Miei post su Moana
27 aprile 2011
24 aprile 2011
Convegno "Il Meridione, problema o risorsa?"
Sabato 30 aprile 2011 - Ore 17,00 / 20,00
Sala Consiliare Comune di Villa Castelli (Brindisi)
Piazza Municipio
ORDINE DEGLI AVVOCATI
DI BRINDISI
Associazione
“Settimana dei Briganti - l'altra storia”
Villa Castelli (BR)
O R G A N I Z Z A N O
Convegno sul tema
Il Meridione, problema o risorsa?
Il passaggio dei contadini meridionali al brigantaggio fu, nel suo aspetto di massa, una forma di protesta estrema che nasceva dalla miseria e non trovava altro mezzo che la violenza per lottare contro l'ingiustizia, l'oppressione e lo sfruttamento. Franco Molfese
Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l'Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di “briganti”. Antonio Gramsci
Introduce Avv. Vito Nigro
Coordina Prof. Rocco Biondi
Saluti
Avv. Francesco Nigro - Sindaco di Villa Castelli
Avv. Carlo Panzuti - Presidente Ordine degli Avvocati di Brindisi
Prof. Rocco Biondi - Presidente Associazione “Settimana dei Briganti - l'altra storia”
Relatori
MARIO SPAGNOLETTI
Professore di Storia Contemporanea presso l'Università di Bari
Commissioni d'inchiesta sul brigantaggio: Mosca e Massari. La legge Pica
Il Risorgimento italiano continua a perdere quell'alone aprioristicamente positivo che per molto tempo gli è stato riservato. Storici e studiosi, basandosi su una mole immensa di documenti per molti anni nascosti o trascurati, danno una valutazione più critica sui fatti che hanno portato all'unità d'Italia. Si prende atto che quell'unità più che anelito di popolo è stato il frutto delle mire espansionistiche dei Savoia piemontesi, avallate da plurimi interessi dei grandi Stati che all'epoca governavano l'Europa. Viene fuori prepotentemente il movimento popolare che nel Meridione si oppose a quell'annessione: il brigantaggio politico e sociale. Per sconfiggerlo fu usata una immane forza militare, che utilizzò strumenti impropri ad una società civile. La legge Pica fu uno di quegli strumenti, che condannava (molto spesso a morte per fucilazione) non solo i Briganti ma anche donne, bambini e lo svariato mondo che appoggiava quegli insorgenti, senza un processo.
DORA LIGUORI
Storica, Segretario Generale UNAMS (Unione Nazionale Arte Musica Spettacolo)
Unità d'Italia fra menzogne, fantasie e verità nascoste
Dal 1860 ad oggi, una spessa coltre è stata fatta volutamente calare per coprire le azioni, tutt’altro che limpide, che comportarono la sofferta unificazione nazionale. A propugnare questa unione furono movimenti fortemente idealistici, figli dell’illuminismo che, abilmente strumentalizzati, finirono col fare gli interessi di forti poteri internazionali, miranti a impadronirsi del Regno delle due Sicilie, ricco e strategicamente rilevante nel Mediterraneo, possessore anche del preziosissimo zolfo siciliano. A fare il “gioco sporco” per tutti, fu chiamato il regno del Piemonte il quale, per problemi di sopravvivenza finanziaria, da tempo mirava a conquistare il Sud della penisola. L’impresa, poi, assunse i contorni, non già della bella unione sognata dai liberali, ma di una feroce oppressione di un popolo contro un altro. I Meridionali si opposero all'invasione piemontese. I briganti furono il braccio armata di questa ribellione. E fu la guerra civile. Dopo decenni di falsi storici, riproporre la verità è un atto di giustizia, nonché il vero modo per celebrare, appunto, l’Unità italiana.
LINO PATRUNO
Giornalista, già direttore della “Gazzetta del Mezzogiorno”
Fuoco del Sud. La ribollente galassia dei Movimenti meridionali
C'è un “Fuoco del Sud” che arde sotterraneo e che potrebbe irrompere proprio mentre si celebrano i 150 anni dell'Unità d'Italia. Un “fuoco” tanto sofferto quanto ignorato. Si alimenta di centinaia di movimenti, associazioni, comitati, gruppi, intellettuali che un secolo e mezzo dopo chiedono ancòra rispetto per il sacrificio imposto al Sud nella nascita della nazione, che si battono per liberare il Sud dalla sudditanza subìta sull'altare del patriottismo e della retorica. Sono i “nuovi briganti” della comunicazione e dell'indignazione di cui il Sud ha bisogno. E che grazie anche alle moderne armi di Internet raccolgono e diffondono sia un ritrovato orgoglio meridionale, sia la rabbia per la storia taciuta dalle reticenze degli archivi e delle accademie. Con la denuncia delle clamorose responsabilità dei governi nel disegno preordinato e sistematico di un Sud da mantenere arretrato.
Presentazione
Rivista trimestrale storico culturale “Brigantaggio politico e sociale”
L'obiettivo che noi ci proponiamo con questa nuova rivista è principalmente di carattere culturale. Per capire verso dove si deve andare per migliorare le proprie condizioni di vita, bisogna conoscere da dove si proviene. Sapere chi erano i nostri padri, scoprire per cosa hanno lottato, conoscere i risultati positivi che hanno conseguiti, riflettere sulle loro sconfitte, ma anche studiare le cause e le concomitanze che hanno portato a quelle sconfitte, è necessario e fondamentale sia per prendere coscienza dei valori positivi che devono guidarci, sia per conoscere gli ostacoli e da chi sono stati frapposti per chiederne il dovuto conto, ma anche per non ripetere gli errori da loro commessi. I briganti di quell'epoca, uomini e donne che per noi assumono solo ed esclusivamente una connotazione positiva, sono stati insorgenti e partigiani che hanno lottato in difesa della loro terra, delle loro famiglie, della loro dignità. Noi dobbiamo partire da dove i nostri padri briganti furono costretti a lasciare. (Rocco Biondi)
Per la partecipazione Avvocati e Praticanti abilitati devono far pervenire la domanda di partecipazione presso la Segreteria dell'Ordine ovvero prenotarsi tramite la propria area riservata “Riconosco” entro e non oltre 4 giorni prima dell'incontro.
L'accesso e l'uscita dalla sala avviene con l'utilizzo del tesserino magnetico.
Verranno attribuiti 3 crediti formativi.
Ingresso libero anche per il pubblico normale.
Il Presidente
Ordine degli Avvocati
Avv. Carlo Panzuti
Il Presidente
Settimana dei Briganti - l'altra storia
Prof. Rocco Biondi
17 aprile 2011
Fuoco del Sud, di Lino Patruno
I “fuochisti” che vorrebbero portare il Sud alla riscossa continuano ad aumentare in numero quasi esponenziale. Testimonianza ne sono libri, giornali, convegni, ma soprattutto siti internet che si fanno portavoce di movimenti e associazioni che fanno del meridionalismo il loro campo di ricerca e di azione. Lino Patruno nel suo libro ha selezionato alcuni autori significativi, che fanno parte di questa “ribollente galassia”, e li ha seguiti lungo vari percorsi di storia, di protesta, di proposta. Sono i “nuovi briganti” del Sud, non più armati di fucili ma di megafoni digitali che diffondono la conoscenza, stimolano le coscienze, suscitano la reazione.
Ecco alcuni nomi di “nuovi briganti”, scelti fra i tanti citati da Patruno: Pino Aprile, Gigi Di Fiore, Dora Liguori, Gennaro De Crescenzo, Vincenzo Gulì, Fara Misuraca, Alfonso Grasso, Nicola Zitara, Franco Tassone, Michele Ladisa, Francesco Romano, Domenico Iannantuoni, Enzo Riccio, Antonio Ciano, Beppe De Santis, Massimo Tartaglia, Girolamo Foti, Renato Rinaldi, Andrea Santopietro, Salvatore Musumeci, Giuseppe Scianò, Silvio Vitale, Edoardo Vitale, Pippo Callipo, Alessandro Romano, don Paolo Capobianco, Nando Dicè, Pietro Golia, Paolo Guaglione.
Lungo la strada verso la conoscenza della verità la prima grande muraglia che si cerca di abbattere è quella delle bugie risorgimentali. Viene lanciata e motivata una serie di “non è vero” contro le affermazioni degli storici ufficiali, asserviti ai vincitori piemontesi. Non è vero che il Regno d'Italia, proclamato dal Parlamento di Torino il 17 marzo 1861, non potesse avere connotazioni diverse; persino Cavour e Napoleone III pensavano a tre Regni confederati: quello dell'Alta Italia, quello dell'Italia Centrale, quello delle Due Sicilie. Non è vero che l'annessione del Regno delle Due Sicilie fu decisa col plebiscito; il Regno fu conquistato con le armi, senza neanche una dichiarazione di guerra. Non è vero che i garibaldini, sbarcati in Mille in Sicilia, divennero in breve tempo 53 mila per l'apporto entusiastico della popolazione; la massoneria siciliana mise a disposizione l'apparato mafioso, tantissimi soldati sabaudi misteriosamente “congedati” indossarono la “camicia rossa”, alcuni meridionali si unirono a Garibaldi per la promessa poi non mantenuta di assegnazione delle terre. Non è vero che i soldati borbonici rinunciarono a combattere; fu loro scientificamente impedito di combattere dagli ufficiali borbonici comprati e passati con i piemontesi. Non è vero che Garibaldi fosse quell'eroe senza macchia e senza paura del quale la retorica risorgimentale ha sempre parlato; fu invece un impostore e vile servo della monarchia sabauda. Non è vero che il Sud ebbe una rappresentanza adeguata nel nuovo Parlamento nazionale, eletto il 27 gennaio 1861; per prima cosa a votare fu solo meno del 2 per cento della popolazione italiana ed i pochi eletti meridionali erano rappresentanti dei proprietari terrieri e dei notabili locali, che avevano appoggiato l'annessione per difendere i loro privilegi, contro il popolo e i contadini meridionali. Non è vero che il brigantaggio postunitario sia stato un semplice fenomeno delinquenziale; non si spiegherebbe perché i piemontesi impiegarono contro di esso 120 mila uomini; fu invece una rivolta sociale del popolo nel tentativo di farsi riconoscere i propri diritti ed anche una vera guerra civile contro l'occupazione piemontese; i briganti ebbero dalla loro parte la popolazione, che li aiutava in ogni modo, altrimenti non si spiega perché i piemontesi impiegarono dieci anni per sconfiggerli. Non è vero che le atrocità furono commesse solo dai briganti, anzi le loro erano solo una difesa contro le atrocità ben più gravi compiute dall'esercito piemontese; ecco come Patruno sintetizza le atrocità perpetrate in quegli anni dai piemontesi contro i meridionali: «Cadaveri evirati o fatti a pezzi, teste mozzate e infilate in cassettine per mostrarle in giro o infilate su pali per lezione a tutti, impiccagioni con i corpi lasciati a penzolare per giorni, crocifissioni, donne stuprate e sbudellate, donne legate nude a disposizione della truppa e lasciate morire nella vergogna e nel dolore, briganti inchiodati alle porte o agli alberi, torture, paesi e masserie bruciati con i loro occupanti, famiglie separate per sempre e deportate, decine di migliaia di profughi in fuga, intere greggi sterminate, raccolti incendiati, saccheggi, depredazioni»; senza distinzione tra vecchi e bambini, uomini e donne, preti e suore; per i piemontesi erano tutti briganti.
Poi quando nel 1870 il brigantaggio fu sconfitto cominciò la grande emigrazione di massa dal Sud: «o briganti o emigranti».
Il Sud nel 1860, al momento dell'Unità, economicamente non stava male; vantava un molto evoluto sistema finanziario; i titoli delle Due Sicilie erano trattati nelle principali piazze finanziarie d'Europa. Il Regno delle Due Sicilie, con 9 milioni di abitanti, possedeva i due terzi di tutto l'oro del resto d'Italia, che contava 22 milioni di abitanti; cioè 443 milioni di lire-oro sui 664 milioni di tutta l'Italia unita. Se si tiene conto delle lire-oro trafugate al Banco di Napoli, delle ricchezze personali sottratte al re Francesco II e degli interessi da allora ad oggi, è stato calcolato che la rapina fatta dai piemontesi a danno dei meridionali ammonta a 500 miliardi di euro; se poi si aggiungono le razzie dell'esercito piemontese rientranti nella criminalità comune si arriva a 1500 miliardi di euro.
Dopo di allora fu fatta vivere ai meridionali del Sud un'atroce Via Crucis, costringendoli a percorrere le quattordici stazioni di cristiana memoria: dalla flagellazione alla sepoltura. Le tasse dalle cinque esistenti nel Regno delle Due Sicilie divennero 37 (trentasette): il Sud pagava più del Nord, i ricchi vivevano sulle spalle dei poveri, il Nord sulle spalle del Sud. Fu adottata la tariffa doganale piemontese, che diede un colpo mortale all'industria meridionale, favorendo l'industria del Nord e la concorrenza estera. Con l'accettazione acritica dell'ideologia liberale le opere di bonifica del territorio vennero affidate a privati del Nord che programmarono tenendo presente il contesto padano: pianure e grandi fiumi. Nel 1887 il governo Crispi impose la tariffa protezionistica, utile all'industria ormai concentrata al Nord e mortale per l'agricoltura del Sud. Iniziò l'esodo biblico della Grande Emigrazione meridionale: si calcola che oltre venti milioni di meridionali abbiano abbandonato l'Italia; le loro rimesse arricchirono soprattutto il Nord, che piazzò i suoi prodotti al Sud dove veniva crescendo la capacità di consumo. Poi le politiche speciali per il Sud furono sterili inganni: rattoppi per non cambiare nulla. Le Grandi Guerre del '15-18 e del '39-45 furono fatte per favorire le industrie belliche del Nord; i meridionali ebbero solo morti; al Nord andarono anche i milioni di dollari degli Alleati per i danni di guerra al Sud. Con il fascismo il Sud fu abbandonato a se stesso: niente interventi statali, niente opere pubbliche, niente sostegno all'industria e alle banche; i miserabili meridionali se ne vadano in Etiopia ed in Abissinia. Nel dopoguerra nascono nel Sud le famose «cattedrali nel deserto», Italsider di Taranto in testa; scende l'occupazione al Sud che in quegli impianti ne impiegava poca, sale al Nord nelle industrie manifatturiere che alimentano gli impianti. Nel Sud l'intervento straordinario sostituisce quello ordinario. L'ultima stazione della Via Crucis meridionale è il federalismo fiscale imposto dalla Lega Nord: chi sta bene (il nord) starà meglio, chi sta male (il sud) starà ancora peggio.
Ma una volta conosciuti i fatti e presa coscienza della subalternità alla quale ci hanno costretti, noi meridionali cosa dobbiamo fare? Lino Patruno e i movimenti meridionali alcune proposte le fanno. Il primo passo è la formazione di meridionali finalmente consapevoli, fieri, radicati, arrabbiati e dotati di grande senso di appartenenza verso il loro territorio. Il Sud deve costituirsi in maxiregione autonoma o in Stato indipendente con gli stessi confini del Regno delle Due Sicilie, deve tornare unito per sommare le enormi risorse del territorio (petrolio, energie alternative, agricoltura, turismo) gestendole in modo proprio e con la propria soggettività. Bisogna costruire alleanze con chiunque abbia a cuore il riscatto del Sud e sia alternativo alla “casta risorgimentale” di destra, centro o sinistra. Bisogna partecipare al superamento del berlusconismo.
Il Sud ha bisogno di “nuovi briganti”.
Il racconto della ribollente galassia dei Movimenti meridionali - conclude Lino Patruno - annuncia una insurrezione non soltanto delle coscienze.
Rocco Biondi
Lino Patruno, Fuoco del Sud. La ribollente galassia dei Movimenti meridionali, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2011, pp. 206, € 14,00
3 aprile 2011
Il brigantaggio postunitario, di Raffaele Nigro
Nel libro viene raccontata la storia del brigantaggio postunitario, esaminando la letteratura sul tema. Vengono presentati gli scritti, contemporanei agli avvenimenti e successivi, inquadrandoli e classificandoli di volta in volta fra quelli a favore dei rivoltosi meridionali e quelli a favore degli invasori piemontesi.
L'anno di partenza è il 1860. «Un anno di azioni, militari e politiche, straordinarie. A raccontarlo, anche in poche parole, sembra un romanzo», scrive Raffaele Nigro.
Garibaldi sbarca in Sicilia e, senza una vera opposizione militare, risale le regioni meridionali fino Napoli. Francesco II, ultimo re borbone, si rifugia a Gaeta, da dove dopo una strenua resistenza ripara a Roma. Nelle campagne dell'Abruzzo, del Molise, della Basilicata, della Campania e della Puglia si scatena, contro i piemontesi, una violenta reazione armata, da parte di contadini, artigiani, pastori, renitenti alla leva, soldati sbandati, idealisti stranieri; una guerriglia che terrà impegnato l'esercito piemontese per diversi anni e porterà alla promulgazione di leggi speciali.
Capi di questa rivolta furono, tra gli altri, il lucano Carmine Crocco di Rionero, il pugliese Pasquale Romano di Gioia del Colle, Luigi Alonzi nato a Sora ai confini con l'Abruzzo, il legittimista spagnolo Josè Borges, il campano Gaetano Manzo di Acerno.
A fare luce su molti avvenimenti di quegli anni fu l'Autobiografia, scritta dal capobrigante Carmine Crocco, detenuto nel carcere di Portoferraio, e revisionata dal capitano medico Eugenio Massa, pubblicata nel 1903. Nel 1862 il ginevrino Marc Monnier aveva pubblicato a Parigi il Giornale di Borjes, poi tradotto in italiano; era un diario nel quale il generale catalano Borges annota la sua triste avventura dallo sbarco in Calabria sul finire del settembre 1861 ad alcuni giorni prima di essere fucilato a Tagliacozzo l'8 dicembre dello stesso anno; nel diario si rende anche conto del tentativo fallito di trovare un'intesa con Carmine Crocco. Nel 1868 l'ufficiale tedesco Ludwig Richard Zimmermann pubblicava a Berlino un libro di Memorie della sua vita tra i briganti nel biennio 1861-62 fra i monti abruzzesi, dove operava il capo brigante Chiavone (Luigi Alonzi) fucilato il 28 giugno 1862; il libro di recente è stato tradotto dal tedesco in italiano da Erminio De Biase. Utile per conoscere come vivevano i briganti è il diario di William Moens, un agente di borsa inglese, che nel maggio del 1865 venne sequestrato fra i monti dell'Irpinia dalla banda di Gaetano Manzo; rimasto prigioniero per tre mesi, venne liberato dietro pagamento di un forte riscatto; il diario venne pubblicato nel 1866 a Londra e tradotto successivamente in italiano col titolo di Briganti italiani e viaggiatori inglesi.
Raffaele Nigro dà poi conto di diversi scritti filopiemontesi. A cominciare dal libro che il giornalista ginevrino Marc Monnier pubblica nel 1862 prima a Parigi e poi Firenze: Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle province napoletane dai tempi di fra Diavolo sino ai nostri giorni; era un libro utile alla causa liberale e al progetto unitario di Cavour. Basilide Del Zio, medico di Melfi ed esponente della media borghesia, pubblica nel 1905 Melfi - le agitazioni del Melfese - Il brigantaggio. Documenti e note; nel libro Del Zio segue le vicende dei briganti casale per casale in una ricostruzione minuta e con l'intento di mostrare la partecipazione dei lucani alla difesa dell'unità d'Italia contro il legittimismo di una parte dei contadini e di una piccola schiera di borghesi. Il maggiore Carlo Melegari, che partecipò con i piemontesi all'eccidio di Casalduni e Pontelandolfo, trentasei anni dopo quegli avvenimenti pubblica in forma anonima i Cenni sul brigantaggio. Ricordi di un antico bersagliere; ovviamente negativo è il giudizio che dà della resistenza dei briganti. Alessandro Bianco di Saint-Jorioz, ufficiale dell'esercito piemontese, nel 1864 dà alle stampe Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863 studio storico-politico-statistico-morale-militare; il libro ha un dettagliato dizionario biografico dei capibanda che operano nel centro Italia e prova a spiegare come francesi e papalini siano i veri manutengoli di queste bande; per Jorioz i briganti sono solo delinquenti pronti alla razzia.
Dall'altra parte vi sono scrittori che danno del fenomeno del brigantaggio una lettura diversa, attribuendogli un significato sociale e politico. Il capitano borbonico Tommaso Cava De Gueva nel 1865 pubblica Analisi politica del brigantaggio attuale nell'Italia meridionale; viene esaltato l'operato dei legittimisti, che hanno provato a far insorgere il Regno di Napoli dopo la disfatta. Pasquale Villari, un liberale moderato, nelle sue Lettere meridionali pubblicate nel 1878, sostiene che il brigantaggio è la conseguenza di una questione agraria e sociale, che travaglia quasi tutte le province meridionali; la condizione di vita dei contadini meridionali è tale che essi non hanno alternativa, la fame o il brigantaggio. Enrico Pani Rossi, funzionario settentrionale trasferito a Potenza per lavoro, nel suo volume La Basilicata ritiene che il brigantaggio sia una risposta sociale al disinteresse della politica e una reazione alla miseria. Francesco Saverio Nitti, lucano di Melfi e presidente del consiglio prima del fascismo, nel suo saggio Eroi e briganti del 1899 scrive: «Per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa. Le rivolte dei briganti, coscienti o incoscienti, nel maggior numero dei casi ebbero il carattere di vere e selvagge rivolte proletarie». Giustino Fortunato, parlamentare lucano nato a Rionero nel 1848, ripeteva che il brigantaggio era stato la reazione di una gente stanca di subire quotidiani soprusi. Gaetano Salvemini, pugliese di Molfetta, storico e antifascista, era convinto che la depressione del sud fosse funzionale al decollo economico avviato da Giolitti nelle aree settentrionali; intervenne sul tema del brigantaggio con un'analisi della vita del brigante Michele Di Gè.
La questione meridionale e il brigantaggio furono affrontati, negli anni del fascismo e immediatamente dopo, in parecchi romanzi. Non più letteratura popolare, ma letteratura funzionale alla lotta politica contro il fascismo, che si era schierato con la borghesia e con gli agrari contro i lavoratori della terra. Corrado Alvaro pubblica nel 1930 Gente in Aspromonte; non c'è nulla di leggendario e di esaltante nella vita del brigante, perché al fondo di questa scelta c'è la vita del pastore e del bracciante; ad Alvaro preme raccontare le ragioni che spingono un giovane al banditismo, non ciò che avviene quando un individuo ha superato l'argine della legalità; se non esiste una Giustizia nella società ognuno se la inventi con le sue mani. Nel 1933 Ignazio Silone pubblica in lingua tedesca Fontamara, che uscirà in Italia in italiano solo nel 1953; è la storia della vita del brigante Berardo Viola, che reagisce al proprio destino di immobilismo lottando, a favore del ritorno dei Borboni, fra le montagne dell'appennino abruzzese; arrestato morirà in carcere nel 1906. Nel 1942 Riccardo Bacchelli pubblica il racconto lungo Il brigante di Tacca del Lupo; in esso si riassume l'epopea brigantesca del Sud e la difficoltà di unificazione nazionale. Francesco Jovine pubblica nel 1942 il romanzo Signora Ava; si spiegano le ragioni dei fenomeni rivoluzionari e briganteschi mutuando la visione gramsciana della storia; i contadini combattono contro gli aristocratici e i borghesi per il possesso della terra; il romanzo è un affresco della provincia molisana nel periodo 1859-1862, sulle orme delle gesta di Pietro Veleno, contadino fattosi brigante suo malgrado. Ancora nel 1942 Carlo Alianello pubblica L'alfiere, epopea epica nella quale il brigantaggio veniva presentato come questione sociale e politica: quella dei briganti era stata una resistenza vera e propria contro l'invasione dell'esercito piemontese; nel 1952 Alianello ritorna sul tema del brigantaggio con Soldati del re; poi nel 1963 Alianello vince il premio Campiello con il romanzo L'eredità della priora, in esso si parla di briganti che comunque non diventeranno mai protagonisti, le loro azioni si svolgono sullo sfondo; Alianello ha l'opportunità di dichiarare la propria posizione antiunitaria e antinordista: i grandi ideali dell'Unità d'Italia sono naufragati con la guerra fatta dai piemontesi contro il Meridione.
Nel secondo dopoguerra molte pubblicazioni affrontano il tema del brigantaggio. Nel 1959 lo storico inglese Denis Mack Smith, nella sua Storia d'Italia, inserisce il paragrafo Controrivoluzione e brigantaggio (1860-65); nel 1959 Michele Topa pubblica vari articoli sul brigantaggio, poi raccolti nel 1993 in volume sotto il titolo I Briganti di sua Maestà; nel 1964 Franco Molfese pubblica Storia del Brigantaggio dopo l'Unità; Tommaso Pedio nel suo monumetale Dizionario dei patrioti lucani. Artefici e oppositori (1700-1870) inserisce moltissimi briganti; nel 1969 Aldo De Jaco pubblica Il brigantaggio meridionale. Cronaca inedita dell'Unità d'Italia; nel 1974 Maria Rosa Cutrufelli pubblica L'unità d'Italia - guerra contadina e nascita del sottosviluppo del Sud; nel 1980 esce di Roberto Martucci Emergenza e tutela dell'ordine pubblico nell'Italia liberale; nel 1999 inizia la pubblicazione in tre volumi della Guida alle fonti per la storia del brigantaggio postunitario conservate negli archivi di Stato.
Il libro, pubblicato da Adda in bella veste grafica, è in parte una risistemazione aggiornata del materiale sul brigantaggio postunitario presente nell'opera magna sulla letteratura del brigantaggio pubblicata da Nigro nel 2006 presso Rizzoli con il titolo Giustiziateli sul campo. Sono state aggiunte le cronache delle visite fatte ai luoghi borbonici e banditeschi. Questa nuova edizione si arricchisce con un vasto apparato iconografico che raccoglie foto, incisioni, pitture, pagine di giornali, copertine di libri, fotogrammi di film sul brigantaggio.
Facendo la cronaca della manifestazione che si svolge ogni anno nel bosco di Gioia del Colle, presso il monumento al Sergente Romano, Raffaele Nigro afferma, dimostrando la sua simpatia per Garibaldi: «Mi infastidisce ascoltare da Nisticò che il vero bandito sia stato Garibaldi»; ma io e tantissimi altri la pensiamo come Ulderico Nisticò.
Fra le aggiunte, rispetto al libro del 2006, mi piace notare la citazione dell'attività dell'associazione “Settimana dei Briganti” di Villa Castelli, della quale mi onoro essere presidente.
Rocco Biondi
Raffaele Nigro, Il brigantaggio postunitario. Dalle cronache al mito, Mario Adda Editore, Bari 2010, pp. 200, € 20,00