Il nazionalismo ceceno parte da molto lontano. I ceceni nel 1818 si erano battuti contro l’espansione imperialista degli zar e dopo il 1917 contro i bolscevichi. La Cecenia fu costituita in regione autonoma nel 1922, unita poi nel 1934 con l’Inguscezia è divenuta nel 1936 una repubblica autonoma della Russia sovietica.
La coabitazione con il potere sovietico è stata sempre conflittuale, con numerose rivolte e sollevazioni. Nel 1944 Stalin soppresse la repubblica cecena e fece deportare in massa la popolazione nella steppa kazaca e nella taiga siberiana. Il popolo ceceno poté ritornare sul proprio territorio solo dopo la morte di Stalin e nel 1957 fu ripristinata la repubblica.
La volontà di indipendenza, riesplosa nei primi anni Novanta, dopo lo scioglimento del regime sovietico, portò alla ribellione armata contro Mosca e alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Il governo di Mosca non ha mai riconosciuto questa indipendenza, non volendo rinunciare alla rilevante ricchezza petrolifera del sottosuolo ceceno ed ha ingaggiato una spietatissima repressione armata che ha provocato quasi centomila morti. La guerra cecena iniziata da Eltsin continua oggi con Putin. Ma la guerriglia cecena non si lascia sconfiggere.
Il nazionalismo è la forza più importante della storia moderna che riesce a sopravvivere a tutto e a tutti. Sbaglia chi non capisce questo, come stanno sbagliando Bush in Iraq e Putin in Cecenia. Il nazionalismo pur di raggiungere il suo obiettivo di indipendenza si mescola al fondamentalismo religioso e si serve del terrorismo, che è l’arma dei deboli. «In fin dei conti, cosa muove la politica statunitense dopo l’11 settembre, se non un nazionalismo offeso e violato?», si chiede William Pfaff, esperto di fatti internazionali.
Attualmente la Cecenia conta circa 780 mila abitanti e la Russia 144 milioni.
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