19 febbraio 2008

Ricordi briganteschi, di Giuseppe Olivieri

Giuseppe Olivieri scrisse questa “storia che pare romanzo” nel 1897, trentatre anni dopo il suo sequestro ad opera di Luigi Cerino, capo di una delle sottobande che facevano riferimento al capobrigante «capitano» Antonino Maratea, detto Giardullo.
Anche questo libro, come quelli scritti da altri che furono sequestrati nello stesso periodo e nella stessa zona, è una testimonianza storico-antropologica sul brigantaggio post-unitario nel sud d’Italia.
La storia inizia verso le quattro pomeridiane dell’11 gennaio 1864, sulla strada carrozzabile che taglia il bosco, nei pressi di Montecorvino Pugliano, paese natio dell’allora ventiquattrenne Giuseppe Olivieri, studente universitario in Napoli. Insieme all’Olivieri fu sequestrato il medico Luigi Calabritto, che poi subì ad opera dei briganti il taglio dell’orecchio destro ed uno sfregio sul volto, come opera di persuasione nei confronti dei parenti per il pagamento del riscatto.
Il sequestro dell’Olivieri durò trentasette giorni. Fu rilasciato all’alba del 17 febbraio 1864 sulla strada per Pontecagnano.
Era stato tenuto nascosto, per la maggior parte del tempo, in una grotta sopra Campagna, dall’entrata della quale si scorgeva una striscia di mare fra Agropoli e Castellabate. Il paese era molto vicino. «Fuoco non se ne poteva accendere, né una boccata d’aria pigliarla all’aperto, poiché giungeva fin là il suono indistinto delle voci cittadine».
Olivieri ebbe modo di conoscere parecchi briganti; ma tre di essi gli fecero più impressione. Gaetano Manzo, «poco più in là dalla ventina, giovane dalle mosse sgherre, l’occhio cervino, biondo ne’ capelli, lunghetto nel naso un po’ schiacciato, piuttosto alto della persona signorilmente vestita, né di volgare aspetto».
Antonino Maratea di Campagna, il Giardullo, «pur fresco negli anni, un omiciattolo dagli occhi felini, barbettina biondiccia, e le dita inanellate e luccicanti a guisa di donna da contado, e cert’aria da me l’imbuschero [non mi curo] e da capitan da strapazzo».
Antonio di Nardo, di Montella, «un diavolone color carbone, dal guardo scuro e bieco, e il cappello sulle ventitré e tre quarti».
Ma così come accade in Friedli, Lichtensteiger e Moens, tre sequestrati degli stessi anni e negli stessi luoghi che avevano scritto pure loro la cronaca della loro prigionia, anche Olivieri riserva uno sguardo speciale a Manzo, anche perché «della masnada soltanto il Manzo, incespicando, sapeva un po’ stentatamente leggicchiare», anzi aveva chiesto all’Olivieri «il favore di scrivergli le bozze di due o tre lettere per la sua Carolina», la fidanzata.
Data anche la stagione, molto duri furono i giorni del sequestro. «Era vita da cani, non da cristiani. …A volte penuriava il pane e l’acqua. …Le nostre gambe erano intorpidite e gonfie dal freddo, dallo scarso nutrimento, dall’ozio forzato. …Poi cominciò a nevicare, a fiocchi larghi e serrati: e mi sentivo tutto infreddolire e tremar la persona. …Ero scalzo: il mantello era l’unico riparo dal freddo». Anche se «io tra la neve, il vento, e i disagi e tormenti non avevo sofferto né una febbre, né preso un raffreddore».
L’Olivieri non dice quale fu la somma pagata per il suo riscatto, accenna solo vagamente «ai quattrini, che mi spillarono quell’Arpie di esecrata memoria».
Giuseppe Olivieri (1839-1919) divenne poi prete, «prete liberale», insegnò presso la Scuola Tecnica di Salerno, fu in contatto con noti linguisti e letterati del tempo, quali Pietro Fanfani, Vito Fornari, Prospero Viani, Francesco Zambrini.
Sebastiano Martelli, che ha curato questa edizione dei Ricordi Briganteschi per Avagliano Editore, nella introduzione mette in rilievo il particolare tipo di scrittura dell’Olivieri, che veleggia «nei territori di un’accentuata letterarietà, dichiarata e perseguita in diverse forme». Il racconto del sequestro è proposto in una lingua di originale impasto iperletterario.
Un’ultima annotazione. L’Olivieri non nutre nessunissima stima per i briganti. Non può esistere «l’alta ragion politica e sociale» del brigantaggio. «Che ragione e politica andate voi strologando in una mano di butteri, di beceri, di caprai, di carbonai, di gente insomma cui fa notte innanzi sera?». Nell’Olivieri non vi è traccia di quella che Carlo Levi definì la «cupa, disperata, nera epopea» del mondo contadino.
Rocco Biondi

Giuseppe Olivieri, Ricordi briganteschi – Storia che pare romanzo, a cura di Sebastiano Martelli, Avagliano Editore, Cava dei Tirreni 1994, pp. 118, € 7,23

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