L’ammaestratore di pappagalli (Berlusca) e i pappagalli ammaestrati vanno ripetendo che se i soldati italiani lasciassero l’Iraq, in quella nazione scoppierebbe la guerra civile. Dando così a loro e ai militari italiani un’importanza che non hanno e dimostrando così di non conoscere assolutamente nulla della realtà irachena. Gli iracheni hanno un forte senso del nazionalismo proveniente da una storia ultramillenaria (a partire dalla civiltà mesopotamica iniziata 5000 anni fa, a finire all’intervento degli Sciiti in aiuto degli insorti Sunniti a Falluja nello scorso mese di aprile).
Il nazionalismo iracheno, oggi, è alimentato dall’occupazione americana. Il pesante intervento armato e l’elevato numero delle vittime civili contribuiscono ad accrescere il nazionalismo. La violenta resistenza agli Stati Uniti è un’inevitabile reazione contro l’occupazione militare.
L’idea che le forze americane siano essenziali a stabilizzare l’Iraq è illusoria. Le forze americane destabilizzano l’Iraq.
Ma allora cosa fare? In primo luogo occorre accettare la realtà e la legittimità del nazionalismo iracheno, con il riconoscimento che gli Stati Uniti non possono mantenere il dominio militare, economico e politico in Iraq, anche se sotto mentite spoglie, senza provocare la resistenza irachena.
Questo tipo di valutazioni cominciano a prendere forma negli Stati Uniti. William Polk, ex diplomatico e consigliere governativo, ritiene che è ormai indispensabile il disimpegno americano in Iraq. William E. Odom, ex generale, chiede una dichiarazione unilaterale che impegni l’America a ritirare completamente le truppe entro sei mesi, indipendentemente da ciò che accade in Iraq e da ciò che le Nazioni Unite e la comunità internazionale decideranno di fare.
[Le riflessioni di sopra sono tratte tratte da un articolo di WILLIAM PFAFF su Tribune Media Services International].
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