21 maggio 2015

Briganti e galantuomini, di Claudio Conti



Chi si interessa di brigantaggio postunitario dovrebbe leggere questo romanzo di Claudio Conti, ottenendone grande giovamento nel comprendere l’ambiente culturale e sociale nel quale quel fenomeno è nato e si è sviluppato.
     Claudio Conti, nato a Roma nel 1939, che ha prima insegnato matematica nell’università e successivamente da dirigente ha lavorato in Inghilterra e negli Stati Uniti, è arrivato alla narrativa in tarda età. A questo romanzo, che ha come sfondo il brigantaggio meridionale, ha lavorato in pratica tutta la vita, partendo dai racconti su di un suo bisnonno fatti dal padre ed entrati a far parte delle fantasie della sua infanzia. Pur essendo vissuto quasi sempre al nord, si è sempre sentito nell’animo, come lui stesso scrive nella introduzione, un “mediterraneo”, un uomo del Mezzogiorno intimamente legato ai valori di quella cultura. Sulla guerra civile che insanguinò la proclamazione del Regno d’Italia si è documentato nel corso di lunghi anni, giungendo alla conclusione che le attuali contraddizioni che affliggono la vita politica e sociale del Mezzogiorno sono l’effetto degli eventi tragici e cruciali di quegli anni.
     Il tema del brigantaggio meridionale non viene trattato dal punto di vista dei briganti e del mondo contadino, ma da quello dei cosiddetti galantuomini, grandi proprietari terrieri e allevatori, che con il loro patto con l’amministrazione piemontese hanno contrassegnato la nascita della cosiddetta Unità d’Italia. Il protagonista del romanzo però, pur appartenendo a quest’ultima categoria, attraverso un complesso percorso di maturazione intellettuale e morale, si sente più vicino alla classe dei poveri contadini che non a quella dei galantuomini e abbandona la carriera militare per abbracciare quella dell’artista pittore.
     Un romanzo e quindi un libero esercizio della fantasia dell’autore. A Irsina non è accaduto nella realtà nulla di simile a quello descritto nel libro e Lombroso ha svolto la sua attività di medico militare in Calabria e non a Melfi.
     Il protagonista Gaetano, rimasto orfano (la madre era morta nel darlo alla luce, il padre morì qualche anno dopo) fu adottato da uno zio materno, dal quale prese il cognome di Pallotta. Venne accudito da tre sorelle zitelle di detto zio: Don Severino, un proprietario terriero, che divenne prima sindaco del suo paese Deliceto in provincia di Foggia e poi deputato al parlamento italiano. Per prestigio e per salvaguardare i propri interessi economici privati Don Severino decise che il proprio figlio adottivo Gaetano avrebbe seguito la carriera militare. Ancora sedicenne (si era nel 1851) Gaetano entrò alla Nunziatella, la Reale Accademia Militare. Nel 1859 uscì da detta Accademia con il grado di secondo tenente dell’esercito borbonico. Caduto il governo borbonico, dopo il plebiscito, entrò nell’esercito italiano con il grado di sottotenente.
     Fu utilizzato dall’esercito piemontese, specialmente come interprete nel tradurre il dialetto meridionale, nella lotta contro i briganti. Quest’ultimi nel romanzo appaiono solo sullo sfondo e sono imprendibili. Vengono invece raccontati episodi di atrocità ad opera dei piemontesi, che metteranno in crisi il meridionale Gaetano.
     Fra i briganti cui si accenna troviamo Crocco, Taschetta, Schiavone, Sacchitiello, Andreotti, Totaro, Caruso, Cavalcante, Ninco Nanco, Coppa, Della Gala, Chirichigno. Sono diventati tali perché il nuovo governo ha aumentato il prezzo del pane, dell’olio e del sale, rendendo più dura la vita della povera gente e ha introdotto la coscrizione obbligatoria.
     Gaetano s’innamora di Matilde, inizialmente scelta da Don Severino perché appartenente ad una famiglia possidente, ma che nonostante avesse avuto il padre ucciso dai briganti riesce a capire le ragioni di questi ultimi.
     Una figura singolare e significativa è quella del professore Marziale Letterelli, che insegnava latino al ginnasio-liceo di Melfi e che viveva in uno spazio nel quale protagonisti assoluti erano i libri: “accatastati per terra, impilati sui comodini, ordinati in scaffali di legno, di diverse epoche e misure, che coprivano pressoché completamente le pareti”. Il professore ritiene che i galantuomini possidenti utilizzano Carmine Crocco per salvaguardare i propri interessi, e lo fermano dall’invadere Potenza perché non più utile a loro. Farà anche venire a galla le contraddizioni presenti nell’animo di Gaetano e lo condurrà a seguire la propria vocazione abbandonando la vita militare.
     Il libro si chiude con il saluto che la quercia che campeggiava nella piazza del suo paese rivolge a Gaetano: “Ben tornato. Ti aspettavamo, sapevamo che saresti venuto”.

Briganti e galantuomini. Dai Borbone ai Savoia, Capone Editore, Cavallino (LE) 2015, pp. 216, € 13,00

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