Il libro pubblicato dagli Editori Riuniti ha avuto parecchie edizioni (e ristampe). La prima è del 1969 (prima ristampa del 1976), la seconda del 1979 è un’edizione fuori commercio riservata agli abbonati a l’Unità per l’anno 1980, la terza è del 2005. Le tre edizioni conservano sempre la stessa foliazione. Vi è un ricco corredo di illustrazioni fuori testo; nelle prime due edizioni le foto in b/n e i disegni a colori intercalano in vari punti le pagine, nella terza le illustrazioni tutte in b/n sono poste insieme in fondo al volume.
Quando il libro uscì vi erano ancora pochi studi su «quella angosciosa tragedia che fu la guerra del brigantaggio». Franco Molfese aveva pubblicato presso Feltrinelli nel 1964 la Storia del brigantaggio dopo l’Unità, ma si trattava «essenzialmente di una documentatissima storia diplomatico-militare dell’azione del governo “piemontese”», restava ancora impreciso il vero volto del brigante e della rete dei manutengoli, dei reazionari e degli sbandati che lo sostenevano; come nascoste restavano le ragioni umane che spingevano tanti uomini e tante donne a quello «sfascio».
Tuttavia, scrive De Jaco, il libro del Molfese è l’unico valido contributo di quegli anni alla storia del brigantaggio cioè di un periodo in cui - come scrisse Gramsci nel ’20 - «lo Stato italiano ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le isole crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di briganti».
De Jaco mette insieme una raccolta di scritti «di opposta origine», nel tentativo di formare un mosaico veritiero sul tragico periodo del brigantaggio di massa nel Mezzogiorno. Tre sono i filoni principali seguiti per i testi raccolti: scritti o verbali di interrogatori di briganti, testimonianze di ufficiali e soldati piemontesi, reportage di parte borbonica; con l’aggiunta anche di notizie giornalistiche dell’epoca e relazioni ufficiali. Su di uno stesso argomento si hanno voci di diversa parte, nel tentativo - almeno così spera De Jaco - di permettere al lettore di farsi un quadro degli avvenimenti il più possibile vicino alla verità.
Con una prima sezione di testi si cerca di dare risposta alla domanda: Chi sono i briganti?. Quelli che non hanno un cappotto, masnadieri trasformati in eroi, soldati dell’indipendenza nazionale, che hanno energia, ardimento ed intelligenza.
Nella raccolta assumono particolare rilievo tre momenti della guerra del brigantaggio: la marcia di Carmine Crocco e del suo esercito di briganti su Melfi nell’aprile 1861, la reazione di Gioia del Colle capitanata dal sergente brigante Pasquale Romano nel luglio 1861, la distruzione ad opera dei piemontesi di Casalduni e Pontelandolfo nell’agosto 1861.
Altra parte della raccolta è dedicata a particolari scontri tra briganti ed esercito piemontese, a come morirono i briganti Schiavone, Coppa, Ninco Nanco, Chiavone, Borjés ed altri.
Ma quanti furono i “briganti” uccisi? Oscar de Poli nel 1864 (?) scrive: «Diecimila napoletani sono stati fucilati o son caduti nelle file del brigantaggio». Nel giornale La campana di San Martino del 4 novembre 1863 si legge: «Sono state fucilate o scannate 18.000 persone». E quanti furono i morti dell’esercito piemontese nella guerra del brigantaggio? Nella relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio si legge che dal 1861 al 1863 i morti furono «in tutto 21 ufficiali e 286 soldati, ossia 307 uccisi». Sproporzione immensa.
L’ultima parte della raccolta riguarda i giudizi dei contemporanei sugli avvenimenti del brigantaggio meridionale postunitario.
Il deputato Francesco Proto, Duca di Maddaloni, nella seduta parlamentare del 20 novembre 1861, diceva: «I delitti perpetrati in questa guerra civile ci farebbe arrossire della umana spoglia che vestiamo. Gente della nostra patria vien passata per le armi senza neppur forma di giudizio statutario, sulla semplice delazione di un nemico, pel semplice sospetto di aver nutrito e dato asilo ad un insorto».
Nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio del 1863 si legge: «Nelle provincie dove lo stato economico, la condizione sociale dei campagnoli sono assai infelici il brigantaggio si diffonde rapidamente, si rinnova di continuo, ha una vita tenacissima».
L’onorevole Miceli, nella seduta parlamentare del 31 luglio 1863, affermava: «Nessuno di voi negherà che, quando si sorpassano i limiti della repressione con eccessi inescusabili, anziché raggiungere lo scopo, ce ne dilunghiamo; anziché distruggere il brigantaggio lo rendiamo perenne e sempre più feroce. La repressione ha ecceduto i confini che la giustizia e la prudenza dovevano rendere insormontabili».
Pasquale Villari, nelle sue Lettere meridionali, nel marzo 1875, scriveva: «Il brigantaggio è il male più grave che possiamo osservare nelle nostre campagne. Esso è certo, come è ben noto, la conseguenza di una questione agraria e sociale, che travaglia quasi tutte le provincie meridionali».
Rocco Biondi
Il Brigantaggio meridionale, Cronaca inedita dell’Unità d’Italia, a cura di Aldo De Jaco, Editori Riuniti, Roma 1969 (ristampa del 1976), pp. 352
21 agosto 2008
Il brigantaggio meridionale, Cronaca inedita dell’Unità d’Italia a cura di Aldo De Jaco
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