Agnoli con il suo libro intraprende un allegorico viaggio nell’Italia meridionale di quasi un secolo e mezzo fa. Le modalità del viaggio sono simili a quelle del settecentesco Grand Tour, i cui viaggiatori, prima della partenza, si informavano e raccoglievano quante più notizie possibili sui luoghi che avrebbero visitato. Il passaggio diretto su quei luoghi serviva però a controllare l’esattezza sul terreno delle notizie raccolte sulle carte e talvolta ci si dedicava alla stesura di “una nuova cartografia”. Si scoprivano percorsi o completamente nuovi o malamente riportati sulle carte preesistenti, venivano ricollocati nel giusto sito fiumi e montagne, venivano rettificate strade per non correre il rischio di smarrirsi. Si incontravano paesaggi mai visti, abitatori sconosciuti, monumenti nuovi.
Come guide per il suo viaggio l’Agnoli si sceglie sia storici e scrittori che guardano con simpatia ai protagonisti del brigantaggio meridionale postunitario prestando maggiore attenzione ai vinti del Risorgimento: Carlo Alianello, Silvio Vitale, ma anche scrittori filorisorgimentali utili per conoscere i fatti accaduti in quegli anni (dandone però una diversa interpretazione): Antonio Lucarelli, Emidio Cardinali. Ma si ascoltano anche testimonianze dei diretti protagonisti di quei fatti: José Borges, Carmine Donatelli Crocco, il Sergente Romano.
All’Agnoli viene rivolta l’accusa di ripetere cose ormai risapute ed accettate dagli storici. Lui controbatte dicendo che non è assolutamente vero che l’approccio revisionista sia ormai ampiamente condiviso fra gli storici e rivendica la necessità di una rivisitazione della nostra storia dalla Rivoluzione francese in poi.
Dal punto di vista storico continuano ancora a fronteggiarsi due opposte ed inconciliabili interpretazioni dei fatti che avvennero nel decennio che va dal 1860 al 1870. Quella ufficiale, risorgimentalista e liberale, che ritiene sostanzialmente volontaria la partecipazione del Sud al processo dell’unificazione italiana. L’altra interpretazione invece sostiene che quella piemontese fu una vera e propria occupazione, o addirittura una conquista, del Sud. In quest’ultimo contesto il cosiddetto brigantaggio meridionale fu un’autentica ribellione popolare contro un’ingiusta aggressione.
Nelle popolazioni del Sud era chiara la volontà di voler difendere, anche con le armi, la propria patria dall’invasore straniero. Gli abitanti del Sud, tramite il braccio armato dei briganti, intendevano difendere un intero mondo con la sua fede religiosa, le sue tradizioni, le sue cerimonie, i suoi costumi. Lottavano in difesa della loro cultura e del loro dialetto contro una cultura ed un dialetto per loro incomprensibile.
I plebisciti, voluti dai piemontesi, furono un tentativo truffaldino e violento di voler fare ratificare sotto forma di apparente consenso popolare una serie di meri atti di forza. Il vero plebiscito invece contro i piemontesi fu espresso con la guerriglia di popolo.
Gli unitari sabaudi per imporre la loro volontà istituirono i tribunali militari chiamati ad infliggere condanne capitali a chiunque venisse sorpreso armato. Fecero ricorso a fucilazioni indiscriminate, a prolungate carcerazioni di innocenti, senza risparmiare donne e bambini. Distrussero, incendiarono e saccheggiarono interi paesi, che avevano osato ribellarsi.
I mezzi usati dai piemontesi sono altrettanto e a volte più feroci di quelli cui fanno ricorso gli insorti meridionali. «Sicché - scrive Agnoli - o si attribuisce a tutte le parti in conflitto la qualifica di brigante indipendentemente dalla divisa indossata o, quanto meno, se ne esentano entrambe».
Le responsabilità dei sabaudi piemontesi soverchiano di gran lunga quelle dei briganti meridionali. La tristemente famosa legge Pica, già indegna di un paese civile nella formulazione, diviene ancora e di gran lunga peggiore nella sua applicazione.
I primi due ribelli che Agnoli incontra nel suo viaggio nell’ex Regno delle Due Sicilie sono il generale spagnolo José Borges e l’ex pastore di Rionero Carmine Donatelli Crocco, forse i principali protagonisti della rivolta del Sud, certamente i più noti. Due personalità e due modi di concepire la rivolta totalmente diversi, che non nutrono alcuna stima reciproca. Borges considera Crocco non un combattente legittimista, non un soldato, ma un ladro, anzi il re dei ladri. A sua volta Crocco riteneva che il generale Borges fosse un uomo inetto. Eppure l’obiettivo che si prefiggevano era comune e per un certo periodo collaborarono insieme.
Dopo alcuni successi militari contro i piemontesi, Borges e Crocco progettano l’assalto a Potenza. Progetto però che non intraprenderanno mai. Tale rinuncia quasi certamente fu concordata fra Borges e Crocco.
Borges certamente non è un inetto, ma Crocco non sbaglia a definirlo un illuso. Al di là del valore dei due personaggi - scrive Agnoli - non vi è dubbio che il cafone Carmine Donatelli Crocco rappresenti, nel bene e nel male, la rivolta meridionale all’invasione assai più a fondo del valoroso hidalgo José Borges.
Proseguendo il suo viaggio nelle terre del Sud l’Agnoli incontra tanti legittimisti stranieri, venuti in Italia da tutta Europa a sostegno di re Francesco II e della regina Maria Sofia. Quasi tutti appartenuti agli alti gradi dalla carriera militare. Fra essi l’ufficiale prussiano e poeta romantico Edwin Kalkreuth de Gotha, il generale bretone Augustin de Langlais, il marchese belga Alfred de Trazegnies, il generale spagnolo Rafael Tristany, l’austriaco Ludwig Richard Zimmermann, Theodor Friedrich Klitsche de La Grange, Emile Théodule de Christen; legittimista italiano è il tenente Achille Caracciolo di Girifalco.
Nel basso Lazio, ai confini con gli Abruzzi, combatteva il brigante Luigi Alonzi, detto Chiavone. Guardaboschi, nato a Sora, era riuscito a raccogliere nella sua banda fino a 500 uomini. Ottenne vari successi contro l’esercito piemontese. Con lui ebbero a che fare quasi tutti i legittimisti sopra citati. Fu contrastato dal Tristany e dallo Zimmermann, che lo fecero condannare a morte e fucilare. Ma anche Chiavone, come Crocco, è più vicino alla lotta meridionale di quanto non lo siano i legittimisti stranieri.
Proseguendo il suo viaggio nelle terre dei briganti l’Agnoli arriva in Puglia ed incontra Pasquale Domenico Romano, detto il Sergente Romano, «uno dei protagonisti più umanamente positivi, accanto allo spagnolo José Borges, dell’intera vicenda della ribellione meridionale all’invasione piemontese». Romano riuscì ad unire attorno a sé tutti i capi della ribellione barese e leccese: Rocco Chirichigno, Francesco Monaco, Cosimo Mazzeo Pizzichicchio, Giuseppe Valente Nenna-Nenna; ebbe contatti e fece delle azioni di guerriglia anche insieme a Crocco. Dopo diverse vittorie, Romano in un ultimo scontro fu ucciso dai piemontesi a colpi di sciabola.
Nella sua virtuale peregrinazione Agnoli va anche nella fortezza di Civitella del Tronto, ultimo baluardo borbonico; deviando poi per Napoli, partecipa alla congiura di Frisio, un luogo sulla costa di Posillipo, dove si tentò di organizzare una opposizione cittadina, aristocratica e borghese all’invasione piemontese; visita anche Montefalcione, vicino Avellino, dove nel 1861 vi fu una corale insurrezione popolare contro i piemontesi; partecipa ai moti siciliani del 1866; incontra poi le brigantesse Maria Lucia Di Nella, Filomena Pennacchio, Marianna Corfù, Maria Capitanio, Michelina Di Cesare, Maria Orsola D’Acquisto, Maria Oliverio ed anche l’ultima brigantessa del Sud: la regina Maria Sofia, la giovane moglie bavarese di Francesco II.
Rocco Biondi
Francesco Mario Agnoli, Dossier Brigantaggio - Viaggio tra i ribelli al borghesismo e alla modernità, Controcorrente, Napoli 2003, pp. 390, € 20,00
23 novembre 2008
Dossier Brigantaggio, di Francesco Mario Agnoli
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