27 marzo 2020

Giuseppe Musolino, di Pietro Romeo

Giuseppe Musolino costituisce un collegamento fra i primi briganti postunitari e i briganti buoni di oggi.
    L’Autore di questo romanzo, Pietro Romeo, è nato a S. Stefano in Aspromonte, il paese di Musolino, ed ha come nonna materna Anna Musolino, sorella di Giuseppe. Il suo è un romanzo storico. Molti episodi narrati sono stati trasmessi oralmente da questa nonna materna.
   Musolino nacque il 24 settembre 1876, da Giuseppe senior e da Mariangela Filastò, morì il 22 gennaio 1956, all’età di ottanta anni. Il padre aveva un’osteria e la madre era discendente da una nobile famiglia parigina, fuggita da Parigi nel 1789, durante la rivoluzione francese. Aveva tre sorelle, tutte più piccole di lui: Anna, Vincenza, Ippolita ed il fratellino Antonio.
    Vincenzo Zoccali, per amore della stessa ragazza della quale si era innamorato Giuseppe, ma più ancora per il rifiuto di Musolino di far parte della sua associazione malavitosa, decide di farlo fuori o almeno di dargli una lezione. Si reca, con suo fratello e con altri tre affiliati alla sua consorteria, nell’osteria del padre di Giuseppe; il quale, per non coinvolgere il padre, invita i cinque “compari” ad uscire fuori. Durante la conseguente colluttazione il cugino di Musolino spara in alto un colpo di pistola, che mette in fuga i cinque aggressori.
    Musolino rimane ferito da ventitré coltellate, fortunatamente superficiali.
    Vincenzo Zoccali prepara un complotto e fa sparare due colpi di fucile. Viene incolpato Musolino, che riceve, innocente, dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria, 21 anni di carcere.
   Musolino, dopo alcuni mesi, fugge dal carcere di Gerace, dove è rinchiuso. Inizia così la sua vita da vendicatore e da brigante galantuomo. “Cristo mi è testimone, fa dire l’autore Romeo a Musolino, che non nacqui vendicatore, al contrario il mio cuore era pieno di nobili ideali e sani principi. Uomini malvagi e potenti hanno reciso tutti i miei sogni giovanili”.
    Inizia, sempre secondo il romanzo storico del Romeo, la lunga serie di uccisioni e ferimenti di quelli che erano stati i falsi testimoni che avevano portato alla pesante condanna nel processo.
    Uccide Stefano Crea, Pasquale Saraceno, Carmine Dagostino, Stefano Zoccali, Alessio Chirico, Pietro Ritrovato, Francesco Marte.
    Musolino, ancora da uomo libero, va verso il lontano Abruzzo dove spera di potersi imbarcare per paesi stranieri. Ad Acqualagna, attualmente in provincia di Pesaro nelle Marche, inciampato in un groviglio di filo spinato, viene casualmente catturato. Viene condannato dalla corte d’assise di Lucca al carcere a vita. Rinchiuso nel carcere di Porto Longone, nell’isola d’Elba. L’unica concessione del direttore della prigione sono i libri. Viene concessa la grazia al famoso vegliardo il 14 luglio 1947. I superstiti della famiglia Musolino sono pronti a riceverlo a casa loro, ma il professore Puca, direttore dell’ospedale di Reggio Calabria, sconsiglia il suo soggiorno in famiglia e lo fa rimanere, da uomo libero, presso il suo ospedale, dove muore nel 1956.
    La sorella Ippolita, che era stata sempre molto vicina al fratello Musolino, era morta il 6 luglio 1903.
    Giuseppe Musolino aveva detto di sé: “Sono uno dei tanti ‘cavalieri erranti’ che, sparsi per il mondo, lottano la cattiveria degli uomini, cercando di sconfiggere il male”.
Rocco Biondi

Pietro Romeo, Giuseppe Musolino. Il giustiziere d’Aspromonte, Laruffa Editore, Reggio Calabria 2003, pp. 232

16 marzo 2020

Lo Spirito e altri briganti, di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli

Del brigantaggio postunitario è interessato, oltre al Sud, il territorio di tutta l’Italia; in questa raccolta di racconti è interessato l’Appenino tosco emiliano. Il maresciallo Benedetto Santovito, nato in un paesino del Sud, il salernitano Castellabate che era attaccato alla montagna, fu trasferito, durante il fascismo, da Bologna in un paese della Toscana; la caserma aveva come appuntato Cotigno, nato a Morano Calabro in provincia di Cosenza.
    L’ultimo degli otto racconti, che va da pagina 233 alla pagina 280, porta il titolo “Lo Spirito e altri briganti” e dà il titolo al libro. La parola “brigante” assume un significato particolare, contrapposta a “bandito”. I banditi, che troviamo alla fine del Cinquecento, erano più o meno come i Bravi manzoniani, mentre i briganti, che troviamo attorno al 1860 e negli anni successivi, pur forse diversi da quelli dell’Italia meridionale, erano spinti tra l’altro da condizioni di vita disperate, fame, reazione violenta a sopraffazioni, renitenza alla leva.
   Il racconto precedente “Un velo grigiomorte” collega il brigantaggio alla resistenza.
    Ogni racconto è introdotto dal capitolo intitolato “Dai colloqui con Benedetto Santovito”, in cui il maresciallo racconta della sua vita.
    Lo Spirito era il soprannome del brigante Gaetano Prosperi, che svaniva come uno spirito alle ricerche dei carabinieri. Eppure c’era, scrivono Guccini e Macchiavelli, nascosto da qualche parte, e si faceva vivo per assaltare la posta, derubare i viaggiatori o i corrieri del governo che trasportavano le paghe per gli operai, esigere un contributo dai possidenti… Poi di nuovo via, a imbucarsi dove nessuno riusciva a stanarlo.
    Gli altri briganti, di cui si raccontavano le storie in osteria o nelle stalle, erano Luigi Demetrio Bettinelli, soprannominato Principino, Luciano Fioravanti, Domenico Biagini, detto il Curato, e Domenico Tiburzi, detto il Domenichino. I quattro briganti s’incontrarono e decisero di mettersi assieme. Ebbero tutti una morte violenta.
    Ma nel racconto si narra la storia di Spirito, che morì a quarant’anni come il padre, il nonno e il bisnonno. L’ultimo nato da lui l’aveva voluto chiamare Brennero, ma per tutti diventò Ciarèin per gli occhi azzurri che aveva; per lui Gaetano aveva sognato e sperato una vita diversa dalla sua. Ma non fu così. La madre si era ammazzata per la disperazione. Brennero-Ciarèin sparì di casa a dodici anni e per molto tempo non se n’ebbe più notizia. Tornò dopo tanti anni dalla Francia, e una gelata mattina d’inverno lo trovarono morto nella neve.
    Gaetano divenne brigante dopo quanto successe con i caporali della ferrovia. Armato di fucile si aggirò per la montagna, facendo vari soprusi. Finché venne ucciso dai carabinieri.
    Al piccolo Ciarèin sarebbe piaciuto diventare un uomo come lo Spirito. Per molto tempo si rifiutò di parlare. Poi sparì di casa.

Francesco Guccini – Loriano Macchiavelli, Lo Spirito e altri briganti, Mondadori Editore, Milano 2002, pp. 283