Sembrano finiti i bei tempi antichi quando i professori svolgevano il loro lavoro come se fosse una missione, la missione dell'insegnamento. L'aspetto burocratico sta prendendo il sopravvento. Assistiamo all'impiegatizzazione dei docenti. E gli alunni continuano, sempre più, a disamorarsi della scuola.
I professori non sono più un punto di riferimento per i loro studenti. Vivono la la loro professione con alienazione. E i ragazzi apprendono a prescindere dalla scuola, da soli. Il problema è su cosa apprendono. Le nuove tecnologie forse creano degli analfabeti.
La Moratti aveva contribuito all'affossamento dell'insegnamento. Ora che lei non c'é più bisogna riprendere il gusto dell'essere a scuola, sia per i docenti che per gli studenti. Bisogna ritornare a pensare e a credere che la formazione è essenziale alla competizione sociale e allo sviluppo del paese. Bisogna ricollegare la scuola ai bisogni della società.
Una volta si diceva che la scuola deve insegnare il metodo per affrontare e risolvere i problemi reali della società. La scuola quindi non deve solo insegnate a leggere e a far di conto, ma anche a pensare.
Si dice che i professori sono sottopagati e quindi non sono pungolati a formare se stessi per poi formare gli altri. E forse è vero. I docenti per essere veramente tali, devono aggiornarsi continuamente. L'insegnamento non è un mestiere che lo si impara una volta per sempre.
Bisogna ridare all'università il rigore di una volta. Negli ultimi anni le lauree triennali hanno trasformato le università in licei superiori. Si fa quello che non si è fatto nelle scuole superiori.
Forse oggi per la scuola vale quello che Bartali diceva del ciclismo: «L'è tutto sbagliato. L'è tutto da rifare».
Questo allarme è stato lanciato, in un'intervista, dal presidente del Censis, Giuseppe De Rita, che da più di trent'anni studia i problemi della scuola.
15 settembre 2006
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