31 ottobre 2007

Fra Diavolo di Piero Bargellini

Piero Bargellini, autore apprezzato e prolifico di vite di santi, aveva iniziato la sua carriera letteraria nel 1931 con questo libro sul brigante Fra Diavolo.
Nella breve premessa al libro Bargellini scrive che l’obiettivo che si prefigge è quello di liberare Fra Diavolo «dalle incrostazioni leggendarie» eseguendo un restauro «con verosimiglianza storica». Fra Diavolo non fu un eroe, ma ebbe tratti di eroismo; non fu un redentore, ma ebbe moti di generosità. Non fu certo un uomo esemplare, ma neppure spregevole.
Le gesta di Fra Diavolo iniziano nel 1796, quando ammazza il suo maestro della bottega di bastaio, reo di avergli messo le mani addosso, ed il fratello di lui che gli minacciava vendetta, e terminano nel 1806, quando viene impiccato a Napoli dai francesi.
Re di Napoli era Ferdinando IV, regina Maria Carolina. L’esercito napoletano era in mano ad ufficiali svizzeri, austriaci e inglesi, che si vendevano ai migliori offerenti.
Michele Pezza (così si chiamava Fra Diavolo) era nato a Itri il 7 aprile 1771. La madre, in seguito ad una grave malattia del figlio, aveva fatto voto a San Francesco di Paola di farlo fraticello, se gli salvava la vita. E così avvenne. Michele venne rapato, vestito con un saio e fatto camminare scalzo. Le donne lo benedicevano come un bambino santo e lo chiamavano Fra Michele Arcangelo. Ma pian piano con l’avanzare dell’età l’incanto della santità sparì. Divenne sempre più vivace e manesco. Tant’è che il suo maestro canonico lo ribattezzò col nome di Fra Diavolo.
Michele Pezza a fine 1797 fa domanda al Re di venirgli commutata in servizio militare la pena che avrebbe dovuto subire per i due omicidi. La domanda viene accolta e dovrà fare il militare per tredici anni.
Nel febbraio 1798 i francesi invadono Roma e proclamano la Repubblica Romana. Il Papa è costretto a lasciare Roma. Ferdinando IV ordina al suo esercito di marciare su Roma per cacciare i francesi. Michele Pezza fa parte di questo esercito. Il 29 novembre Re Ferdinando entra a Roma, vittorioso. Ma dieci giorni dopo i giacobini francesi lo ricacciano via. E Re Ferdinando da Caserta invita i suoi sudditi a sollevarsi in armi per difendere il Papa e la Religione.
L’esercito borbonico è allo sbando e Michele, che non era stato soldato neppure un anno, torna al suo paese Itri.
Civitella del Tronto e Pescara vengono cedute ai francesi dai generali borbonici, quasi senza sparare un colpo.
Gli abruzzesi invece avevano preso sul serio il proclama del Re ed erano insorti formando bande armate e contrastando seriamente il cammino dei francesi.
Michele, che aveva ripreso il suo soprannome di Fra Diavolo, riesce a metter su una “massa” di seicento uomini e cerca di bloccare il cammino dei francesi verso Gaeta. Ottiene qualche successo. Ma un colonnello svizzero, che comandava la fortezza di Gaeta, si arrende pure lui ai francesi.
Scrive Bargellini, con amaro sarcasmo: «Era il 31 dicembre del 1798, ultimo dell’anno. Con questa esemplare difesa, si chiudeva l’anno di gloria del Re Ferdinando e degli ufficiali suoi, accuratamente acquistati all’estero».
Fra Diavolo non ci sta a questo sfacelo. «Davanti a Gaeta ceduta – scrive Bargellini –, visto l’esercito correre spedito verso Capua, pensò di sollevargli alle spalle la Terra di Lavoro. La viltà altrui lo esasperava; la indolenza altrui lo rendeva frenetico. Corse come un forsennato in tutti i paesi, minacciò il sacco a quelli che non insorgevano, non davano uomini e non mescevano ducati». Ma fu tutto inutile. Nel gennaio 1799 anche Capua, ultima difesa del Regno, viene ceduta ai francesi, con la vergognosa resa del generale Mack. Allora Fra Diavolo «viene risucchiato dalla sua terra, si rimescola con la sua gente; partecipa alla cronaca di tutte le insurrezioni, le scorribande, i saccheggi, gli agguati, gli assassini, i rubamenti, gli eroismi, gli intrighi, i ricatti». E con tutto questo ottiene la simpatia della regina Maria Caolina, che nel frattempo con re Ferdinando IV era scappata a Palermo.
E quando all’inizio del 1799 il calabrese cardinale Fabrizio Ruffo parte da Palermo per la riconquista del Regno di Napoli, punto di riferimento sulla terra ferma diventerà Fra Diavolo. Per stringere d’assedio Gaeta, che era in mano ai francesi, Fra Diavolo fu nominato generale e la sua massa, di ormai oltre mille uomini, fu riconosciuta come un esercito regolare. Ma quando dopo tre mesi d’assedio Gaeta si arrese, il generale francese Girardon si rifiutò di trattare con Fra Diavolo, considerandolo pur sempre un brigante. La capitolazione di Gaeta fu firmata dal generale Acton per conto del Re e dal generale Nelson per conto degli alleati inglesi.
Fu una prima grande delusione per Fra Diavolo, che molte altre dovette subirne successivamente.
Fra il cardinale Ruffo e Fra Diavolo non corse mai buon sangue.
Riconquistata Napoli re Ferdinando pensò ad una spedizione su Roma, per liberarla dai francesi e riconsegnarla al Papa. Anche Fra Diavolo, che aveva ormai più fama di tutti i generali del Regno, fu chiamato per l’operazione. Il Re lo nominò colonnello di fanteria.
Fra Diavolo prese sul serio l’incarico e con il suo esercito di briganti mosse su Roma e ci sarebbe entrato da vincitore, se il cardinal Ruffo non l’avesse fatto fermare dalla cavalleria borbonica. Anzi, lo fece arrestare e rinchiudere in Castel Sant’Angelo. Ma fuggito si imbarcò per Palermo per andare a parlare col Re, che lo nomina Comandante Generale del dipartimento di Itri.
Finita la guerra Fra Diavolo si dà la missione di reperire i fondi per pagare, come aveva promesso, i suoi soldati. Ma in questo non lo assecondò nessuno, nemmeno il Re. Ed il colonnello Pezza finì col vivere in una squallida pensione a Napoli.
Lo spirito brigantesco di Fra Diavolo viene risvegliato nel 1806, quando il francese Giuseppe Bonaparte è stato nominato dal fratello Napoleone re di Napoli e re Ferdinando è rifuggito a Palermo.
Si pensò al colonnello Pezza (Fra Diavolo), per rinverdire i fasti del 1799. Il Re lo nomina Duca di Cassano.
Ma questa volta la fortuna non è dalla sua parte. E venne impiccato dai francesi in Piazza del Mercato a Napoli, come un comune malfattore. Aveva 35 anni. Il suo corpo fu lasciato penzolare per ventiquattr’ore col brevetto di duca di Cassano sul petto.
Rocco Biondi

Piero Bargellini, Fra Diavolo, Rusconi 1975, pp. 140

25 ottobre 2007

Un Post al Sole – Libro dal blog di Tina Galante

Non so se il desktop sostituirà mai completamente il foglio stampato di un libro. Forse no, se molti che scrivono in digitale su internet, ed in primo luogo i blogger, aspirano a scrivere sulla carta stampata, su di un giornale o nell’editoria. L’ha dichiarato la blogger Tisbe, nella vita reale Tina Galante, che suo sogno e suo desiderio erano quelli di vedere pubblicati in un libro i suoi post digitali. Ed il sogno si è avverato. Per Versi Editori ha pubblicato il libro Un Post al Sole, che raccoglie il meglio dal blog di Tina Galante http://www.tisbe.splinder.com/; libro snello nella forma ma corposo nei contenuti.
L’impatto che si riceve leggendo il libro è totalmente diverso da quello che si prova leggendo gli stessi post nel blog. Sei di fronte ad un foglio scarno pieno di parole e pensieri, senza la “distrazione” delle immagini a colori, dei testi scorrevoli, dei form, della musica di sottofondo che accompagna il blog di Tisbe. Devi riflettere e reagire, accettare o rifiutare. Il vantaggio che ha il blog è che puoi far conoscere la tua reazione, scrivendo un commento e dialogando o scontrandoti con l’autore e con gli altri lettori.
Ma veniamo al libro. Mi hanno colpito tre frasi, che penso sintetizzino il modo d’essere e pensare di Tina Galente. Eccole: «A cinque anni ero già filosofa», «Anch’io sono cattolica, ma una cattolica eretica», «Io appartenevo alla classe dei cafoni».
L’autrice dichiara di non sapere bene cosa vuole e cosa cerca nella vita, ma sa cosa non vuole: «non voglio chiedere». Si guarda dalle persone mediocri perché sono le più pericolose. Preferisce una vita intelligente ma sofferente ad una vita stupida ma serena. «La felicità può aspettare, pretendo il diritto di essere triste, pretendo il diritto di sbagliare… io sono soltanto e soprattutto un essere umano… non “devo” essere niente… tranne ciò che sono».
Per lei le fedi, le religioni, le ideologie, altro non sono che paletti disposti nel fiume del divenire, ai quali i disperati d’ogni tempo si aggrappano con l’illusione di sfuggire alla morte.
Gli insegnamenti fondamentali della vita li ha ricevuti dai nonni, presso i quali è vissuta da bambina. Il nonno le ha insegnato che sulla terra non esistono esseri superiori, l’unica qualità che fa la differenza è la cultura. La nonna le ha insegnato a non farsi imbonire dalle religioni, la ha allontanata dal concetto di santità. E’ cresciuta nel mito della libertà e dall’autodeterminazione.
La prima ideologia che ha appreso è stata la religione, che in qualche modo ha amato, come successivamente ha amato il comunismo, «tanto da diventare una famigerata cattocomunista».
Lei è stata testimone oculare dello scempio democristiano verso la gente e la terra della sua Irpinia. Per questo si è avvicinata al Partito Comunista, che «era l’unico partito che s’interessava del dramma dei cafoni, l’unico che li assisteva, che prendeva le loro difese». Quel partito è diventato la sua speranza. Essere comunista – scrive – è una scelta di coraggio che non tutti possono fare. Forse un po’ da sognatrice, come lo sono tutti i grandi, scrive ancora: «Chiedo alle menti illuminate della sinistra di elaborare una strategia politica capace di rendere le istanze del comunismo attuali e storicamente applicabili. Non ci rimane altro da fare…».
Il libro si chiude con il racconto autobiografico Con gli occhi di bambina. Sono ricordi della sua vita da bambina senza amore e senza genitori, che erano sostituiti dai cani, dai gatti e dai libri. «Gli esseri umani non facevano parte del mio mondo, e chi non conosce questo genere di dramma non può comprenderlo». Era affidata alle cure della nonna, che si comportava con lei da “padre padrone”.
Tina Galante, Tisbe, o la si ama o la si odia. Leggendo il suo libro non si può rimanere indifferenti. Ed io la amo, perché il suo modo di sentire ed essere è molto vicino al mio.

Tina Galante, Un Post al Sole. Il meglio dal blog www.tisbe.splinder.com, prefazione di Patrizio Rispo, Per Versi Editori, Grottaminarda (AV) 2007, pp. 95, € 12,00

21 ottobre 2007

Non voglio morire sotto Berlusconi

«Noi, vecchi liberaldemocratici, rischiamo di morire sotto Berlusconi. E' vero che abbiamo altre risorse e altri interessi da coltivare per il tempo spero lungo che ci resta, ma per l'amore che portiamo a questo Paese vederlo sottoposto ad un ulteriore degrado morale ci riempie di tristezza». Così scrive Eugenio Scalfari nell’articolo di fondo de la Repubblica di oggi 21 ottobre 2007.
Sostituisco la parola “liberaldemocratici” con “comunisti” e faccio mia la frase. Da quando con Prodi abbiamo vinto le elezioni, lasciando a casa Berlusconi, in pratica ho smesso di scrivere di politica in questo mio blog. Molte cose fatte, e di più quelle non fatte, dall’attuale governo di centro sinistra non mi andavano giù. Ma non me la sentivo di sparare contro Prodi e compagni ed amici, come invece facevo quasi quotidianamente contro Berlusconi ai suoi tempi. Meglio mille giorni con Prodi che uno con Berlusconi. Comunque speravo sempre che le cose potessero migliorare. Ho seguito con apprensione le beghe all’interno del pollaio del centrosinistra, con la quotidiana paura che si sfasciasse tutto e si andasse a votare, con la quasi certezza di riconsegnare l’Italia in mano a Berlusconi.
Ora mi chiedo se questo mio silenzio possa essere considerato colpevole, se si dovesse verificare la sventurata sorte di ritrovarci ancora Berlusconi al governo. Ma non riesco a darmi una risposta. Non vedo cosa possa fare con il mio blog per evitare quella iattura.
Mi sono rifugiato fra i miei libri e nello studio dei miei cari “briganti” dell’ottocento postunitario.
Berlusconi è di otto anni più vecchio di me e quindi dovrebbe crepare prima di me. Ma non si sa mai. Con i suoi soldi oltre a comprarsi qualche senatore si potrebbe anche comprare la morte, anche se solo per qualche anno però. Ma comunque con lui al governo camperei malissimo.
Veltroni a segretario del neonato Partito Democratico e quindi candidato a prossimo Presidente del Consiglio, contro Berlusconi, mi infonde un po’ di speranza. Anche se io, da vecchio comunista, non sono confluito nel Pd, ma sono rimasto nella sinistra democratica. Né sono andato a votare alla primarie per il Pd.
Nei giorni scorsi sono stato fra il campione dei 1523 italiani intervistati nel sondaggio della Demos-Eurisko, che ha detto che preferirebbe come prossimo Presidente del Consiglio Veltroni con il 45,2 per cento contro il 37,1 per cento di Berlusconi. Anche se la coalizione del centrodestra è ancora data di 8 punti sopra quella del centrosinistra. Come voto di gradimento io ho dato 7 a Veltroni, 5 a Prodi, 3 a Berlusconi. Bella o magra soddisfazione, a seconda dei punti di vista. Ho detto pure che se si andasse a votare subito vincerebbe il centrosinistra. Sognatore.

16 ottobre 2007

Brigantesse di Valentino Romano

Con il libro di Valentino Romano le brigantesse escono dal buio dell’anonimato per essere illuminate da un nuovo fascio di luce della storia.
Quasi a sorpresa il libro si apre nel nome di Maria Sofia, la giovane moglie non ancora ventenne di Francesco 2° Re di Napoli, che «si è meritata sul campo i galloni di prima resistente». Resistenza ai piemontesi di Vittorio Emanuele 2° e di Cavour, che invasero il Regno delle Due Sicilie per annetterselo senza alcuna dichiarazione di guerra.
In seguito alla forzata unità d’Italia nel Mezzogiorno esplode la ribellione contadina. Il nuovo governo non ha mantenuto la promessa di dare la terra ai contadini che la lavoravano. Questi ultimi non hanno soldi per acquistarla o riscattarla. Il parlamento dei “galantuomini” fa le leggi a vantaggio dei “galantuomini”. Ai contadini non resta che rassegnarsi o ribellarsi.
La rivolta contadina del Sud viene semplicisticamente bollata come “brigantaggio”. Il Parlamento piemontese, anziché tentare di rimuoverne le cause, sceglie la via della repressione, instaura il terrore nei territori occupati, pratica la fucilazione sul campo.
Al fianco dei molti briganti, alla macchia, vi furono anche delle brigantesse. «Donne che amarono i loro uomini al punto da imbracciare un fucile, cavalcare un cavallo e difenderli sulle montagne fino alla morte. Donne come maschi. Donne spesso più forti dei maschi nella sofferenza, nella sopportazione della fatica, delle privazioni», scrive Raffaele Nigro nella introduzione.
Ma molte di più furono le fiancheggiatrici. Madri, mogli, figlie, sorelle, amanti, simpatizzanti, che favorivano in tutti i modi i briganti. Donne che uscivano di casa la notte, sfidando i rigori della legge, per portare pane e vino ai loro uomini, per portare una notizia, per rassicurarli con l’affetto. Donne che curavano e nascondevano i briganti feriti. Donne che sviavano le ricerche dei militari.
Svariati sono i temi che Valentino Romano affronta nel suo libro. Le brigantesse preunitarie: non esiste una data di nascita del brigantaggio femminile; è azzardato attribuire autonomia al brigantaggio femminile preunitario. Le brigantesse e la maternità: la dura legge della guerriglia e della latitanza non sopprime il bisogno di essere madre. Le brigantesse e le condanne: in media la condanna per le brigantesse catturate si aggira sui quindici anni di carcere; non è una condanna lieve, spessissimo è una condanna a morte; la mancanza di igiene nelle carceri porta a morte prematura. Le brigantesse e l’opinione pubblica: il dramma delle donne del brigantaggio si consuma nell’indifferenza e nel disprezzo; le cronache dei giornali le descrivono solo come amanti, “drude”, donne di piacere dei briganti; è negata loro ogni dignità personale. L’iconografia delle brigantesse: le truppe piemontesi si dotano di fotografi ufficiali al seguito, per documentare e mostrare all’opinione pubblica i briganti come trofei di vittoria; ai briganti catturati vien fatta una foto di gruppo prima di fucilarli, ai capibriganti è riservato l’onore di una foto singola; spesso i briganti vengono fotografati da morti, mettendo in opera una messinscena per farli sembrare vivi. Le brigantesse tra storiografia e letteratura: le brigantesse suscitano nell’immaginario collettivo un grande fascino, tanto che molti autori le introducono nei loro testi letterari; ma anche gli storici hanno scritto di brigantesse, per tutti cito Maurizio Restivo e Franca Maria Trapani.
L’importanza del libro di Valentino Romano è data dall’essere il primo in assoluto che cataloga un grandissimo numero di brigantesse, desunto dagli atti processuali dell’epoca.
«Le schede – scrive l’autore – non hanno certamente presunzione di completezza: rappresentano, semmai, una prima, parziale, ricostruzione biografica della maggior parte delle donne che vissero e parteciparono al brigantaggio postunitario. Un punto di partenza che agevoli successivi approfondimenti e uno strumento che aiuti i lettori a meglio comprendere le cause, gli effetti e le dimensioni del fenomeno del ribellismo femminile in età postunitaria».
Nella prima parte sono raccontate 98 (novantotto) storie di brigantesse. Le singole storie vanno da poche righe a molte pagine. Le più famose ovviamente occupano più spazio; fra queste ultime troviamo Maria Teresa e Serafina Ciminelli, Michelina Di Cesare, Lucia Dinella, Maria Giuseppa Gizzi (Peppinella), Maria Oliverio, Filomena Pennacchio, Giuseppina Vitale.
Nella seconda parte del libro abbiamo un elenco delle fiancheggiatrici (un popolo finora senza nome). «Le innumerevoli storie delle donne manutengole sono state ingiustamente considerate marginali – scrive Valentino Romano –. Pare, invece, più giusto considerarle segmenti collaterali della storia maggiore, utili e necessari a meglio inquadrarla e comprenderla». Il catalogo comprende ben 858 (ottocentocinquantotto) nomi, con due o tre righe biografiche per ognuno.
Le storie raccontate non sono certamente edificanti. Ma noi le abbiamo lette con quella laica pietà che ce le ha fatte comprendere e giustificare, sia per i tragici giorni che quelle donne furono costrette a vivere sia per la simpatia che nutriamo verso i perdenti.
Rocco Biondi

Valentino Romano, Brigantesse, Controcorrente edizioni, Napoli 2007, pp. 320, € 20,00

Se vuoi acquistare il libro ordinalo a info@settimanadeibriganti.it

2 ottobre 2007

2^ Settimana di studi sul brigantaggio meridionale

E’ terminata la grande fatica della “2^ Settimana di studi sul brigantaggio meridionale”, organizzata dall’Associazione “Settimana dei Briganti – l’altra storia”, da me presieduta. Più grande ancora però è la soddisfazione per il grande successo di pubblico e per l’attenzione ottenuta su giornali e televisioni. Villa Castelli, il mio paese, per un’intera settimana, dal 25 settembre al 1° ottobre 2007, è stato il luogo d’incontro di studiosi ed interessati al grande fenomeno che ha coinvolto tutto il sud d’Italia negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia (1860-1870).
Ho chiuso il convegno ricordando una frase scritta da Piero Bargellini nel suo libro su Fra Diavolo: «Un popolo intero assumeva il titolo di brigante».
Anche quest’anno si sono avvicendati studiosi e scrittori di prestigio. La formula, già sperimentata lo scorso anno, prevedeva ogni sera una relazione centrale, una comunicazione e un “evento” particolare: si è partiti martedì 25 con una relazione di Valentino Romano sul mondo dei briganti attraverso le loro deposizioni e si è continuato con Ettore Catalano che ha relazionato su brigantaggio e letteratura nell’“Eredità della priora” di Carlo Alianello; il 26 Costantino Conte ha tracciato un profilo della figura emblematica del brigante Giuseppe Caruso, cui ha fatto seguito Vito Nigro con la relazione sul governo borbonico in esilio e sul ruolo di Maria Sofia nell’organizzazione del brigantaggio legittimista”; giovedì 27 io mi sono occupato di “brigantaggio e cinematografia” e Michele Prestera, presidente del PAL Lucania, ha raccontato l’esperienza del Cinespettacolo “La storia bandita” di Brindisi di Montagna; venerdì 28 Giuseppe Clemente si è occupato dei biglietti di ricatto delle bande brigantesche e Giuseppe Giordano ha fatto un’originale indagine sulla personalità dei briganti attraverso l’analisi grafologia dei loro scritti; sabato 29 Augusto Conte ha parlato della “legge Pica”, a seguire Arnaldo Travaglini ha presentato “Brigantesse, donne guerrigliere contro la conquista del Sud (1860-1870)”, l’ultimo libro di Valentino Romano; domenica 30 Gaetano Marabello ha tracciato un profilo dissacrante di Giuseppe Garibaldi; ha concluso lunedì 1° ottobre Raffaele Nigro con “Amori, morte e trionfi: il banditismo in versi e in prosa nel ‘900 italiano”, cui ha fatto seguito uno spettacolo applauditissimo del cantastorie Carmine Damiani .
Già mercoledì 26 settembre la compagnia di cantastorie “Cantacunti” aveva eseguiti canti sul brigantaggio.
Giovedì, venerdì e sabato la Compagnia teatrale “Briganti in scena” aveva letto rispettivamente brani da “Il grassiere” di Raffaele Nigro, dal mio “Il Sergente brigante”, dal libro “Brigantesse” di Valentino Romano.
Particolare interesse ha suscitato la sfilata storica di soldati in divisa borbonica e di briganti e brigantesse per le vie del paese.
A conclusione delle manifestazioni brindisi d’arrivederci con degustazioni di vini e cibi locali a cura dell’Associazione Italiana Sommelier – Delegazione di Brindisi.

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