2 gennaio 2008

Briganti. Fotografia e malavita nella Sicilia dell’Ottocento, di Paolo Morello

Per chi vuole cominciare a interessarsi di fotografia sul brigantaggio questo libro di Paolo Morello è un interessante viatico. Come utile è anche per un approfondimento.
Catalogo della mostra Briganti. Fotografia e malavita nella Sicilia dell’Ottocento, che ebbe luogo a Palermo presso il Museo Etnografico Siciliano Giuseppe Pitrè dal 15 aprile al 31 maggio 1999, può essere diviso in tre parti, tutte importanti. La prima, l’introduzione, affronta ampiamente l’intersecazione tra storia della fotografia e storia del brigantaggio nel primo decennio postunitario, dal 1860 al 1870.
Entrato Vittorio Emanuele a Napoli il 7 novembre 1860, i piemontesi si trovarono ad affrontare una situazione confusa di reazione e vicinanza da parte della popolazione ai cacciati Borbone. Dopo lo scioglimento dell’esercito regolare borbonico, migliaia di ex-soldati, ben addestrati alla vita militare, cominciarono a vagare per le campagne, andando poi ad ingrossare le file dei briganti.
Molti fotografi cominciarono ad interessarsi dei briganti. Inizialmente erano semplicemente ritratti privati, le famose cartes de visite, in formato ridotto, circa 6 x 9 centimetri. Su un’unica lastra di negativo, grazie ad un’apposita macchina a quattro obiettivi, si riuscivano a produrre fino ad otto fotografie, anche in pose diverse. Il costo era estremamente basso e quindi a tutti accessibile.
In quegli anni la stessa fotografia poteva assolvere scopi diversi: di ritratto privato, di fotografia segnaletica, di oggetto di collezionismo. Solo intorno al 1870, la fotografia entrò stabilmente tra gli strumenti della polizia.
Fra le cartes de visite sono oggi conservate, nell’Archivio del Museo del Risorgimento di Roma, due scatti che effigiano una bella brigantessa in costume (talvolta identificata con Michelina Di Cesare, ma senza fondamento). Armata di schioppo, pistola e pugnale, la brigantessa si appoggia ad una roccia di cartapesta. Queste fotografie, quasi certamente, non raffigurano una brigantessa reale, ma una modella, messa in posa dal fotografo nel suo atelier.
Altre volte venivano simulati, mettendo in posa briganti veri arrestati, conflitti a fuoco nei cortili delle galere. Un fotografo, ad assedio finito nel febbraio 1861, ricostruì i resti della fortezza di Gaeta, disseminandola di falsi cadaveri.
Ma la tragica novità di quegli anni fu che vennero fotografati i veri cadaveri dei briganti ammazzati, talvolta denudati e decapitati. Quelle fotografie ordinate dai piemontesi, venivano diffuse alla stampa nazionale ed internazionale per fini propagandistici; si volevano esaltare i successi delle forze dell’ordine sui briganti descritti e rappresentati come bestie efferate. Non so che effetto facessero allora quelle foto sul pubblico, a me oggi suscitano profonda indignazione per l’inumanità dei piemontesi vincitori. Così si faceva l’unità d’Italia.
Tutte quelle fotografie, dalle pseudobrigantesse in posa ai morti ammazzati, venivano vendute a Napoli nella bottega di Alberto Detken, libraio-editore in Largo Palazzo, o nella bottega d’arte di Migliorato in Via Toledo , o ancora nel vicino atelier di Alphonse Bernoud.
Paolo Morello nel suo libro elenca molti fotografi, anche stranieri, allora operanti nel sud d’Italia e che hanno fotografato briganti: Mersanne, Giuseppe Incorpora, E. Appert, M. Brocato di Cefalù, Raffaele Del Pozzo, Alphonse Bernoud, Emanuele Russi, Ferdinando Caparelli, Giuseppe Chiariotti, Eugenio Sevaistre, Gioachino Altobelli, Raffaele Servillo, Enrico Seffer.
La seconda parte del libro-catalogo di Morello tratta più specificamente della raccolta di fotografie sul brigantaggio presente nel Museo Pitrè di Palermo. Sono 129 fotografie, delle quali dieci riprendono cadaveri, le altre sono ritratti; oltre ottanta in formato carte de visite, databili, per la maggior parte, agli anni ottanta dell’Ottocento. Solo di quattro gruppi di foto si conosce l’autore.
I briganti di quest’ultima collezione hanno poco in comune con quelli del periodo postunitario. Scrive Morello: «In Sicilia, negli anni di cui stiamo trattando, il brigantaggio non aveva mai avuto quel valore politico, che lo aveva animato nel periodo susseguente alla fuga dei Borbone a Roma (febbraio 1861). Era piuttosto una ordinaria attività delinquenziale, fondata sull’abigeato, sul ricatto, sul sequestro, sulle grassazioni».
Nella terza parte del catalogo troviamo un ricchissimo apparato iconografico: 10 riproduzioni (quasi tutte di incisoni di primo ottocento), 83 foto di briganti e brigantesse, vivi e morti.
Abbiamo, tra le altre, foto dei briganti Schiavone, La Bella, Schirò, Pilone, Borjes, Tristany, Spinelli, Caruso, Tamburini, Ninco-Nanco, Tranchella, Palmieri, Barile, Tinna, Voloninno, della brigantessa Marianna Pettulli, del trio Filomena Pennacchio, Giuseppa Vitale e Giovanna Tito.
Rocco Biondi

Paolo Morello, Briganti. Fotografia e malavita nella Sicilia dell’Ottocento, Sellerio editore Palermo, 1999, pp. 162, € 21,00

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Brigantaggio Toscano


Controrisorgimento – Il movimento filoestense apuano e lunigianese

Sono trascorsi 150 anni (1859-2009) dai moti risorgimentali apuani e lunigianesi, solitamente narrati e ricostruiti come moti collettivi filounitari, che portarono i territori corrispondenti all’attuale provincia di Massa Carrara all’annessione al Regno Sabaudo. A molti anni da quegli eventi sono ancora poche le ricerche storiche che si basano su fonti di archivio e scritti dell’epoca. Molte ricostruzioni si sono, infatti, inserite all’interno dei due filoni nazionali di studi risorgimentali, quello crociano e gramsciano, senza prendere in esame i tanti documenti presenti all’archivio di Stato di Massa. Non a caso Nicola Guerra, l’autore di questo minuzioso studio sul Risorgimento apuano-lunigianese, ricorda la sorpresa provata nel constatare che i faldoni dell’Archivio di Massa inerenti i rapporti di Pubblica Sicurezza di quegli anni risultassero ancora impolverati e con molte pagine che il tempo e la mancata consultazione presentavano incollate una sopra l’altra.
Nicola Guerra ci presenta, in questo interessantissimo studio, un quadro storico complesso ed articolato che evidenzia una situazione sociale e politica ben lontana dalla collettiva sollevazione popolare filounitaria spesso narrata.
Seguendo la ricostruzione storica e sociale dello studioso apuano si intraprende un percorso, piacevole anche dal punto di vista narrativo, che presenta con chiarezza come nel comprensorio rispondente alla attuale provincia di Massa Carrara si verifichi una reazione filoestense, determinata da scelte e comportamenti individuali e collettivi, che assume i tratti tipici di un movimento di resistenza e di un fenomeno di volontariato militare.
L’autore, oltre a presentare una ricostruzione accurata e intrigante, affronta l’inquadramento di tali eventi all’interno del dibattito storiografico nazionale che lo porta a formulare e rispondere ad un chiaro interrogativo: il Risorgimento fu moto di unificazione nazionale, rivoluzione mancata o guerra civile?
Controrisorgimento – Il movimento filoestense apuano e lunigianese, questo il titolo dello studio pubblicato dalla Eclettica edizioni, riesamina il fenomeno risorgimentale non come evento a se stante, e dopo l’inquadramento nel contesto storiografico, guida il lettore in importanti considerazioni che affrontano una tematica attuale come quella della nascita dell’identità nazionale.
Nicola Guerra, percorrendo tramite fonti di archivio inedite la storia locale di un momento cruciale del nostro Paese, porta alla luce dettagli curiosi, a volte anche tragici, di uomini e donne che diedero vita al fenomeno che l’autore definisce come Controrisorgimento. Gli eventi locali trattati non restano scollegati dal contesto nazionale, come troppo spesso accade agli studi di “storia locale”, ed in questa ricerca rappresentano una importante componente di quel insieme di “storie” che costituiscono e rappresentano il Risorgimento italiano ed il processo di unificazione.
Nicola Guerra, dopo aver contribuito alla ricostruzione del fenomeno migratorio apuano e lunigianese ed al suo inquadramento nella grande storia dell’emigrazione nazionale (Partir Bisogna. Storie e momenti dell’emigrazione apuana e lunigianese, 2001), ci offre ora l’opportunità di comprendere meglio la nascita dell’identità nazionale, il risorgimento ed il controrisorgimento, nel nostro territorio e nel nostro Paese.
Non resta che augurarci che questo importante studio, pubblicato dalla giovane e promettente casa editrice Eclettica, avvii un dibattito e favorisca nuove ricerche su una tematica tanto importante non solo a livello storico ma anche socio-politico in una Italia ed in una Europa che vedono la forte rinascita di identità locali che talvolta si integrano ed altre volte confligono con le identità nazionali.

Indirizzo per ordinare lo studio: info@ecletticaedizioni.com

foto su tela ha detto...

Mi sembra un testo molto interessante!

art supplies ha detto...

Great book!