2 aprile 2020

La Sicilia e il brigantaggio, di Luigi Capuana

Lo scrittore Luigi Capuana è nato a Mineo (Catania) nel 1839 ed è morto a Catania nel 1915. In questo scritto, che venne steso e pubblicato nel 1892, viene difesa la Sicilia dagli scrittori che ne parlavano male. A cominciare da Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, deputati toscani, che furono incaricati dalla destra, allora al governo, di stendere un’inchiesta sulla Sicilia. I due, che visitarono l’isola, la descrissero come arretrata e feudale. Contro di essi si scaglia Capuana, che scrive come nell’isola la criminalità era uguale a quella delle altre provincie continentali italiane, anzi dalle statistiche risultava inferiore.
    Anche se, parlando del brigantaggio, in genere lo considera negativamente, incorrendo in qualche contraddizione; come quando scrive che «prefetti, sottoprefetti, consiglieri di prefettura, magistrati, funzionari» lasciavano trasparire dalla trascuratezza dei loro abiti una certa aria di miseria, sconvolgendo la fantasia della popolazione abituata al fasto dei loro omologhi del governo borbonico. I siciliani si credettero trattati male, da gente conquistata, da sfruttare soltanto, «e se ne vendicarono arricchendo il loro dialetto di un sinonimo spregiativo con la parola: piemontese».
    Capuana cita nel suo pamphlet (breve pubblicazione scritta con intento polemico) vari autori, fra questi principalmente Giovanni Verga con le sue Vita dei campi e Novelle rusticane dove vive «la parte più umile del popolo siciliano, con le sue sofferenze, con la sua rassegnazione orientale, con le sue forti passioni, con le sue ribellioni impetuose e coi suoi rapidi eccessi».
    Capuana ricorre nel suo scritto al sotterfugio del “brav’uomo”, che riflette sulla differenza tra forma e sostanza che dividono il comportamento del brigante e del cassiere infedele; mentre quest’ultimo s’impossessa del denaro destinato alla povera gente senza nulla far trasparire, il brigante invece rischia la sua vita; e il brav’uomo, che giudica peggiore il comportamento del cassiere infedele, si domanda perché quest’ultimo non suscita almeno la stessa indignazione del brigante.
    «Il brigantaggio infatti – scrive il Capuana – non nuoce soltanto al derubato o al ricattato, ma intralcia la vita pubblica di un’intera provincia, rendendo mal sicure strade e campagne». Ma subito dopo aggiunge che è un fenomeno comunque da osservare, e studiare per quali ragioni si produca anche nelle altre provincie italiane.
    Non si possono dimenticare gli orrori della caccia ai renitenti alla leva, assediando paesi, fucilando i cittadini, arrestando povere donne incinte e facendole morire nelle prigioni, bruciando vivi i contadini.
    E il pover’uomo sogna invano ad occhi aperti, meglio sarebbe dire vaneggia, mani fraterne che si stringono, occhi che ammirano, cuori che palpitano, ma anche briganti in grado di resistere alle loro inclinazioni cattive.
    Capuana, che in tutto il saggio non fa differenza tra brigantaggio e delinquenza organizzata, solo alla fine in appendice interviene sulla mafia, riportando un articolo del suo amico Giuseppe Pitrè; il quale sembra distinguere tra mafia e brigantaggio.
Rocco Biondi

Luigi Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, introduzione di Carlo Ruta, Edi.bi.si, Palermo 2005, pp. 110

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