25 luglio 2018

Il Risorgimento visto dall’altra sponda, di Cesare Bertoletti


Cesare Bertoletti, figlio di piemontesi di Fosseno, sul Lago Maggiore, fu mandato a Napoli durante la prima guerra mondiale, ai primi del 1918; divenne capitano pilota di arei di combattimento. Sposò la napoletana “Perzechella”.
     Il libro non è antirisorgimentale, come anche l’autore. Il Risorgimento però è visto dall’altra sponda, contrariamente a quello che troviamo scritto nei libri di storia ufficiali; esso è visto dalla parte dei perdenti, a vantaggio quindi dell’Italia meridionale. La ragione non è del più forte, ma di chi sta dalla parte della ragione. L’esercito borbonico era ben istruito; i generali borbonici erano più preparati di quelli piemontesi.
     Vengono narrati i fatti storici dalla rivoluzione francese alla prima guerra mondiale, mettendo in risalto il contributo dato dalla popolazione dell’Italia meridionale.
     Bertoletti parla bene di Garibaldi e Mazzini; meno bene di Cavour.
     A noi piace evidenziare la parte del libro, che parla del Regno delle Due Sicilie. In questo Regno furono costruiti il palazzo di Capodimonte e la reggia di Caserta, dovuti al genio del Vanvitelli. Napoli divenne il centro della cultura musicale, con la costruzione del teatro San Carlo. Fu costruito anche l’imponente “Albergo dei poveri”. Il re Carlo III curò, tra l’altro, il miglioramento dell’università, gli studi nautici; stipulò trattati commerciali con numerose potenze europee. Ferdinando IV istituì, presso la reggia di Caserta, in località San Leucio, una manifattura di seta, dando ad essa una organizzazione originale per i suoi tempi.
     Napoli nel 1860 in Europa, come grandezza, veniva subito dopo Londra, Parigi e Pietroburgo; aveva veramente l’aspetto di una Capitale, sia per la sua posizione naturale che per l’imponenza delle sue costruzioni.
     Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato più importante di tutta la penisola italiana; pur avendo nell’agricoltura la sua principale risorsa era però all’avanguardia nei settori marittimo, commerciale e industriale. L’unità per l’Italia meridionale non fu un “affare”, ma fu una rovina economica e una diminuzione di prestigio.
     Fiorente erano la marina da guerra e mercantile; la circolazione monetaria in oro e argento era il doppio di quella degli altri Stati della Penisola messi insieme; l’industria tessile, oltre a fornire il mercato locale, esportava all’estero buona parte del prodotto, e dava lavoro a molte migliaia di operai; sviluppata era l’industria siderurgica: si fabbricavano armi da fuoco, macchine a vapore, locomotive, rotaie, gru, fucine, tubi di ferro, macchine agrarie, telescopi, pianoforti, orologi ecc.; si produceva anche ottima carta, guanti, vetri, porcellana, acidi ecc. In agricoltura una notevole importanza economica aveva l’allevamento delle pecore e delle capre; dall’Italia meridionale venivano esportati principalmente l’olio, ma anche vini tipici, e legname dei monti calabresi.
     I “briganti” e i “lazzaroni” erano partigiani che difendevano le loro case, i loro averi, le loro donne, la loro religione, la propria patria dallo straniero invasore.
     Dopo il 1861, con l’annessione al Piemonte, ebbe inizio l’immiserimento dell’Italia meridionale, la distruzione delle sue industrie, il malessere del suo artigianato e della sua agricoltura, e quindi la sua decadenza economica, le cui funeste conseguenze – scrive Bertoletti – ancora sono presenti e dannosamente operanti. È una leggenda – scrive ancora il Bertoletti – che il Mezzogiorno, al momento dell’unità, fosse torpido e languente.
     Ad unità conseguita veniva caricato sull’Italia meridionale metà del debito pubblico per sollevare il bilancio dello Stato piemontese, il quale nel 1860 era sull’orlo del fallimento. Furono messi in vendita i beni ecclesiastici; gli ordini religiosi concedevano in uso ai contadini i latifondi per un modestissimo affitto; passati tali beni in proprietà di privati danarosi, i contadini poveri si trovarono privi di ogni risorsa e alla fame, e questo fu uno dei motivi per i quali le campagne meridionali furono piene di briganti.
     Altro motivo importante che fece aumentare il brigantaggio fu il repentino scioglimento, da parte del governo italiano-piemontese, dell’esercito borbonico subito dopo la caduta di Gaeta.
     Finito a poco a poco il brigantaggio, anche a causa delle fucilazioni sommarie ad opera dei piemontesi, si diede luogo all’emigrazione di massa dei meridionali.
     La maggior parte degli uomini politici meridionali mai presero una decisa posizione di difesa della propria regione.
     Bertoletti conclude il suo libro riassumendo le più importanti “verità vere” sul Mezzogiorno. Il governo borbonico non era affatto retrogrado, ma all’avanguardia in Europa; i monarchi borbonici furono i meno feroci nelle repressioni politiche; l’industria era protetta e dava lavoro a centinaia di migliaia di operai; il commercio, anche per l’estero, era incoraggiato; non è vero che l’esercito borbonico non fosse combattivo e fosse indisciplinato e mal organizzato; non è che lo stato delle Due Sicilie fosse povero; è ingiusto l’appellativo di “re bomba” al borbonico Ferdinando II, tale appellativo dovrebbe essere dato al piemontese Vittorio Emanuele.

Cesare Bertoletti, Il Risorgimento visto dall’altra sponda. Verità e giustizia per l’Italia meridionale, Introduzione di Giovanni Artieri, con 42 tavole fuori testo, Arturo Berisio editore, Napoli 1967, pp. 333

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