Nel febbraio del 1861, con la capitolazione di Gaeta, ultima roccaforte borbonica, il Regno delle Due Sicilie cessa - di fatto - di esistere. Francesco II ripara a Roma, ospite degli ambienti pontifici a lui non ostili. Il re borbone si illude in un suo ritorno immediato sul trono. Crede che le popolazioni del sud siano rimaste a lui fedeli e che siano pronte a ribellarsi e a sollevarsi contro i piemontesi, che hanno imposto l'unità d'Italia.
Ma i piani di riscossa peccano di pressapochismo e di velleitarismo, essendo in gran parte fantasiosi ed inattuabili.
Gli strateghi del sovrano non riescono a progettare nessun serio ed efficace piano controrivoluzionario.
Francesco II si aggrappa all'idea che la riconquista del regno possa concretizzarsi anche attraverso un'iniziativa isolata, capace di coinvolgere le popolazioni. E affida il comando di una spedizione al generale spagnolo José Borges.
L'11 settembre 1861 Borges s'imbarca da Malta per raggiungere la Calabria, con appena una ventina di uomini. Nella notte del 13 settembre sbarca fra Bruzzano e Brancaleone. In Calabria non trova né popolo né soldati ad attenderlo.
L'unico gruppo di uomini armati che in qualche modo lo aiuterà è quello capeggiato dal brigante Carmine Crocco.
Ma Borges e Crocco appartengono a due mondi diversi, hanno due modi diversi di vedere e valutare le cose.
Borges vuol condurre la sua campagna militare con onestà e coerenza, si oppone al saccheggio sistematico dei paesi, illudendosi di poter trasformare una massa ingovernabile di gente senza futuro in un esercito organizzato, disciplinato e con un proprio codice d'onore.
Crocco combatte invece una sua guerra personale, contro tutto e contro tutti: capisce che la posta politica è persa in partenza; la sua è lotta di classe, lotta contadina, condotta alla giornata; taglieggia - in quanto tali - tutti i proprietari terrieri, senza distinzione, anche quelli filoborbonici; consente il saccheggio, anche quando non ne è convinto perché sa che è l'unico mezzo per approvvigionare i suoi uomini e il solo collante di una massa di sbandati. Crocco è consapevole della superiorità numerica del nemico: attua alla perfezione la tattica del "mordi e fuggi" che oggi si definirebbe di guerriglia.
Quando Crocco si rende conto che Borges non gli è più utile l'abbandona.
Uno scrittore, contemporaneo di Borges, lo descrive come «... don Chisciotte di una causa perduta e screditata, combattè i mulini a vento ma li combattè colla fede del soldato d'onore e di convinzione».
L'8 dicembre 1861 Borges, tradito, viene catturato da un battaglione di bersaglieri, con l'ausilio delle Guardie Nazionali, e fucilato a Tagliacozzo. Con Borges furono fucilati otto spagnoli e otto italiani.
Borges se non si fosse lasciato prendere dalla sua generosità ed umanità si sarebbe salvato. Si era fermato in una cascina, poco prima dei confini dello Stato pontificio, per far riposare gli uomini che lo seguivano a piedi. Lui ed alcuni ufficiali spagnoli erano a cavallo.
Crocco invece, arrestato successivamente e condannato all'ergastolo, morì 44 anni dopo, il 18 giugno 1905.
Borges nel suo diario descrive gli avvenimenti succedutesi dalla sua partenza da Malta fino al giorno prima della sua fucilazione.
Il Diario, pubblicato la prima volta già nel 1862, ha avuto un grande successo editoriale che continua ancora oggi.
L'edizione che io ho letto nella giornata di ferragosto, pubblicata da Adda Editore nel 2003, è stata curata da Valentino Romano, appassionato e competente studioso del brigantaggio meridionale. Grande merito di questa edizione è che la traduzione del diario, per la prima volta, è avvenuta sul testo autografo, scritto in francese e conservato nell'Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Esteri Italiano.
Quest'opera di Valentino Romano, come le sue altre, s'inserisce nel solco della rilettura e rivalutazione del fenomeno del brigantaggio, inteso non più come fenomeno negativo e malavitoso, ma come aspirazione delle classi più umili, prima fra tutte quelle contadine, ad una vita migliore su questa terra.
Scrive Valentino Romano, in un'altra opera: «Oggi nessuno studioso, degno di tal nome, mette in discussione l'unità d'Italia: ci si chiede, semmai, se le sue modalità di attuazione abbiano risposto alle reali aspettative delle popolazioni interessate; ci si chiede se abbiano prevalso gli ideali politici e culturali o gli interessi economici di lobbies nazionali ed internazionali; ci si chiede se ci sia stato un reale e democratico coinvolgimento di tutte le classi sociali o una imposizione manu militari della legge del più forte.
Don José Borges, Diario di guerra, a cura di Valentino Romano, Adda Editore 2003, pp. 193, € 12,00
16 agosto 2006
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