10 giugno 2007

Analisi politica del brigantaggio attuale nell’Italia meridionale

Tommaso Cava de Gueva, capo dello stato maggiore borbonico a Capua durante l’assedio del 1860, scrisse questo piccolo libro di sole 60 pagine nel 1865, quando ancora infuriava la liberticida repressione del brigantaggio da parte dello stato italiano (piemontese). E’ una condanna spietata ed accorata degli illiberali metodi con cui si volle sradicare la rivolta popolare e di massa con la quale il sud invaso rivendicava dignità, libertà, lavoro.
Il libro si apre con una sfiduciata lettera dell’autore indirizzata al Re Vittorio Emanuele II. Io che vi scrivo - dice in apertura il Cava de Gueva al Re piemontese - non sono uno dei vostri adoratori, e lo confesso con quella lealtà che è il mio distintivo, perché la mia venerazione continua ad essere rivolta ai miei legittimi Sovrani napoletani. Poi mette in guardia il Re dal prestare attenzione agli adulatori che simulano amicizia e che invece tradiscono, per cupidigia ed ambizione. L’esperienza - dice sarcasticamente il Cava - dimostra che il traditore è come la donna corrotta: il difficile consiste nel primo fallo; preso questo, poi se ne prendono facilmente tantissimi altri, per necessità di professione.
I nuovi sovrani avrebbero tutto il diritto di governare ed essere stimati se rendessero migliori le condizioni di vita del popolo che hanno sottratto ai sovrani che hanno rovesciato. Ma così non è.
E si passa subito a parlare del tema del libro: il brigantaggio.
«Chi sono i briganti?», si chiede il Cava.
Se briganti sono quelli che combattono con le armi l’attuale governo che ha imposto con la forza l’unità d’Italia ed ha rovesciato i legittimi sovrani del Regno delle Due Sicilie, briganti sono stati pure i Fratelli Bandiera che nel 1844 tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud Italia contro i Borboni, brigante è stato pure Giuseppe Garibaldi che nel 1849 con le armi in pugno tentò invano d’invadere il Regno di Napoli, riuscendovi poi nel 1860, brigante è stato pure Carlo Pisacane che nel 1857 venne a sconvolgere l’ordine pubblico nel napoletano.
Giuseppe Mazzini scriveva: «La guerra d’insurrezione per bande, deve essere la guerra di tutte le nazioni che vogliono emanciparsi da un usurpatore straniero». Ed è appunto quello - scrive Cava - che stanno facendo i cosiddetti briganti contro i Savoia.
Caratteristica fondamentale del brigantaggio postunitario è stata la compartecipazione, quasi corale, di tutti i cittadini del Sud. Perché una banda di “briganti” possa reggere alla macchia in campagna ha bisogno dell’appoggio degli abitanti dei paesi presso i quali si aggira, altrimenti non potrebbe mantenersi oltre qualche mese. Le attuali bande invece stanno in campagna da cinque anni - scriveva appunto Cava nel 1865 - senza che 80.000 uomini di truppa piemontesi siano riuscite a distruggerle, anzi sono stati essi decimati. Dunque è chiaro che tali bande sono sorrette, appoggiate, agevolate e sostenute dagli abitanti dei paesi e delle città dove esse operano.
E fino ad un certo periodo, quanto più aumentava la repressione più aumentavano di numero le comitive brigantesche. Fucilazioni di massa, incendi di interi paesi, atrocità di ogni genere, legge Pica, hanno ottenuto come risultato di far aumentare la reazione ed il brigantaggio.
Ed anche tanti uomini cospicui per ingegno, per dottrina, per onestà e per popolarità - scrive ancora il Cava - guardano sogghignando le convulsioni di questo aborto che si chiama governo italiano.
Successivamente il Cava si lancia in una lunga serie di confronti (ne ho cantati ben 57), dai quali ne esce sempre vincitore il passato governo borbonico rispetto all’attuale governo piemontese. «Questo lungo paragone - scrive il Cava - però non significa punto che il passato governo era perfetto, poicchè esso poteva esser migliore. Ma per Dio! rispetto all’attuale, era qualche cosa di divino». Ed è per questo che molti uomini, pressati dalla miseria, dalla fame, dalla minaccia dell’esilio, dalla violazione di ciò che gli è caro, finisce col procurarsi un fucile per andare ad ingrossare le file della reazione.
Cava de Gueva fa l’elenco di quelli che lui ritiene essere eroi (e non briganti come ritengono quelli del governo piemontese): i Borjes, i Tristany, i Castagna, i Lagrande, gli Alonzi, i Coja, i Mattei, i Conte, i De Riviere, i Massot, i Basile, i De Trazegnies, i Caretti, i Zimmerman, i Valenzuela, i Rodriquez Melendez, gli Alvarez, i Patti, i de Riman, i Bockelman, i Cappuccio, i Sammartino, i d’Amore, i Molini, i Patrizi, i Matteis, i Duch, i Rosser, i Rufat, i Schettino, i Frosard, i Kalcreut, ed altri.
Tutto il libro di Tommaso Cava tende a dimostrare che l’«epiteto di brigante, nel suo vero schifoso significato», non è da attribuirsi ai guerriglieri del Sud che semplicemente si difendono, ma agli invasori piemontesi ed ai loro satelliti. Briganti furono loro.

Tommaso Cava, Analisi politica del brigantaggio attuale nell'Italia meridionale, Arnaldo Forni Editore 2004, Ristampa dell'edizione di Napoli 1865, pp. 60

1 commento:

Antonio Candeliere ha detto...

Interessante, bisogna leggere il libro che tra l'altro non conosco!