Berlusconi Silvio: non più imputabile. Per sua legge non può essere processato e condannato. Si è fatto proclamare sovrano senza limiti. L’assioma «la legge è uguale per tutti» vale per gli altri e non per lui. Lui è superiore alla legge, lui è fuori legge.
Il giornale americano Financial Times continua a ricordarci: «Come in passato, l’attenzione di Berlusconi è concentrata su se stesso e non sull’Italia. La legge va ben al di là delle protezioni concesse negli altri paesi».
In nessun altro paese civile il presidente del consiglio ha l’immunità per delinquere. Ma forse l’Italia con Berlusconi sta uscendo fuori dal novero dei paesi civili. I succubi e megafoni di Berlusconi giurano e spergiurano che in tanti altri paesi vi è l’immunità per i presidenti del consiglio. Mentono spudoratamente, sapendo di mentire. Ma non se ne vergognano. Per loro non è vero quello che è vero, ma è vero quello che Berlusconi vuole che lo sia. La verità viene creata ed inventata dal nulla.
Ma consoliamoci con quello che Filippo Ceccarelli scriveva su la Repubblica del 23 luglio: «Nessun lodo ha mai protetto i sovrani dalla caduta quando i tempi del potere si esauriscono; e i fedeli di oggi sono destinati a diventare i mercenari e magari anche i traditori del domani». Speriamo che quel tempo arrivi presto.
Il direttore de l’Unità Antonio Padellaro, senza tanti peli sulla lingua, scrive al presidente della Repubblica dicendo che tantissimi italiani nutrono un fortissimo disagio perché lui ha convalidato la norma sull’immunità delle quattro più alte cariche dello Stato, per consentire a uno solo, Berlusconi, di non essere più sottoposto ai dettami della giustizia.
Di Pietro annuncia una raccolta di firme per far indire un referendum che abroghi questa legge vergogna e proclama: «È immorale che quattro persone possano commettere ogni tipo di crimine e non possano essere processate».
Io sottoscriverò per questo referendum, pur rimanendo scettico sull’esito finale. Gli italiani ormai si son venduta l’anima ed hanno persa la coscienza.
Viviamo in tempi bui.
27 luglio 2008
18 luglio 2008
Altezza di Brunetta: fannullone sarà lui
Le idee di Brunetta sono grandi quanto è alto lui.
Ho fatto una ricerca in internet per cercare di sapere quanto è alto Brunetta. Non ci ho cavato un ragno dal buco. Ma pare che non debba superare il metro e trenta (m. 1,30). Solo qualche socio del Popolo in libertà gli accredita un metro e cinquanta. Io sono certamente più alto di lui.
Ho cercato di sapere quant’è l’altezza media degli italiani. Anche qui senza successo. Ma io credo di essere nella media.
Brunetta nella sua lotta donchisciottesca contro quelli che chiama fannulloni e furbacchioni sta scoprendo l’acqua calda. Tutte le norme che lui dice di voler far applicare esistevano già prima di lui. La sua trovata propagandistica è buona solamente per gli allocchi di italiani che credono ancora in babbo Natale (Berlusconi). Sono tanti (gli allocchi) e sono contenti di essere presi per fessi.
Per quanto mi riguarda e per gli italiani che ancora ragionano con la propria testa Brunetta potrebbe aver una qualche credibilità solo se cominciasse a ridurre gli stipendi ai deputati e senatori assenteisti che vengono pagati per non fare niente. Sapete chi è il più assenteista di tutti? Un tal Berlusconi Silvio, che alla Camera dei deputati ha accumulato il 98,5% delle assenza; presente solo 70 volte contro 4.623 assenze. Berlusconi comanda da solo e non vota, a votare e a schiacciare i bottoni ci manda i suoi pecoroni.
Al Senato la palma delle assenze spetta invece ad un certo Dell’utri Marcello, anche lui di Forza Italia, con il 41,1%. (Fonte Sole 24Ore)
Fra i lavoratori la percentuale più alta di assenza per malattia è solo del 15,8% e riguarda, guarda caso, i lavoratori della Presidenza del Consiglio. (Fonte la Repubblica)
Brunetta dice che con le sue misure minacciate ha già ottenuti buoni risultati: il numero delle assenze sarebbe diminuito del 20%. Ma non ci dice se per caso i lavoratori anziché fare due assenze di un giorno ciascuna non ne facciano una sola di dieci giorni consecutivi. I medici, rischiare per rischiare, anziché un giorno solo di malattia ne danno minimo tre o per stare più sicuri sette.
Questi interventi sono millantati come forieri di grandi risparmi per le casse dello Stato. Il segretario nazionale della Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale dice invece: «E’ uno spreco. Prevedere il controllo anche per un solo giorno di malattia aumenterà il lavoro dei medici fiscali e il loro costo».
Un altro dubbio che mi viene riguarda la capacità che hanno i medici fiscali nel valutare l’esistenza e la gravità della malattia. Se un medico di famiglia, convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, dichiara che un suo assistito ha bisogno di tre giorni di riposo perché colpito da diarrea fulminante, il medico fiscale che deve fare? Deve controllare la qualità delle feci nel cesso? Io ritengo che i medici fiscali non servano a niente. Nella totalità dei casi confermano il periodo di malattia. Se invece i medici fiscali servono solamente per controllare se i malati stanno in casa, allora mandiamo i carabinieri. Anche perché le nuove fasce orarie di reperibilità in casa dei malati (8,00 – 13,00; 14,00 – 20,00), volute da Brunetta, sono da arresti domiciliari. Anche se poi alcune malattie consiglierebbero, anzi impongono, di stare fuori in giro o al mare.
Chi controlla poi l’orario di servizio dei dirigenti? La mia dirigente arriva sul posto di lavoro non prima delle ore 11,00; il normale orario di lavoro decorre invece dalle 7,45 alle 13,45.
I sindacati (nei quali io ancora credo) sono molto scettici sulle misure Brunetta e chiedono piuttosto risorse per il rinnovo dei contratti. Quelle misure colpiranno le retribuzioni in modo pesante ed iniquo (riduzione del 25-30% sullo stipendio giornaliero), soprattutto tra le forze di polizia che hanno una struttura retributiva con elevate variabilità accessorie.
Siamo alla solita carognata dei forti contro i deboli. Gli evasori fiscali, specialmente grandi, vengono premiati con condoni più o meno tombali. I poveri e deboli lavoratori dipendenti vengono mazziati. E poi, Brunetta non fa differenza fra lavoratori onesti e lavoratori lavativi, fra malati veri e malati immaginari. Vengono tutti fregati e puniti indistintamente.
Pecoroni del Popolo in libertà, uscite dal gregge. Ribellatevi.
Ho fatto una ricerca in internet per cercare di sapere quanto è alto Brunetta. Non ci ho cavato un ragno dal buco. Ma pare che non debba superare il metro e trenta (m. 1,30). Solo qualche socio del Popolo in libertà gli accredita un metro e cinquanta. Io sono certamente più alto di lui.
Ho cercato di sapere quant’è l’altezza media degli italiani. Anche qui senza successo. Ma io credo di essere nella media.
Brunetta nella sua lotta donchisciottesca contro quelli che chiama fannulloni e furbacchioni sta scoprendo l’acqua calda. Tutte le norme che lui dice di voler far applicare esistevano già prima di lui. La sua trovata propagandistica è buona solamente per gli allocchi di italiani che credono ancora in babbo Natale (Berlusconi). Sono tanti (gli allocchi) e sono contenti di essere presi per fessi.
Per quanto mi riguarda e per gli italiani che ancora ragionano con la propria testa Brunetta potrebbe aver una qualche credibilità solo se cominciasse a ridurre gli stipendi ai deputati e senatori assenteisti che vengono pagati per non fare niente. Sapete chi è il più assenteista di tutti? Un tal Berlusconi Silvio, che alla Camera dei deputati ha accumulato il 98,5% delle assenza; presente solo 70 volte contro 4.623 assenze. Berlusconi comanda da solo e non vota, a votare e a schiacciare i bottoni ci manda i suoi pecoroni.
Al Senato la palma delle assenze spetta invece ad un certo Dell’utri Marcello, anche lui di Forza Italia, con il 41,1%. (Fonte Sole 24Ore)
Fra i lavoratori la percentuale più alta di assenza per malattia è solo del 15,8% e riguarda, guarda caso, i lavoratori della Presidenza del Consiglio. (Fonte la Repubblica)
Brunetta dice che con le sue misure minacciate ha già ottenuti buoni risultati: il numero delle assenze sarebbe diminuito del 20%. Ma non ci dice se per caso i lavoratori anziché fare due assenze di un giorno ciascuna non ne facciano una sola di dieci giorni consecutivi. I medici, rischiare per rischiare, anziché un giorno solo di malattia ne danno minimo tre o per stare più sicuri sette.
Questi interventi sono millantati come forieri di grandi risparmi per le casse dello Stato. Il segretario nazionale della Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale dice invece: «E’ uno spreco. Prevedere il controllo anche per un solo giorno di malattia aumenterà il lavoro dei medici fiscali e il loro costo».
Un altro dubbio che mi viene riguarda la capacità che hanno i medici fiscali nel valutare l’esistenza e la gravità della malattia. Se un medico di famiglia, convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, dichiara che un suo assistito ha bisogno di tre giorni di riposo perché colpito da diarrea fulminante, il medico fiscale che deve fare? Deve controllare la qualità delle feci nel cesso? Io ritengo che i medici fiscali non servano a niente. Nella totalità dei casi confermano il periodo di malattia. Se invece i medici fiscali servono solamente per controllare se i malati stanno in casa, allora mandiamo i carabinieri. Anche perché le nuove fasce orarie di reperibilità in casa dei malati (8,00 – 13,00; 14,00 – 20,00), volute da Brunetta, sono da arresti domiciliari. Anche se poi alcune malattie consiglierebbero, anzi impongono, di stare fuori in giro o al mare.
Chi controlla poi l’orario di servizio dei dirigenti? La mia dirigente arriva sul posto di lavoro non prima delle ore 11,00; il normale orario di lavoro decorre invece dalle 7,45 alle 13,45.
I sindacati (nei quali io ancora credo) sono molto scettici sulle misure Brunetta e chiedono piuttosto risorse per il rinnovo dei contratti. Quelle misure colpiranno le retribuzioni in modo pesante ed iniquo (riduzione del 25-30% sullo stipendio giornaliero), soprattutto tra le forze di polizia che hanno una struttura retributiva con elevate variabilità accessorie.
Siamo alla solita carognata dei forti contro i deboli. Gli evasori fiscali, specialmente grandi, vengono premiati con condoni più o meno tombali. I poveri e deboli lavoratori dipendenti vengono mazziati. E poi, Brunetta non fa differenza fra lavoratori onesti e lavoratori lavativi, fra malati veri e malati immaginari. Vengono tutti fregati e puniti indistintamente.
Pecoroni del Popolo in libertà, uscite dal gregge. Ribellatevi.
13 luglio 2008
La repubblica del cazzo
Prima del governo Berlusconi IV la repubblica del cazzo poteva essere considerata sinonimo della repubblica delle banane. I termini cazzo e banane venivano usati in senso figurato - ci suggerisce Wikipedia - per definire governi dove un leader forte concede vantaggi ad amici e sostenitori senza grande considerazione delle leggi e mettendo alla porta coloro i quali non li hanno votati. I termini venivano anche usati in toni satirici per identificare la Repubblica Italiana, a causa dell'incapacità del governo e delle istituzioni pubbliche nel risolvere i problemi dei cittadini.
Oggi però, sentite le intercettazioni telefoniche di Berlusconi IV e soci, il termine cazzo, nell’allocuzione repubblica del cazzo, è da intendersi in senso letterale come membro virile, pene. Titolo di merito degli e delle aspiranti per accedere a carriere e posti di comando è l’essersi prodigati direttamente o indirettamente, a favore dei detentori del potere, a farlo (il cazzo letterale) entrare in funzione.
In questo tipo di repubblica è normale, quando si vede una bella gnocca condurre un programma televisivo o fare il ministro, scoprirsi a chiedere: «Chissà a chi gliel’ha data per trovarsi in quel posto?».
Il trapasso dal senso figurato al senso letterale cominciava ad annunciarsi quando il Bossi preinfarto proclamava di averlo duro, dando vita alla teoria politica leghista del celodurismo.
La repubblica del cazzo letterale è quella che giustifica e consente alla comica Sabina Guzzanti di scrivere sulle pagine del Corriere della Sera: « Pari opportunità e Carfagna sono due concetti incompatibili come Previti e giustizia». A scanso di equivoci dichiaro subito di essere d’accordo con la Guzzanti.
Se non ci trovassimo nella repubblica del cazzo, in senso figurato e/o letterale, alla stessa Guzzanti non le sarebbe stata data occasione di dichiarare che è falso che non si possa criticare il presidente della Repubblica; si può e ci sono buone ragioni per farlo richiamando il parere dei cento costituzionalisti sul Lodo Alfano. Parimenti la Guzzanti mai avrebbe affermato che è falso che non si possa criticare e attaccare il Papa; si può e ci sono buone ragioni per farlo; non regge l’alibi che è super partes. «Super partes - ha scritto la Guzzanti al Corriere - non è uno che si schiera con tutte le sue forze su ogni tema, dalla scuola ai candidati alle elezioni, alla moda e alla cucina, con interventi spesso molto al di sotto delle parti, cosa su cui anche la Littizzetto, esimia collega, ha efficacemente ironizzato».
Sintomo che siamo in una repubblica del cazzo è il fatto che ci troviamo d’accordo con Di Pietro nel dichiarare che stiamo con la piazza e non con il potere, stiamo con Davide contro Golia. Siamo con le piazze perché nelle piazze c’è la politica vera, mentre nelle stanze del potere c’è la politica dello scandalo, la politica del cazzo.
Chiudo questo post dubitando fortemente che Vittorio Zambardino lo possa citare nel suo Netmonitor di la Repubblica.it.
Oggi però, sentite le intercettazioni telefoniche di Berlusconi IV e soci, il termine cazzo, nell’allocuzione repubblica del cazzo, è da intendersi in senso letterale come membro virile, pene. Titolo di merito degli e delle aspiranti per accedere a carriere e posti di comando è l’essersi prodigati direttamente o indirettamente, a favore dei detentori del potere, a farlo (il cazzo letterale) entrare in funzione.
In questo tipo di repubblica è normale, quando si vede una bella gnocca condurre un programma televisivo o fare il ministro, scoprirsi a chiedere: «Chissà a chi gliel’ha data per trovarsi in quel posto?».
Il trapasso dal senso figurato al senso letterale cominciava ad annunciarsi quando il Bossi preinfarto proclamava di averlo duro, dando vita alla teoria politica leghista del celodurismo.
La repubblica del cazzo letterale è quella che giustifica e consente alla comica Sabina Guzzanti di scrivere sulle pagine del Corriere della Sera: « Pari opportunità e Carfagna sono due concetti incompatibili come Previti e giustizia». A scanso di equivoci dichiaro subito di essere d’accordo con la Guzzanti.
Se non ci trovassimo nella repubblica del cazzo, in senso figurato e/o letterale, alla stessa Guzzanti non le sarebbe stata data occasione di dichiarare che è falso che non si possa criticare il presidente della Repubblica; si può e ci sono buone ragioni per farlo richiamando il parere dei cento costituzionalisti sul Lodo Alfano. Parimenti la Guzzanti mai avrebbe affermato che è falso che non si possa criticare e attaccare il Papa; si può e ci sono buone ragioni per farlo; non regge l’alibi che è super partes. «Super partes - ha scritto la Guzzanti al Corriere - non è uno che si schiera con tutte le sue forze su ogni tema, dalla scuola ai candidati alle elezioni, alla moda e alla cucina, con interventi spesso molto al di sotto delle parti, cosa su cui anche la Littizzetto, esimia collega, ha efficacemente ironizzato».
Sintomo che siamo in una repubblica del cazzo è il fatto che ci troviamo d’accordo con Di Pietro nel dichiarare che stiamo con la piazza e non con il potere, stiamo con Davide contro Golia. Siamo con le piazze perché nelle piazze c’è la politica vera, mentre nelle stanze del potere c’è la politica dello scandalo, la politica del cazzo.
Chiudo questo post dubitando fortemente che Vittorio Zambardino lo possa citare nel suo Netmonitor di la Repubblica.it.
11 luglio 2008
Stato società e briganti nel Risorgimento italiano, di Ottavio Rossani
Grande merito del libro di Rossani è l’essere riuscito a fare il punto degli studi più recenti sul fenomeno del brigantaggio meridionale postunitario, che dell’epoca risorgimentale mettono in evidenza anche le ragioni dei perdenti.
Il termine brigantaggio viene ormai assumendo una connotazione positiva. Continuano a squarciarsi sempre più i veli stesi dagli storici organici al potere ed al regime dei Savoia, tendenti a coprire ed a falsare i tragici avvenimenti degli anni immediatamente successivi all’invasione del Sud da parte dei piemontesi.
Erano possibili molti modi per fare l’Italia. Cavour e i suoi successori scelsero la strada della sospensione delle garanzie costituzionali per larga parte del territorio italiano e della repressione militare del dissenso.
L’atteggiamento repressivo contribuì ad inasprire i rapporti, a provocare la reazione di chi si sentiva ingiustamente perseguitato, andando ad ingrossare le bande dei cosiddetti briganti.
E’ ben lontana da noi l’ipotesi - scrive il Rossani - di rimettere in discussione l’unità del Paese e nemmeno intendiamo alimentare patetiche nostalgie borboniche o asburgiche o altro, come fanno alcuni polemisti. Si tratta invece di prendere atto di ciò che avvenne veramente e di rispettare coloro che si opposero non al processo di unificazione, ma ai soprusi e agli eccessi di militari e funzionari che ignoravano tutto del Sud ma si calavano nel Sud con il compito di “civilizzatori”, portando nei fatti arroganza, ignoranza, prepotenza e corruzione.
Il brigantaggio fu movimento di massa non organizzato che si oppose all’occupazione piemontese, fu lotta armata del popolo napoletano contro il Savoia invasore per il ritorno di Francesco II. Il brigantaggio fu un fatto politico e sociale, e non una semplice questione criminale come si volle far credere.
Quando le ultime roccaforti in cui si erano asserragliati i soldati borbonici, Gaeta, Messina e Civitella del Tronto, si arresero dopo lunga resistenza, le bande dei briganti proliferarono e la resistenza armata diventò più forte. Ufficiali legittimisti, provenienti da fuori Italia, tentarono un’organizzazione unitaria delle bande, con l’obiettivo di far sollevare tutto il Sud. La primavera 1861 fu il momento di maggiore incandescenza della rivolta.
Ma il “Comitato borbonico” che agiva da Roma era incapace di pianificare le azioni necessarie per sostenere quella guerriglia e farla diventare insurrezione popolare organizzata.
La repressione ad opera dell’esercito piemontese fu spietata. Su “La Civiltà Cattolica” dei Gesuiti furono pubblicati una serie di interventi in cui vennero enumerate le azioni di aggressione, inciviltà, rappresaglia, immotivata ferocia, perpetrate dall’esercito piemontese.
L’arresto e la fucilazione di Borjés e di Tristany posero praticamente fine alla tensione politica, anche se le bande di briganti continuarono ancora a lungo a fare imboscate e ad aggredire le truppe dei militari e delle guardie nazionali.
Quasi tutti i capibanda furono arrestati o fucilati.
Lo scioglimento del Governo in esilio, ad opera di Francesco II nel 1867, decretò la definitiva fine del Regno borbonico. Ma per il Sud la storia e la ribellione continuarono con la grande emorragia migratoria.
La questione del brigantaggio continua a rimanere uno dei nodi irrisolti della storia italiana. La repressione del brigantaggio fu la continuazione logica della campagna di occupazione militare e fu affidata all’esercito piemontese, con l’impiego massiccio di bersaglieri, carabinieri ed altri corpi militari; all’esercito si affiancarono anche i componenti di formazioni locali chiamate “Guardia nazionale”.
Il brigantaggio mise in crisi il neonato Stato unitario e per poco non riuscì a spezzarlo.
La carneficina degli “italiani” del Sud, ad opera dei piemontesi, fu immane. Risulta che - scrive Rossani - tra il 1861 e il 1872 ci furono 154.850 caduti in combattimento, 111.520 fucilati o morti in carcere, con un totale di perdite quindi tra briganti e complici di 266.370. Le perdite piemontesi furono invece di solo 23.013 unità.
Altri italiani del Sud furono internati nei “lager dei Savoia”. In totale circa 58.000 uomini, fatti prigionieri, furono deportati al Nord. Il più famigerato di questi campi di concentramento fu Fenestrelle, una vecchia fortezza nella Val Chisone a 2.893 metri di altitudine, in provincia di Torino. Da quella fortezza nessuno riuscì mai ad evadere. I morti venivano gettati, per motivi igienici, in un’enorme vasca di calce viva.
Libro assai utile sia per chi inizia ad interessarsi di brigantaggio che per approfondimenti.
Ottavio Rossani, Stato società e briganti nel Risorgimento italiano, Pianetalibro Editori, Possidente (PZ), 2003, pp. 174
Il termine brigantaggio viene ormai assumendo una connotazione positiva. Continuano a squarciarsi sempre più i veli stesi dagli storici organici al potere ed al regime dei Savoia, tendenti a coprire ed a falsare i tragici avvenimenti degli anni immediatamente successivi all’invasione del Sud da parte dei piemontesi.
Erano possibili molti modi per fare l’Italia. Cavour e i suoi successori scelsero la strada della sospensione delle garanzie costituzionali per larga parte del territorio italiano e della repressione militare del dissenso.
L’atteggiamento repressivo contribuì ad inasprire i rapporti, a provocare la reazione di chi si sentiva ingiustamente perseguitato, andando ad ingrossare le bande dei cosiddetti briganti.
E’ ben lontana da noi l’ipotesi - scrive il Rossani - di rimettere in discussione l’unità del Paese e nemmeno intendiamo alimentare patetiche nostalgie borboniche o asburgiche o altro, come fanno alcuni polemisti. Si tratta invece di prendere atto di ciò che avvenne veramente e di rispettare coloro che si opposero non al processo di unificazione, ma ai soprusi e agli eccessi di militari e funzionari che ignoravano tutto del Sud ma si calavano nel Sud con il compito di “civilizzatori”, portando nei fatti arroganza, ignoranza, prepotenza e corruzione.
Il brigantaggio fu movimento di massa non organizzato che si oppose all’occupazione piemontese, fu lotta armata del popolo napoletano contro il Savoia invasore per il ritorno di Francesco II. Il brigantaggio fu un fatto politico e sociale, e non una semplice questione criminale come si volle far credere.
Quando le ultime roccaforti in cui si erano asserragliati i soldati borbonici, Gaeta, Messina e Civitella del Tronto, si arresero dopo lunga resistenza, le bande dei briganti proliferarono e la resistenza armata diventò più forte. Ufficiali legittimisti, provenienti da fuori Italia, tentarono un’organizzazione unitaria delle bande, con l’obiettivo di far sollevare tutto il Sud. La primavera 1861 fu il momento di maggiore incandescenza della rivolta.
Ma il “Comitato borbonico” che agiva da Roma era incapace di pianificare le azioni necessarie per sostenere quella guerriglia e farla diventare insurrezione popolare organizzata.
La repressione ad opera dell’esercito piemontese fu spietata. Su “La Civiltà Cattolica” dei Gesuiti furono pubblicati una serie di interventi in cui vennero enumerate le azioni di aggressione, inciviltà, rappresaglia, immotivata ferocia, perpetrate dall’esercito piemontese.
L’arresto e la fucilazione di Borjés e di Tristany posero praticamente fine alla tensione politica, anche se le bande di briganti continuarono ancora a lungo a fare imboscate e ad aggredire le truppe dei militari e delle guardie nazionali.
Quasi tutti i capibanda furono arrestati o fucilati.
Lo scioglimento del Governo in esilio, ad opera di Francesco II nel 1867, decretò la definitiva fine del Regno borbonico. Ma per il Sud la storia e la ribellione continuarono con la grande emorragia migratoria.
La questione del brigantaggio continua a rimanere uno dei nodi irrisolti della storia italiana. La repressione del brigantaggio fu la continuazione logica della campagna di occupazione militare e fu affidata all’esercito piemontese, con l’impiego massiccio di bersaglieri, carabinieri ed altri corpi militari; all’esercito si affiancarono anche i componenti di formazioni locali chiamate “Guardia nazionale”.
Il brigantaggio mise in crisi il neonato Stato unitario e per poco non riuscì a spezzarlo.
La carneficina degli “italiani” del Sud, ad opera dei piemontesi, fu immane. Risulta che - scrive Rossani - tra il 1861 e il 1872 ci furono 154.850 caduti in combattimento, 111.520 fucilati o morti in carcere, con un totale di perdite quindi tra briganti e complici di 266.370. Le perdite piemontesi furono invece di solo 23.013 unità.
Altri italiani del Sud furono internati nei “lager dei Savoia”. In totale circa 58.000 uomini, fatti prigionieri, furono deportati al Nord. Il più famigerato di questi campi di concentramento fu Fenestrelle, una vecchia fortezza nella Val Chisone a 2.893 metri di altitudine, in provincia di Torino. Da quella fortezza nessuno riuscì mai ad evadere. I morti venivano gettati, per motivi igienici, in un’enorme vasca di calce viva.
Libro assai utile sia per chi inizia ad interessarsi di brigantaggio che per approfondimenti.
Ottavio Rossani, Stato società e briganti nel Risorgimento italiano, Pianetalibro Editori, Possidente (PZ), 2003, pp. 174
5 luglio 2008
Bocchini di Stato
Solo il dubbio che Mara Carfagna sia diventata ministro perché gliel’ha fatta vedere a Berlusconi dovrebbe giustificare la pubblicazione di tutte le intercettazioni su Berlusconi. I cittadini italiani devono sapere da chi sono governati e quali sono i meriti che vengono valutati. E’ questo il senso di quanto affermato dal dipietrista Massimo Donati: «Se Bill Clinton avesse fatto Monica Lewinsky ministro del suo governo, la vicenda sarebbe diventata di rilevanza politica oppure no?».
Vi ricordate quando nel gennaio del 2007 la moglie di Berlusconi Veronica Lario inviò una lettera aperta a la Repubblica invocando le scuse di suo marito per alcuni apprezzamenti rivolti a Mara Carfagna ed a Ayda Yespica? [nella foto].
«Se non fossi già sposato, la sposerei subito», aveva detto il Berlusca alla Carfagna. E ad Ayda Yespica: «Con te andrei ovunque». Non so dove sia andata a finire la Yespica, la Carfagna è diventata ministro. Se la carica è frutto di uno scambio, certamente alla Mara gli è andata proprio bene.
E gli italiani che dicono? Per il ministro Rotondi gli italiani apprezzano. Berlusconi la pensa, parla e si comporta come loro. Per la gran massa degli italiani Berlusconi è grande anche per questo. Tutti cornuti, felici e contenti. Ha ragione Curzio Maltese quando afferma che quello che interessa o non interessa agli italiani, da molti anni, lo decide direttamente Berlusconi, da dominus assoluto dell’informazione.
I giudici sono politizzati, militanti e delinquenti. I boss mafiosi, vedi Mangano, diventano eroi. Lo decide Berlusconi.
La verità la crea Berlusconi. Come sull’immunità per le alte cariche dello Stato. Berlusconi ed i suoi pappagalli ammaestrati ripetono fino alla noia, per convincere gli allocchi di italiani, che in tutti gli Stati democratici esiste questa immunità. La vera verità è totalmente diversa. Lo hanno voluto ricordare in un appello cento costituzionalisti italiani. L'immunità temporanea per reati comuni è prevista solo nelle Costituzioni greca, portoghese, israeliana e francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica, mentre analoga immunità non è prevista per il Presidente del Consiglio e per i Ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare analogo al nostro, tanto meno nell'ordinamento spagnolo più volte evocato, ma sempre inesattamente.
Ma non serve a niente quello che dicono gli studiosi della Costituzione. La verità è quella che si inventa Berlusconi.
Sessantaquattromila italiani, compreso me, hanno firmato l’appello in difesa della Costituzione. Ma non contiamo e non siamo nulla rispetto alla grande massa dei rincoglioniti da Berlusconi.
Vi ricordate quando nel gennaio del 2007 la moglie di Berlusconi Veronica Lario inviò una lettera aperta a la Repubblica invocando le scuse di suo marito per alcuni apprezzamenti rivolti a Mara Carfagna ed a Ayda Yespica? [nella foto].
«Se non fossi già sposato, la sposerei subito», aveva detto il Berlusca alla Carfagna. E ad Ayda Yespica: «Con te andrei ovunque». Non so dove sia andata a finire la Yespica, la Carfagna è diventata ministro. Se la carica è frutto di uno scambio, certamente alla Mara gli è andata proprio bene.
E gli italiani che dicono? Per il ministro Rotondi gli italiani apprezzano. Berlusconi la pensa, parla e si comporta come loro. Per la gran massa degli italiani Berlusconi è grande anche per questo. Tutti cornuti, felici e contenti. Ha ragione Curzio Maltese quando afferma che quello che interessa o non interessa agli italiani, da molti anni, lo decide direttamente Berlusconi, da dominus assoluto dell’informazione.
I giudici sono politizzati, militanti e delinquenti. I boss mafiosi, vedi Mangano, diventano eroi. Lo decide Berlusconi.
La verità la crea Berlusconi. Come sull’immunità per le alte cariche dello Stato. Berlusconi ed i suoi pappagalli ammaestrati ripetono fino alla noia, per convincere gli allocchi di italiani, che in tutti gli Stati democratici esiste questa immunità. La vera verità è totalmente diversa. Lo hanno voluto ricordare in un appello cento costituzionalisti italiani. L'immunità temporanea per reati comuni è prevista solo nelle Costituzioni greca, portoghese, israeliana e francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica, mentre analoga immunità non è prevista per il Presidente del Consiglio e per i Ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare analogo al nostro, tanto meno nell'ordinamento spagnolo più volte evocato, ma sempre inesattamente.
Ma non serve a niente quello che dicono gli studiosi della Costituzione. La verità è quella che si inventa Berlusconi.
Sessantaquattromila italiani, compreso me, hanno firmato l’appello in difesa della Costituzione. Ma non contiamo e non siamo nulla rispetto alla grande massa dei rincoglioniti da Berlusconi.
2 luglio 2008
La Mussolini contro i rom: prendiamole le impronte
Alla prima prova d’esame i ministri "cattolici" del Governo del Cavaliere escono bocciati, senza appello. L’esame gli è stato fatto da Famiglia Cristiana n. 27, in edicola in questa settimana. Il settimanale cattolico dei Padri Paolini, che ha tre milioni e mezzo di lettori, è andato giù pesante contro il clan Berlusconi. E’ indecente la proposta razzista di Maroni di prendere le impronte digitali ai bambini rom.
Io che nei miei teneri anni sono stato formato in ambienti cattolici, dai quali però ora sono lontanissimo, plaudo incondizionatamente alla sonora bocciatura. Ma mi chiedo se servirà a qualcosa. Berlusconi ha un filo diretto con papa Ratzinger. Vi ricordate del caramelloso e plateale baciamani? Vi ricordate la immediata benevola risposta di Ratzinger al devoto Berlusca, che chiedeva di poter fare la comunione nonostante fosse divorziato?
Chi sono i cattolici ai quali si rivolge Famiglia Cristiana? Quelli che votano i partiti antiberlusconiani o quelli che venerano l’unto Berlusconi? Non so quanto questi ultimi si lascino impressionare dagli anatemi paolini.
E però ai devoti berlusconiani non è piaciuta per niente la scomunica in primo piano ed hanno reagito rabbiosamente. Il saltafossi Carlo Giovanardi, dopo aver respinto «con sdegno la delirante accusa di essere parte di un governo più o meno nazista», si chiede: «Questo settimanale che cos’ha ancora di cristiano?». La carneade ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini delira: «Da cattolica sento il dovere morale di occuparmi dei bambini rom proprio prendendo loro le impronte digitali».
Ma la più ineffabile è stata la nipote del duce Alessandra Mussolini [nella foto in versione estiva]. Di lei il pezzo incriminato di Famiglia Cristiana aveva scritto: «Non stupisce il silenzio della nuova presidente della Commissione per l’infanzia, Alessandra Mussolini, perché le schedature etniche e religiose fanno parte del Dna familiare e, finalmente, tornano a essere patrimonio di Governo». Apriti cielo. La camerata sbotta: «Evocare il mio dna dimostra scarso rispetto per le istituzioni». Dove l’istituzione sarebbe lei, in quanto occupa lo strapuntino della presidenza della fantomatica Commissione Infanzia. Vi ricordate i suoi insulti contro Berlusconi perché non gli veniva data una carica purchessia e per essere stata confinata in piccionaia? Una volta accontenta è allegramente prona davanti a Berlusconi.
Ma sentite ancora cosa scrive Famiglia Cristiana: «A sessant’anni dalle leggi razziali, l’Italia non ha ancora fatto i conti con le sue tragiche responsabilità. In particolare, quei conti non li ha fatti il Centrodestra al Governo, se un ministro propone il concetto di razza nell’ordinamento giuridico. Perché di questo si tratta».
E per finire il giornale cattolico conclude seriosamente che se le impronte digitali le si vogliono prendere, si cominci dai nostri figli; ancor meglio, dai parlamentari: i cittadini saprebbero chi lavora e chi marina, e anche chi fa il furbo, votando al posto di un altro. L’affossa "pianisti" sarebbe l’unico "lodo" gradito agli italiani.
Ma forse Famiglia Cristiana s’illude che quelli che votano per Berlusconi abbiano ancora una coscienza.
Io che nei miei teneri anni sono stato formato in ambienti cattolici, dai quali però ora sono lontanissimo, plaudo incondizionatamente alla sonora bocciatura. Ma mi chiedo se servirà a qualcosa. Berlusconi ha un filo diretto con papa Ratzinger. Vi ricordate del caramelloso e plateale baciamani? Vi ricordate la immediata benevola risposta di Ratzinger al devoto Berlusca, che chiedeva di poter fare la comunione nonostante fosse divorziato?
Chi sono i cattolici ai quali si rivolge Famiglia Cristiana? Quelli che votano i partiti antiberlusconiani o quelli che venerano l’unto Berlusconi? Non so quanto questi ultimi si lascino impressionare dagli anatemi paolini.
E però ai devoti berlusconiani non è piaciuta per niente la scomunica in primo piano ed hanno reagito rabbiosamente. Il saltafossi Carlo Giovanardi, dopo aver respinto «con sdegno la delirante accusa di essere parte di un governo più o meno nazista», si chiede: «Questo settimanale che cos’ha ancora di cristiano?». La carneade ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini delira: «Da cattolica sento il dovere morale di occuparmi dei bambini rom proprio prendendo loro le impronte digitali».
Ma la più ineffabile è stata la nipote del duce Alessandra Mussolini [nella foto in versione estiva]. Di lei il pezzo incriminato di Famiglia Cristiana aveva scritto: «Non stupisce il silenzio della nuova presidente della Commissione per l’infanzia, Alessandra Mussolini, perché le schedature etniche e religiose fanno parte del Dna familiare e, finalmente, tornano a essere patrimonio di Governo». Apriti cielo. La camerata sbotta: «Evocare il mio dna dimostra scarso rispetto per le istituzioni». Dove l’istituzione sarebbe lei, in quanto occupa lo strapuntino della presidenza della fantomatica Commissione Infanzia. Vi ricordate i suoi insulti contro Berlusconi perché non gli veniva data una carica purchessia e per essere stata confinata in piccionaia? Una volta accontenta è allegramente prona davanti a Berlusconi.
Ma sentite ancora cosa scrive Famiglia Cristiana: «A sessant’anni dalle leggi razziali, l’Italia non ha ancora fatto i conti con le sue tragiche responsabilità. In particolare, quei conti non li ha fatti il Centrodestra al Governo, se un ministro propone il concetto di razza nell’ordinamento giuridico. Perché di questo si tratta».
E per finire il giornale cattolico conclude seriosamente che se le impronte digitali le si vogliono prendere, si cominci dai nostri figli; ancor meglio, dai parlamentari: i cittadini saprebbero chi lavora e chi marina, e anche chi fa il furbo, votando al posto di un altro. L’affossa "pianisti" sarebbe l’unico "lodo" gradito agli italiani.
Ma forse Famiglia Cristiana s’illude che quelli che votano per Berlusconi abbiano ancora una coscienza.