25 agosto 2012

Il brigante che si fece generale. Auto e controbiografia di Carmine Crocco


Carmine Crocco è il brigante più significativo ed enigmatico del periodo postunitario. Operò dal 1861 al 1864 in Basilicata e dintorni, a capo di una banda composta da migliaia di briganti, tenendo in scacco l'esercito piemontese. Morì di vecchiaia in carcere all'età di 75 anni.
Il libro, edito da Capone di Cavallino (Lecce), pubblica insieme l'autobiografia di Carmine Crocco, dettata in carcere al capitano Eugenio Massa, e la controbiografia di Crocco, scritta dal medico Basilide Del Zio. Caratteristica che accomuna i due libri è la pubblicazione avvenuta nello stesso anno (1903) presso la stessa tipografia di Melfi (G. Grieco).
Questa operazione editoriale non è nuova, ma quello che la rende interessante è l'introduzione scritta da Valentino Romano, che fa il punto sugli studi ad oggi sulla figura dell'importante brigante di Rionero in Vulture. In essa vengono date risposte a dubbi sulla controversa figura di Crocco.
Il primo dubbio che viene risolto è quello dell'autenticità del manoscritto attribuito a Crocco. Benedetto Croce e Basilide del Zio si schierano per l'autenticità, avvalorata in qualche modo anche dall'esistenza di un secondo memoriale, pubblicato in parte in un suo libro dal lombrosiano Francesco Cascella. Notevoli sono comunque le differenze, specialmente linguistiche. Riteniamo che la versione-Cascella sia più vicina alle capacità letterarie di Crocco. La versione-Massa invece ha subito massicci interventi del curatore, non solo linguistici ma anche di contenuto, per avvicinare per quanto più possibile il pensiero di Crocco alle posizione dei piemontesi.
Altro problema che viene affrontato è la "stranezza della commutazione della condanna a morte di Crocco nel carcere a vita". Molto probabilmente è frutto dell'ambigua presenza francese "in molte zone d'ombra del brigantaggio". I francesi accarezzavano il progetto di rimettere sul trono delle Due Sicilie un Murat. E molti "galantuomini" lucani, che in qualche modo appoggiarono Crocco, erano di dichiarate simpatie murattiane. Altro motivo del cambio di condanna è certamente il silenzio di Crocco sui nomi dei tanti fiancheggiatori, più o meno importanti, che lo hanno appoggiato. Il silenzio in cambio della vita.
Parte interessante dell'autobiografia è quella in cui Crocco descrive il suo rapporto problematico con Josè Borges. Il generale carlista spagnolo aveva come obiettivo quello di riportare sul trono lo spodestato re borbonico, tramite sistemi di guerra classici; mentre Crocco combatteva una sua guerra personale contro i piemontesi in difesa della sua terra e nell'interesse dei più deboli contro lo strapotere dei padroni, adottando la tecnica della guerriglia nella quale era insuperabile. Quando Borges lo abbandonò, per tentare di entrare nello Stato pontificio, andando però incontro alla morte, Crocco non se ne addolorò. «La sua partenza - scrive Crocco - non ci commuove, anzi l'abbiamo voluta stanchi del suo comando».
La lettura dei due testi, qui messi a confronto, è molto utile per capire la personalità di Crocco e cosa lui sia stato capace di fare per la sua terra. Utilizzando i necessari filtri. Valentino Romano, a chiusura della sua introduzione, lascia a noi lettori la possibilità di valutare la vicenda umana di Crocco, dicendo anche di possedere una sua visione del valore di Crocco (che comunque si riserva di esporre in altra sede). Noi esprimiamo un giudizio fortemente positivo, facendo nostro il giudizio che il curatore del libro però esprime quando scrive che Crocco fu un «personaggio capace di ridare una speranza, anche illusoria, alle rivendicazioni del mondo contadino meridionale». E aggiungiamo che quella fiammella di speranza rimane accesa ancora oggi, e non solo per il mondo contadino.
Rocco Biondi

Carmine Crocco - Basilide Del Zio, Il brigante che si fece generale, Auto e controbiografia di Carmine Crocco, a cura di Valentino Romano, Capone Editore, Cavallino (Lecce) 2011, pp. 144, € 13,00

4 agosto 2012

Ascoltate, signore e signori, saggio di Raffaele Nigro


Raffaele Nigro, ultimo cantastorie contemporaneo (come viene definito da Valentino Romano nella prefazione), con questo suo libro ci introduce e immerge nel mondo dei cantastorie, che colmavano l'assenza di spettacoli nei piccoli centri, nei borghi sperduti, nei cortili delle masserie. Nel tempo la televisione li ha soppiantati e fatti sparire.
Arrivavano durante le feste popolari e dei santi patroni, si fermavano nei piazzali, davanti ai santuari, nei luoghi destinati alle fiere e ai mercati, issavano il telone con le raffigurazioni della storia, mettevano mano a uno strumento musicale (liuto, ribeca, chitarrone, ghironda) o si affidavano alla melodiosità della solo loro voce, e raccontavano le loro storie. Alla fine il cantastorie passava con la mano o col berretto teso, ad accogliere qualche obolo, e cercava di vendere un libretto o un foglietto a stampa dei suoi versi.
I temi trattati erano vari, generalmente si ispiravano alla cronaca o all'agiografia, e andavano dai canti religioso-narrativi ai componimenti epico-cavallereschi, alle novelle d'amore tragico e infelice, alla mitologia, alle composizioni satiriche e burlesche.
Nigro in questo libro ha raccolte e commentate cinque ballate che sono imperniate sulla vita di briganti meridionali.
Si comincia con la ballata su "Don Ciro Annicchiarico", raccontata da Leonardo Arcadio. Questo autore, nato nel 1771, era un bracciante che d'estate si trasformava in girovago cantastorie. L'Annicchiarico, nato a Grottaglie in provincia di Taranto nel 1775, era un prete che si innamorò di una donna detta "la Curciola", della quale si era invaghito anche un altro prete grottagliese, don Giuseppe Motolese, appartenente ad una famiglia facoltosa. Il Motolese rimane ucciso nella notte della Madonna del Carmine del 16 luglio 1803; dell'omicidio viene accusato Don Ciro, che arrestato riesce a fuggire divenendo brigante. La sua carriera brigantesca finisce l'8 febbraio 1818 con la fucilazione nella piazza di Francavilla Fontana. Il testo della ballata, pubblicata da Pietro Palumbo, «è sistemato in 204 quartine di endecasillabi molto deteriorati, a metratura e rima incerte, a volte alternata, spesso assonanzata o per nulla rispettata».
La seconda ballata è la "Istoria della vita, uccisioni ed imprese di Antonio di Santo", che ha come autore Nicola Bruno, vissuto tra la fine del '700 e gli inizi dell'800. Il di Santo è un brigante di Solopaga, in provincia di Benevento, che visse a cavallo tra '600 e '700 e partecipò nel 1701 alla congiura antispagnola. Quando la congiura fu scoperta, il di Santo riusci a sfuggire al carcere dandosi alla macchia e riparando nelle grotte del massiccio del Taburno. Il cantastorie descrive il brigante come un carattere facinoroso, attaccabrighe e puntiglioso. Arrestato, riesce a fuggire dal carcere, scavalcando un alto muro, e dà il via a una serie di vendette personali. La ballata è composta da 67 ottave in endecasillabi. Il brigante comunque non muore.
La terza ballata narra della "Bellissima istoria delle prodezze ed imprese di Angelo del Duca". Ricordiamo che con questo brigante inizia la storia dell'ormai classico romanzo di Raffaele Nigro "I fuochi del Basento". Del Duca era nato a San Gregorio Magno in provincia di Salerno nel 1734. Benedetto Croce sostiene che Angiolillo avrebbe condotto una vita da pastore almeno fino ai cinquant'anni, quando per una violenza subita da un suo nipote spara una fucilata contro un guardiano ammazzandogli il cavallo. Angiolillo è costretto a fuggire e darsi alla macchia. Operò tra Salerno, Avellino e la Basilicata. Non si citano nella sua vita episodi violenti o di grassazioni se non ai danni dei ricchi feudatari e degli alti prelati. Toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Nella rapsodia di Angelo del Duca si arriva persino a parlare di miracolosità delle sue gesta. Fu impiccato a Salerno il 26 aprile 1784. Il poemetto si compone di 42 ottave.
Il quarto cantare è la "Istoria della vita e morte di Pietro Mancino, capo di banditi", che ha come autore il cantastorie cieco Donato Antonio de Martino. Mancino è una figura che più delle altre si avvicina agli antichi capitani di ventura. Nato nella prima metà del '600, secondo una fonte a Vico del Gargano, secondo un'altra a Lucera, uccise due nobili che avevano insidiato l'onore delle sorelle. Per timore di essere incarcerato fuggì dalla Puglia, mise su una banda di quindici fuorilegge, seminando terrore tra Puglia e Basilicata. Si recava spesso in Dalmazia. Combatté al fianco di diversi signori. Nel 1637 lo troviamo prima a Torino, dove fu nominato colonnello dai francesi, poi alla corte pontificia con lo stesso grado militare. Morì di morte naturale nel 1638. Raffaele Nigro inserisce nella raccolta l'edizione Muller di 63 ottave e in appendice l'edizione Paci-Russo di 62 ottave. Le due edizioni hanno non poche differenze.
L'ultima ballata, intitolata "Crudelissima istoria di Carlo Rainone dove s'intende la Vita, Morte, ricatti, uccisioni, ed imprese da lui fatte", fu composta dal cantastorie Giuseppe Di Sabato, nato ad Ottaviano. Rainone, originario di Carbonara di Nola in provincia di Napoli, visse tra fine '600 e primi del '700. Secondo l'autore del cantare, durante la sua carriera di bandito Rainone si macchiò di 167 omicidi. A tal proposito scrive Nigro: «Il canto è di quelli con agnizione negativa, perché a differenza della "Bellissima istoria di Angiolillo" dove si mettono in luce i pregi dell'uomo, qui sono le efferatezze del brigante a risaltare». Rainone venne catturato e ucciso il 10 luglio 1672. Il componimento è di 72 ottave.
Quello che Nigro scrive nel preambolo alla ballata su Pietro Mancino, «questi cantari hanno più funzione di prodotto letterario che di documento storico», può essere esteso a tutte le altre ballate.
Nella premessa alla raccolta delle ballate, Raffaele Nigro fa interessanti e condivisibili osservazioni sul decennio postunitario, sostenendo che la guerra politica e sociale di quegli anni fece morire il sogno romantico e la possibilità di voli fantastici. La cronaca è nemica del mito. L'annessione del Sud all'Italia unita si era concretizzata in un bagno di sangue. Negli scritti di quegli e su quegli anni prevale la metodologia scientifica. Dopo il 1861 il romanticismo è morto. Solo a partire dal 1870 le narrazioni e le edizioni a stampa di storie banditesche riprendono vigore.
Rocco Biondi

Raffaele Nigro, Ascoltate, signore e signori, Ballate banditesche del Settecento meridionale, Prefazione di Valentino Romano, Capone Editore, Cavallino 2012, pp. 198, € 16,00