21 marzo 2015

La Legge Pica 1863-1865 (La testimonianza di Inorch Scorangef), di Gaetano Marabello



Inorch Scorangef, da ricerche effettuate da Marabello, è un anagramma di Ronchi Francesco (sia pure con una “c” al posto della “g”); uno pseudonimo quindi. Le ragioni per usare questa prudenza non mancavano. Il Ronchi era stato un giudice borbonico, nato nel 1801, caduto in disgrazia. Voleva evitare una pubblicità indesiderata ed una eventuale schedatura come oppositore politico. Il pamphlet contro la legge Pica, pubblicato nel 1865, poteva esporre l’autore all’accusa di aver somministrato “notizie e aiuti di ogni maniera” a favore del brigantaggio; e comunque poteva cadere sotto il maglio della censura, che colpiva ogni pubblicazione “che dispiacesse al governo del momento”.
     Il libro, dopo una introduzione di Edoardo Vitale e una prefazione di Nicola D’Argento, contiene un saggio di Marabello, nel quale si espongono le motivazioni che lo hanno portato a scrivere sulla legge Pica e a sottrarre dall’oblio del tempo, pubblicandolo, il coraggioso pamphlet del Ronchi. Ma la parte forse più significativa sono le ricche e corpose note, che contengono notizie su personaggi e fatti che in qualche modo hanno avuto a che fare con il brigantaggio postunitario. Infine sono raccolti in appendice tredici significativi documenti attinenti all’argomento del libro.
     Palesemente illegittima fu l’imposizione, tramite invasione, dell’autorità sabauda sui territori del Regno delle Due Sicilie, che manifestò la propria opposizione riuscendo a mettere a dura prova per molti anni un esercito di almeno 120.000 uomini e 80.000 guardie nazionali. La famigerata legge Pica va considerata come lo strumento con cui l’invasore venuto dal nord cercava di soffocare la ribellione delle popolazioni del Sud e non certo come un mezzo per ripristinare la legalità. Il Brigantaggio non fu fenomeno esclusivamente criminale, come volle far credere la propaganda imposta dal governo sabaudo, ma fu un anelito alla libertà.
     La legge Pica fu un vergognoso atto di forza che istituiva la pena di morte e la politica del sospetto. Veniva ucciso chiunque venisse trovato con un’arma in mano e veniva inviato al domicilio coatto chiunque venisse sospettato (anche con accuse anonime) di favorire in qualsiasi modo il brigantaggio. Era funzionale a questo modo di agire l’equiparazione dei briganti ai camorristi, con cui i piemontesi, dopo l’esito dei plebisciti-farsa, cercavano di allontanare sul piano internazionale l’immagine di non essere ben accetti alla popolazione del Sud.
     Questa legge poi conteneva una vera e propria aberrazione giuridica, laddove limitava la sua validità alle sole province proclamate “infestate dal brigantaggio” e non alle altre, violando quindi il principio d’uguaglianza della legge albertina, cui diceva ispirarsi il Regno sabaudo. Due pesi e due misure quindi, che facevano tornare molto utile la volontà di disconoscere ogni valenza politica alla lotta di resistenza in atto nell’ex Regno delle Due Sicilie.
     Il quadro d’assieme della struttura dell’appello agli elettori, dettato dallo Scorangef in occasione delle elezioni per la seconda legislatura del Regno d’Italia, si compone di tre capitoli, ripartiti in 87 capoversi complessivi, e reca un corredo finale di 50 note. Lo stile dello scritto è fortemente aulico, pieno di citazioni erudite, che solo una persona che per motivi professionali ha dimestichezza di aule giudiziarie può avere. Nel primo capitolo si attribuisce lo “sgoverno delle floride provincie Meridionali” alla “ignoranza delle Storie patrie e della legislazione delle accuse segrete”. Nel successivo capitolo, esaminando la “universalmente esecrata Legge Pica” che ha data la stura ad una serie d’ingiustizie legalizzate, viene attaccato l’artefice (Pica) di quella che si ritiene essere una vera mostruosità giuridica. Nell’ultimo capitolo si svolge un raffronto con alcuni fatti analoghi verificatisi in Firenze a partire dal XIV secolo.
     La prima nota del testo dello Scorangef riporta un lungo articolo di una rivista inglese, tradotto in italiano, riservato alle vicende italiche. In esso si legge, tra l’altro, che “il Conte di Cavour ha fondato la egemonia piemontese e sono da essa derivati tutti i mali, che pesano ora sulle provincie meridionali. Lo scontento generale e profondo delle provincie meridionali, come la miseria che le affligge, deriva dall’essere esse state ingannate nelle loro speranze, ferite nel loro amor proprio e nei loro interessi, compiutamente mal governate. L’indirizzo, che il governo ha seguito sin ora riguardo alle provincie meridionali, non è italiano, non nazionale, non giusto, non fraterno; ma per lo contrario interamente piemontese, di consorteria, di partito e dannoso alla intera Penisola”.
     La quarta nota riporta il testo delle tre leggi sul brigantaggio votate dal parlamento: la prima del 15 agosto 1863, la seconda del 7 febbraio 1864, la terza del 24 dicembre 1864, che prorogava le leggi Pica e Peruzzi fino al 31 dicembre 1865.
     Le note di Marabello alle 50 note dello Scorangef sono ben 128.
     E a proposito delle note consiglierei, per una prossima auspicata ristampa, che esse fossero poste a piè delle relative pagine, per poter consentire una lettura quanto più facile del libro. Come pure consiglierei la traduzione dal francese in italiano del testo dell’appendice IX (Decreto 17 settembre 1793).

Gaetano Marabello, La Legge Pica (1863-1865). I crimini di guerra dell’Italia Unita nel Sud. La testimonianza di Inorch Scorangef, Controcorrente edizioni, Napoli 2014, pp. 200. € 10,00

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