10 maggio 2020

Amori e delitti dei briganti Cipriano e Giona La Gala, di F. Mastriani

Il libro porta come autore Francesco Mastriani, ma in realtà si tratta di Filippo, figlio di Francesco. Approfittando infatti che ambedue iniziano il nome con F., molti editori e stampatori napoletani usarono il nome Francesco, ormai famoso, per attribuirne libri e romanzi. Un’attenta lettura del romanzo, dice Concetta Sabbatino, fa attribuire il romanzo a Filippo. 
   Trattandosi di un romanzo non sempre i fatti narrati corrispondono a quelli della vita reale.
   Il primo atto della vita brigantesca di Cipriano, secondo il romanzo, fu l’uccisione di una fanciulla, di nome Elisabetta, che aveva tradito il suo amore. Poi uccise anche Lorenzo con cui lo tradiva.
    A questi due primi delitti tenne dietro una sequela di misfatti: grassazioni, rapine, estorsioni, mutilazioni, omicidi; quasi tutti dell’anno 1861. L’autore Mastriani sembra discolpare da tutti questi misfatti Cipriano, «non comparendo mai né come esecutore materiale, né come mandatario, né come istigatore», addossandone la colpa ad altri briganti, specialmente a suo fratello Giona «belva sotto l’apparenza di uomo»; ma in realtà riconoscendo in lui «una strana miscela di ingredienti contraddittori, cioè coraggio e viltà, ardire e prudenza, scaltrezza e pusillanimità, autorità e soggezione». L’avvocato Cecaro, nella sua lunga difesa, dimostrerà come Cipriano si ponesse dietro le quinte.
    Seguono poi nel romanzo le narrazioni degli omicidi dei carabinieri Cuminelli e Brocchieri, la libertà che Cipriano diede ai soldati che avevano combattuto in quaranta contro trecento briganti, come Cipriano sfuggì al carnefice fingendosi morto, l’uccisione del giovane Luigi Savoia tenente della Gurdia Nazionale, le fiamme che avvolsero un banchiere dopo che Cipriano le salvò la figlia, l’atroce assassinio del De Cesare che aveva fatto un torto a Giona nel carcere, l’uccisione del vecchio prete Viscusi.
    Cipriano, insieme ad altri quattro briganti, fu arrestato dal questore di Genova a bordo del piroscafo francese l’Aunis. Ne nacque un caso diplomatico con i francesi, che in qualche modo proteggevano i briganti. Nel contempo Cipriano e Giona, evasi dalle prigioni erano comparsi, con una numerosissima banda, sulle montagne del Taburno.
    Ma Cipriano e i suoi furono vittime di una donna. Questa, diciottenne, su consiglio del padre che volle intascare il vistoso premio, si offrì al capo-brigante e divenne la sua amante. Fino a quando Cipriano, in occasione del suo onomastico, volle offrire alla sua comitiva un sontuosa cena. La donna disse che avrebbe messo a disposizione una botte del vino migliore del padre, vinaio; ma dopo avervi versato dentro una buona quantità di oppio, che fece addormentare tutti, Cipriano e i suoi compagni, dopo aver digerito il narcotico, si trovarono legati nel fondo di una prigione.
    Cipriano e il fratello Giona furono condannati, dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, alla pena di morte, Domenico Papa ai lavori forzati a vita, Giovanni d’Avanzo a venti anni di lavori forzati.
    Cipriano La Gala, secondo il romanzo, morì da eroe, guardando in faccia la morte; mentre in realtà morì in carcere, essendo stata mutata la sua pena ai lavori forzati a vita.
Rocco Biondi

Francesco Mastriani, Amori e delitti dei briganti Cipriano e Giona La Gala. Romanzo storico del brigantaggio, Imagaenaria Edizioni, Ischia 2004, pp. 270
 

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