20 dicembre 2007

Memorie di un ex Capo-Brigante, di Ludwig Richard Zimmermann

Confesso che anch’io, come Erminio De Biase, quando lessi nella bibliografia de I Briganti di Sua Maestà di Michele Topa che il libro di Zimmermann del 1868 non era mai stato tradotto in italiano, ebbi un impulso ad attivarmi per farlo tradurre. Nello stesso tempo mi posi la domanda del perché finora non fosse stato ancora tradotto. Finita ora la lettura della traduzione curata da Erminio De Biase mi sono data la risposta che forse la mancata traduzione era dovuta al fatto che il libro non rende un buon servigio al brigantaggio meridionale postunitario.
Leitmotiv di tutte le Erinnerungen [Memorie] – come scrive anche De Biase nella nota introduttiva – è l’avversione del tedesco Zimmermann per Luigi Alonzi “Chiavone”, uno fra i più grandi “generali” dei Briganti. Si potrebbe quasi dire che il libro è stato scritto per parlare male di Chiavone. Viene descritto come vigliacco, vanaglorioso, incapace al comando. Ma così non è. Chiavone – scrive De Biase – non può essere un vigliacco come Zimmermann si ostina a definirlo per tutta la durata del racconto. «Luigi Alonzi doveva essere, per sua natura, sgusciante come un’anguilla e quella che Zimmermann insistentemente definisce vigliaccheria era, molto più probabilmente, un istintivo adattamento alle varie pretese del tedesco, un farlo “fesso e contento”, insomma».
La ruggine che c’è tra Chiavone e Zimmermann è frutto della incomprensione e competizione che c’erano in quegli anni fra i nativi guerriglieri “regolari” e i mercenari stranieri, entrambi combattenti contro i Savoia piemontesi e per il ritorno dei Borbone nell’ex Regno delle Due Sicilie. E Zimmermann era un mercenario. Quello che avveniva tra Zimmermann e Chiavone tra le montagne di Sora nel Lazio, succedeva anche tra Crocco e Borges in Basilicata. E furono proprio gli stranieri Tristany e Zimmermann, entrambi sospettati di essere doppiogiochisti e spie, a decretare la condanna a morte di Chiavone.
Ma se questo è Zimmermann perché leggere il suo libro? Perché – come dice De Biase – si ha l’opportunità di osservare i Briganti , oltre che nelle azioni di guerriglia, anche nel loro “quotidiano”: li vediamo marcire per giorni sotto la pioggia, correre per ore ed ore su piste accidentate, sfamarsi quando, come e dove possono e dissetarsi con neve sciolta.
Nella prefazione del libro Zimmermann dice di descrivere quello che lui stesso ha vissuto o quello che ha appreso da persone degne di fede, ma dice anche di condannare la sua scelta di allora di combattere insieme ai Briganti.
Suscita qualche dubbio la simpatia che Zimmermann nutre per Garibaldi. Nello stesso tempo però nutre grande stima e simpatia per i Briganti in genere. Scrive nella premessa alle Memorie: «Chi vuol trovare un punto luminoso nella torbida e sporca storia della fine del Regno di Napoli, deve volgere lo sguardo nelle foreste, sui monti della Maiella, della Meta, del Gargano e degli Abruzzi; là troverà ovunque tracce di sangue di fedeli e tenaci combattenti che abbandonarono i loro cari ed i loro paesi con l’arma in mano e la certezza nel cuore di vivere liberamente sotto il libero cielo di Dio, o di morire». E’ un po’ la retorica dei viaggiatori stranieri sulle orme dei Briganti e la giustificazione della sua scelta di diventare Brigante.
Una notazione interessante dello Zimmermann riguarda il ruolo che svolgevano i giornali dell’epoca. I Briganti – dice – non avevano giornali a loro disposizioni; con le loro brave “scoppette” riuscirono, per anni, a tener lontano le decine di migliaia di soldati del re piemontese, ma non i suoi scribacchini, che divulgavano in tutta l’Europa l’idea che i Briganti fossero dei banditi criminali. «Contrastare le innumerevoli bugie e le calunnie di quei pennivendoli è uno degli scopi primari di questo libro», scrive Zimmermann. Ma anche lui in tutto il libro non ha scherzato nel diffondere bugie e calunnie.
Tutto il libro è di piacevole lettura ed accattivante. Si apre con l’arrivo dello Zimmermann a Roma la sera del 29 agosto 1861, si prosegue con l’incontro con Chiavone sul Monte Favone che sovrasta Sora, con la descrizione del modo di vivere e di vestire dei Briganti, della biografia di Chiavone ovviamente negativa, del combattimento nel Bosco di San Silvestro del 10 settembre 1861, di battaglie contro i soldati francesi e piemontesi.
Un capitolo interessante è quello dove si descrive l’organizzazione della truppa di Chiavone, composta dallo Stato Maggiore e da otto compagnie. Lo Stato Maggiore era formato dal Comandante in capo Luigi Alonzi Chiavone, dal colonnello de Rivière, dal tenente colonnello di Kalkreuth, dal maggiore Zimmermann, dal capitano aiutante-maggiore Mattei, dagli alfieri Lecart e Danglais, dal chirurgo Agostino Serio, da ventuno guide. Le Compagnie erano composte da circa cinquanta uomini ciascuna, tutte capitanate da un comandante; in esse militavamo parigini, belgi, siciliani, tedeschi, napoletani, abruzzesi, molisani. «L’intera truppa contava, quindi, venti ufficiali, un medico, cinquantanove sottufficiali e caporali, sette trombettieri e trecentoquarantatre soldati, per un totale di quattrocentotrenta uomini».
Il 5 novembre 1861 viene preso Castelluccio. L'11 novembre 1861 Zimmermann rientra a Roma, dove sverna. A Roma passavano l’inverno molti capibriganti. Viene descritta la fine del generale Borges.
Il 6 aprile 1862 Zimmermann riparte da Roma per la seconda campagna fra i monti di Trisulti e di Roveto, Monte d’Ortica, Monte Favone, Monte Castello. Avviene il ricongiungimento con Tristany. Vengono descritti i sette giorni di fuoco dal 23 al 29 maggio 1862. Il 28 giugno 1862 Tristany e Zimmermann fecero fucilare Chiavone. «La mia missione in quei luoghi era, dunque, finita», scrive Zimmermann nell’ultima pagina del suo libro. E ritorna a Roma, per poi sbarcare a Venezia.
Rocco Biondi

Ludwig Richard Zimmermann, Memorie di un ex Capo-Brigante, traduzione note e commento di Erminio De Biase, Arte Tipografica Editrice, Napoli 2007, pp. 296, € 22,00

Nessun commento: