Ricordo i lontani tempi di frequentazione delle cantine romane negli anni 70. Mi ritornano alla memoria Giancarlo Nanni e Manuela Kusterman, Memé Perlini, Giuliano Vasilicò, Valentino Orfeo, Carmelo Bene, Leo De Berardinis e Perla Peregallo, Carlo Quartucci, Carlo Cecchi, Claudio Remondi e Riccardo Caporossi. Il teatro sperimentale romano. Con i suoi luoghi: Beat 72, La Fede, La Piramide, L’Abaco. Un mondo che non c’è più.
Non so se questa opera prima teatrale di Uccio Biondi ha le sue radici in quei tempi. Ma a me ha fatto tornare indietro. E mi chiedo che impressione può fare questo spettacolo su chi quei tempi non ha vissuto.
Ma forse bisogna lasciarsi suggestionare da quello che avviene, ora, sulla scena. Svincolandosi dalle ascendenze culturali. Non necessariamente bisogna rispecchiare un nostro vissuto. Diventiamo parte di una realtà che si crea assistendo allo spettacolo. E forse sono utili, per entrare nell’ingranaggio della messinscena, le note di regia dell’autore. Ma non sono indispensabili. Ognuno può vedere e capire a modo suo. Certamente però non è un teatro facile da masticare.
Gli attori recitano e vivono in un microspazio quale può essere una zattera di salvataggio, dopo un naufragio. Tavole di metri 3,50 per 2,40, poggiate su grossi pneumatici. Accanto un bidone colorato. Lo spazio minimo costringe le cinque naufraghe a incontrarsi e scontrarsi. Forse sfuggono al naufragio della vita moderna. Diventiamo testimoni del loro essere. Ma «le protagoniste-eroine, non chiedono aiuto, esigono rispetto». Ci immedesimiamo nella donna che vive una vita virtuale attaccata al suo computer, nella donna che dà e riceve piacere attraverso il suo corpo, nella donna che si esalta con i profumi artificiali, nella donna asservita ed alienata dalla televisione, nella donna che si stanca ragionando troppo. Ma su tutte sovrasta una statua di gesso, immobile e parlante, che forse unica ha raggiunto un suo equilibrio.
Teatro della parola e della riflessione. L’azione conta poco.
Uccio Biondi dichiara di essersi ispirato molto liberamente alla raccolta di poesie in dialetto “Nguna vite” di Pietro Gatti, citandone alcuni passi durante lo spettacolo.
NERO VITE, scrive ancora Uccio Biondi, pare essere il cabaret del colore nero come la fuliggine, cinico come la coscienza della morte, puro ed essenziale sino a proiettarsi in un tempo altro dal presente: il futuro o il passato.
Lo spettacolo è andato in scena al Teatro Comunale di Ceglie Messapica (Brindisi), sabato 21 aprile 2007. Gli attori: Rosangela Chirico, Mariangela Gioia, Marinella Curri, Giovanna Prezioso, Paola Riascos, Donato Spina, Mimma Cavallo.
21 aprile 2007
Unadiecicentomille NERO VITE di Uccio Biondi
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