Nella seconda metà dell’ottocento, l’egemonia della rappresentazione realistica, un tempo prerogativa della pittura e del disegno, passa alla nuova invenzione della fotografia, che da consumo di élite si trasforma in mezzo di comunicazione di massa.
Il brigantaggio diede vita ad un vero e proprio genere fotografico, che si sviluppò nel meridione d’Italia.
Il brigantaggio sotto il regime borbonico aveva assunto il ruolo di una forza molto spesso funzionale allo Stato. Da qui nasceva una rappresentazione visiva enfatica e pittoresca; circolava nelle popolazioni un’iconografia fantastica che presentava il brigante come il giustiziere che taglieggiava i ricchi per beneficiare i poveri.
Quando, con l’Unità d’Italia e l’annessione del Sud, Cialdini, La Marmora e il generale Pallavicini capirono che il brigantaggio poteva mettere in discussione persino il processo di unificazione si affrettarono a dare del brigante un’immagine negativa. E i fotografi dell’epoca furono utilizzati per questa esigenza del potere.
Raffaele Del Pozzo fu uno di questi fotografi organici al potere. Nacque nel 1828 a Gauro, una frazione di Montecorvino Rovella, che oltre ad essere patria di briganti è anche al centro di un crocevia dove operarono le più note bande brigantesche della zona. Conosceva quindi molto bene quei luoghi, allora isolati e poco accessibili, teatro di scontri fra l’esercito piemontese e i briganti. Si presume quindi che venisse chiamato dalle forze dell’ordine anche per questa sua specifica competenza.
I briganti venivano fotografati quando ormai erano stati catturati o uccisi. Si voleva così infrangere il mito, tanto diffuso allora, che i briganti fossero imprendibili.
Del Pozzo nel carcere di Campagna fotografa il capobrigante Ciardullo e alcuni della sua banda, a Salerno riprende il vice capobanda Spinelli alla vigilia della fucilazione, a Acerno fotografa il celebre brigante Manzo, allora ancora in libertà, a Postiglione documenta l’arresto di alcuni componenti della banda Scarapecchia.
Sul retro di queste fotografie, ora conservate in musei o collezioni private, vi è il timbro dello studio fotografico di Raffaele Del Pozzo.
Nell’archivio privato di Giovanni Wenner, Ugo Di Pace ha trovato il carteggio relativo al sequestro, ad opera del brigante Gaetano Manzo, di cui era stato vittima nel 1865 l’antenato Federico Wenner. Fra quei documenti vi sono anche tre negativi – legati al sequestro – realizzati da Raffaele Del Pozzo. La prima fotografia, ripresa ad Acerno da del Pozzo sicuramente su richiesta dell’industriale svizzero, raffigura i sequestrati al momento del rilascio; la seconda foto, di un mese dopo, rappresenta il brigante Manzo e quattro della sua banda alla vigilia della loro costituzione; la terza è una foto della maestosa villa dei Wenner a Pellezzano in provincia di Salerno.
Ugo Di Pace, a proposito del rapporto tra brigantaggio e fotografia, scrive: «In pochi altri paesi occidentali si verificò nell'800 una rivolta sociale come quella del Mezzogiorno; in pochi altri paesi, in quegli anni, i fotografi furono impegnati a rappresentare visivamente una classe sociale emarginata e cacciata fuori dalla storia. Vista in tale luce, la produzione fotografica dei briganti acquista un pregio di rarità e per una tragica e sfortunata contingenza storica possiamo dire di essere l'unico paese a conservare, seppure in maniera approssimativa, immagini di valore davvero notevole. E in questa cornice va collocata l'opera di Raffaele Del Pozzo, un autore che ha saputo dare alle popolazioni salernitane una rappresentazione visiva dei loro antenati, che se non fossero stati briganti, ironia della sorte, non avrebbero avuto neppure il premio di essere fotografati».
A corredo del saggio di Ugo Di Pace è riprodotto un repertorio di 36 fotografie scattate da Raffele Del Pozzo. Fra di esse vi sono le foto dei seguenti briganti, vivi o morti: cadaveri di Gaetano Tancredi detto Tranchella e altri due della sua banda, Antonio Maratea detto Ciardullo e parte della sua banda, Vincenzo Spinelli, Vito Del Giorno, Lorenzo Guerriero, Giustino Cuozzo, Gaetano Manzo e atri della sua banda, Sabato Ferullo, Francesco Nicastro, Nunziante D’Agostino, Chiara Di Nardo, Banda Scarapecchia, i cadaveri di quattro briganti della banda Ciardullo, Donato De Martino, Salvatore Vivolo, Crescenzo Pantalena, Raffaele Luongo, Antonio Bottone, Pietro De Giorgio, Giovanni Marcantuono, Giuseppe Alfinito. La maggioranza di queste foto furono scattate in carcere dopo l’arresto, altre sono foto private successivamente diventate segnaletiche.
Rocco Biondi
Ugo Di Pace, Raffaele Del pozzo - Fotografo dei Briganti, saggio allegato al libro di Johann Jakob Lichtensteiger: Quattro mesi fra i briganti (1865/66), Avagliano Editore, Cava dei Tirreni 1984, pp. 107-176
9 gennaio 2008
Raffaele Del Pozzo - Fotografo dei Briganti, di Ugo Di Pace
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