2 gennaio 2015

Il Sergente Romano, di Antonio Lucarelli



La prima edizione de “Il Sergente Romano” di Antonio Lucarelli fu pubblicata a Bari nel 1922 presso la Società Tipografica Pugliese. Una seconda edizione, con avvertenza iniziale dello stesso Lucarelli, vide la luce nel 1946 presso la Laterza. Nel 1982 la Longanesi raccoglieva insieme, in un unico volume con prefazione di Leonardo Sciascia, gli scritti sul sergente Romano e quelli sui briganti preunitari Gaetano Vardarelli e Ciro Annicchiarico, tutti e tre del Lucarelli. Nel 2003 infine il volume sul sergente Romano veniva ripubblicato dalla Palomar, con prefazione di Giuseppe Giacovazzo.
     Il Lucarelli era un risorgimentalista antiborbonico. Riteneva infatti quella borbonica la “più esosa delle tirannidi”. Parimenti considerava un fenomeno totalmente negativo il brigantaggio e i briganti, che vengono appellati torma di volgari condottieri, ciurme, fanatiche turbe, branco di facinorosi, groviglio d’interessi malsani ed obliqui, predoni, orda, masnade, malandrinaggio, furfanti, forsennati. Anche se una qualche contraddizione la si riscontra laddove il Lucarelli scrive che se con la parola “brigantaggio” «si vuol designare quella manifestazione collettiva e simultanea nella ricorrenza di gravi crisi politiche e di convulsioni sociali, esso allora va considerato come un qualsiasi fenomeno storico, degno di studio nelle cause e negli effetti. Il brigantaggio in tal caso, nonostante le sue detestabili malefatte, è lotta dichiarata ed aperta contro le ingiustizie …».
     Altra interessante e condivisibile osservazione è quella dove il Lucarelli afferma che «le scritture documentarie, quasi tutte di fonte borghese, mentre narrano con larga copia di particolari l’efferatezza e gli eccidi dei reazionari, sono piuttosto parche d’informazioni e alquanto discordi» laddove si riferiscono alle tante malefatte dei piemontesi.
     Per il Lucarelli comunque fra i briganti emergeva la figura di Pasquale Domenico Romano di Gioia del Colle. Figlio d’un pastore di nome Giuseppe e di Angela Concetta Lorusso, ebbe naturale ingegno, pertinace volontà, indole intraprendente. Durante la permanenza, quasi decennale, nell’esercito borbonico, imparò a leggere e scrivere, e meritò i gradi di sergente e di alfiere. Dopo lo scioglimento dell’esercito napoletano ad opera dei piemontesi, nel gennaio 1861 tornò al paese natale, dove dalle autorità fu accolto con sospetto e dileggiato in quanto soldato sconfitto.
     Ben volentieri accolse la designazione da parte del locale comitato borbonico a “comandante generale” del clandestino “esercito” che si prefiggeva di riportare il re Francesco II sul trono di Napoli. Fu costretto ad affrontare la vita raminga dei boschi, divenendo comandante di circa duecento briganti. Per il Lucarelli «lo sciagurato sergente, una volta presa la china sdrucciolevole dell’errore, di disgrazia in disgrazia, di fallo in fallo, da reazionario e borbonico divenne, per necessità ineluttabile, masnadiero e bandito». Per noi invece il Romano divenne un cosciente brigante (termine dalla connotazione solo positiva), che lottò fino alla morte per il suo re, la sua patria, la sua terra, la sua famiglia.
     Il sergente Romano, che suscitò in Puglia tanto favore di popolo, stendendo dappertutto una larga rete di fiancheggiatori, riuscì a tenere la campagna per trenta mesi. Nell’agosto del 1862 in una grotta del bosco Pianelle, nei pressi di Martina Franca, alla presenza dei capibriganti, il Romano ottenne il comando supremo del brigantaggio pugliese.
     Già il 28 luglio 1861 la banda comandata dal Romano aveva assaltato con successo il rione S. Vito di Gioia del Colle. Il Lucarelli ritiene che le cause di carattere politico e sociale non sono sufficienti a chiarire l’origine dei conflitti che sfociarono nella guerra civile di Gioia in quell’estate del 1861; ad esse bisogna aggiungere motivi di natura locale, inerenti all’indole di quella cittadinanza. «Risolutezza di carattere, insofferenza di soprusi, ardore di passioni costituiscono le doti preminenti di quei cittadini, che sono, soprattutto, rigidissimi e gelosi custodi dell’onore personale», scrive il Lucarelli. I morti di quella giornata variano, a seconda delle fonti, da cinquantuno a circa centocinquanta.
     Il libro poi si sofferma sugli altri fatti di brigantaggio che si svolsero in Puglia, quasi tutti con la partecipazione del Romano fino alla sua morte: assalto al quartiere delle guardie nazionali di Alberobello, salvataggio della vita ad opera del sergente Romano di nove guardie nazionali che avevano invocato la Madonna del Carmine, invasione di Carovigno, disfatta della banda Romano presso la masseria dei Monaci di San Domenico tra Noci ed Alberobello: molti briganti muoiono ma il Romano riesce a fuggire.
     Il sergente Romano verrà ucciso a sciabolate il pomeriggio del 5 gennaio 1863 nel bosco di Vallata, nei pressi di Gioia del Colle, dai piemontesi cavalleggieri di Saluzzo. Insieme a lui morirono altri ventuno briganti.
     Scrive il Lucarelli: «Nell’intervallo di tempo che corse dall’estate del 1861 all’autunno del 1863 si svolsero in Puglia le gesta più formidabili del brigantaggio; il quale, per audacia di tentativi e per numero di seguaci, arrivò a tal segno da infrangere la fiducia d’ogni classe di cittadini nelle nuove istituzioni». E le nuove istituzioni, aggiungiamo noi, erano quelle dei piemontesi invasori del Regno delle Due Sicilie.
     Merito comunque del libro del Lucarelli è quello di aver cominciato a tirare fuori dall’oblio i briganti, termine quest’ultimo che per noi (lo ripetiamo) ha solo ed esclusivamente una connotazione positiva.
Rocco Biondi

Antonio Lucarelli, Il sergente Romano. Brigantaggio politico in Puglia dopo il 1860, Palomar, Bari 2003, pp. 206

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