ed arrivi, creando le opportune condizioni.
Noi abbiamo bisogno di loro per lavori che che noi non facciamo più: in agricoltura, nell'assistenza gli anziani, ma anche in altri settori produttivi e sociali.
E comunque non possiamo lasciarli morire in mare.
I migranti arrivati nei giorni scorsi, originari dell'Eritrea, del Niger, dell'Egitto e del Sudan, erano partiti dalla Libia ed erano rimasti in mare per circa 5 giorni. Al secondo giorno di navigazione erano già senza acqua e cibo.
Sulla vicenda è intervenuto il ministro dell'Interno Giuliano Amato. Quello che ha detto mi convince poco. «Quella di oggi [19 agosto 2006] non è solo una tragedia, ma un vero e proprio crimine - ha detto - E se i crimini non riusciamo a punirli, si ripetono. E si ripetono anche le tragedie. Confido perciò che la magistratura dedicherà alla ricerca dei responsabili lo stesso impegno interno e internazionale che giustamente dedica a reati meno gravi di questo. Vediamo se riusciamo a scardinare una buona volta le organizzazioni criminali che mettono quotidianamente a repentaglio tante vite nella traversata del Mediterraneo».
Ministro Amato, quello che tu proponi è solo l'aspetto repressivo. Necessario, anche. Ma più necessario è capire e contribuire ad eliminare le cause che sono all'origine del fenomeno dell'immigrazione.
E poi, forse, bisognerebbe cominciare col punire e neutralizzare i molti criminali nostrani, a tutti i livelli, che dall'immigrazione ricevono e ricercano utili illeciti.
La strada da percorrere è lunga ed impegnativa. Ma è un lavoro, pulito e necessario questa volta, che noi paesi ricchi occidentali siamo in dovere di fare.
Il problema ovviamente non lo si risolve sparando sulle carrette del mare, come qualche incosciente di politico italiano continua ancora a dire oggi. Ma per fortuna in Italia non c'è più un governo che quegli incoscienti li annoverava tra i suoi ministri.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non condivido una tua affermazione, cioè quella (quasi elevata a luogo comune) che "certi lavori gli Italiani non vogliono più farli": in molti, anche se non tutti, casi, questo non è affatto vero. Esempio in casa: mio cognato, straniero, continua a cambiare lavoro, non perché non voglia restare, ma perché la sequenza è sempre quella: promessa di un certo stipendio, uno-due mesi a lavorare, magari sette giorni su sette, accumulando straordinari, ed alla fine sì e no gli danno la metà, con la classica "se ti sta bene è così, se no vattene". Un Italiano non lo accetta più, ma uno straniero non ha alternative, e così nasce il mito "non vogliono più farli"... e vorrei vedere!