Sintetizzare il libro di Raffaele Nigro è difficile, quasi impossibile. Bisogna leggerlo.
Nigro ricorre all’artificio manzoniano di voler far credere di riprendere la storia da un poema in ottave di un cantastorie vissuto nel 16° secolo: Colantonio Occhiostracciato, che fu il cantore delle gesta di Braccio Cacciante e della sua famiglia. Anzi fa raccontare questa storia da una Madonna di legno di rovere, Maria delle Battaglie, scolpita nel 1527. Una Madonna che non sa fare miracoli.
Tutto il racconto è un tentativo di far risvegliare dal coma profondo Federica, una ragazza di diciott’anni, che è stata vittima di un terribile incidente d’auto.
Maria delle Battaglie racconta a Federica la tragica e fascinosa storia di suoi lontani antenati. Fanno da cornice al racconto il padre e la madre di Federica: Bruno Cacciante, che legge e scrive tutto il giorno, è un filosofo che insegna alla Sapienza ed ha sposato Magdalena, giornalista televisiva che crede ancora nella possibilità di cambiare gli uomini e il mondo.
Il romanzo è un inno alla parola che talvolta riesce a fare miracoli.
Si narra la saga della famiglia Cacciante.
Siamo agli inizi del 1500 nel Regno di Napoli, nella regione dauna (Capitanata, Foggia), ai tempi delle guerre tra francesi e spagnoli.
Don Ferdinando Cantarella ebbe l’idea pazza di far diventare medico sua figlia Maria Trafitta. A quei tempi non era concesso alle donne di essere iscritte all’università, né di seguire corsi presso qualunque medico; toccare e ragionare di corpi spettava solo ai maschi. Ma Don Ferdinando aveva una spropositata paura della peste di quegli anni e voleva un medico tutto per se. E per ottenere questa grazia si rivolse a suo cognato Laviero Plantamura, medico che viveva in casa sua.
Laviero accarezzava certe teorie le quali sostenevano che l’anima fossa materiale e di queste teorie ne discettava nell’Accademia dei “Troccoli”, sinonimo della pasta fresca. Le belle menti dell’Accademia portano il nome di amici viventi di Raffaele Nigro.
Maria Trafitta bella non era, ma brutta nemmeno; intelligente era anche troppo ma malauguratamente era femmina. Aveva una parlantina come una fiumara in piena; lei non pensava, parlava. Copriva il silenzio di sciocchezze.
Laviero era voglioso di ribellarsi alle regole pietrificate della società ed inculcò questa idea nella nipote Maria Trafitta.
Nell'accademia dei troccoli fu invitato a tenere una relazione Pietro Pomponazzi, il filosofo che aveva fatto tremare le fondamenta della Chiesa difendendo il diritto della scienza alla libertà. La scienza vuole solo tempo e cancellerà il bisogno di miracoli.
Tra Laviero e Maria Trafitta nacque una relazione carnale per odio verso la morale e per veleno verso il mondo.
I santi del cielo partecipano attivamente ai fatti che avvengono sulla terra. Anche Dio, l'Eterno Padre in persona, vi partecipa; ma ad un certo punto non gli riescono più i miracoli, forse per eccessiva stanchezza.
L’arcangelo San Gabriele tiene un brogliaccio sul quale scrive tutto ciò che accade sulla terra.
Dal rapporto incestuoso tra Maria Trafitta e suo zio materno Laviero Plantamura fu concepito Braccio Cacciante: Braccio perché al momento della nascita la prima cosa che mise fuori fu appunto un braccio, Cacciante perché figlio di un cacciatore, come volle far creder il vero padre naturale.
Il cantastorie recitava in versi che Braccio Cacciante
Cresceva a vino e a vino si condusse
fino all'età che giovinezza cade
e il gusto delle donne in lui produsse
i guai e i morbi di quella triste etade.
A diciassette anni commise un fatto per il quale fu costretto a darsi alla macchia. Aveva sverginato e continuato poi ad approfittare di Princia Sanseverino. I fratelli di lei, proprietari di una masseria, volevano farlo fuori. Braccio riuscì a fuggire, ma nell'inseguimento il piede di un cavallo fece volare una forca che andò ad infilzarsi nella pancia di uno dei fratelli che lo inseguivano. Un servo fu fatto fuori a pietrate da Braccio per legittima difesa. Ma questa versione non fu creduta. E da allora Braccio si convinse che Laviero e Maria Trafitta avevano ragione, gli uomini dovevano fare tutto con le proprie mani e non volle sentire più parlare di angeli arcangeli santi e madonne. E divenne brigante.
Salì verso la Maiella, dove si rifugiavano da sempre coloro che avevano a che fare con la giustizia.
«Questa vita non fa per chi non ha passato il fiume del bene e del male», ripeteva Braccio Cacciante a chi chiedeva di entrare nella sua banda.
Fu colpito dal morbo francese, per la sua assidua frequentazione di puttane.
La principessa Vittoria Maria Colonna, signora di Vasto e Pescara, non riuscendo ad ottenere aiuto dagli altri signori e principi d'Italia per difendere i suoi territori dai turchi e dai francesi, si rivolse a Braccio Cacciante, che così da bandito diventò capitano.
I successi furono tanti. Salvò prima dai turchi e poi dai francesi l'Umbria, le Marche e l'Abruzzo.
Anche l'arcivescovo di Perugia volle festeggiarlo ed utilizzarlo in difesa della Chiesa.
Anche il papa chiese il suo aiuto e lo invitò a partire per le Terre Sante, per liberare il sepolcro di Nostro Signore dagli infedeli. Non c'era impresa migliore con la quale chiudere il conto con la vita.
Braccio Cacciante fu ucciso a colpi di accetta e scimitarra da cento soldati dell'infedele Khair ed-Din ed il suo corpo fu inchiodato alle mura di Algeri in segno di monito e di trionfo.
Dopo la battaglia di Lepanto (1571) Braccio Cacciante fu fatto beato e riconosciuto come protettore delle donne perdute.
Il Braccio Cacciante di Raffaele Nigro è un brigante che non ha tutte le caratteristiche che vengono riconosciute ai briganti meridionali del periodo postunitario (1860/1870). Manca la radice sociale di appartenenza alle classi più deboli che si ribellano ai padroni sfruttatori. Braccio infatti proviene da una famiglia di ricchi benestanti. Braccio è un brigante politico che viene utilizzato da principi e papi del cinquecento ai fini della conservazione del potere.
Belisario Maria Cacciante nacque dai rapporti carnali tra Princia Sanseverino e Braccio Cacciante. Fu educato nella scuola di Vittoria Maria Colonna. Odiava il silenzio che lo faceva sentire perduto, amava i rumori che erano le voci della vita e del mondo.
Morto il padre, Belisario a soli quindici anni fu nominato capitano della compagnia banditesca.
Ma la più grande passione di Belisario erano i fuochi d'artificio. Divenne il più grande pirotecnico (fuochista) del mondo allora conosciuto. Diede meravigliosi ed eccezionali spettacoli a Napoli, Madrid, Roma, Bologna, Anversa.
Fu questa passione che gli salvò la vita. Khair ed-Din Barabarossa lo lasciò in vita in cambio di un meraviglioso spettacolo di fuochi d'artificio ad Algeri, durante il quale però Belisario, per salvare un aiutante, fu colpito dallo scoppio di un pedardo ed entrò in coma.
Fu risvegliato con la forza e la bellezza delle parole di Ardeniza, una levatrice.
Il vero miracolo al mondo è poter affidare alle parole la memoria delle cose che sono state, dice Raffaele Nigro chiudendo il suo romanzo, che è appunto un inno alla parola che crea e salva.
E Santa Maria delle Battaglie continua a raccontare storie a Federica, nell’attesa del miracolo che le sue parole la risveglino alla vita.
Rocco Biondi
Raffaele Nigro, Santa Maria delle Battaglie, Rizzoli, Milano 2009, pagg. 300, € 21,00
15 agosto 2009
Santa Maria delle Battaglie, di Raffaele Nigro
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