“Mi hai preso per fesso una volta, non lo farai più”. Michael Moore vorrebbe che la maggioranza degli americani dicesse questo a Bush con il voto di novembre prossimo quando verrà eletto il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Con questa battuta infatti si chiude il suo film Fahrenheit 9/11, che ho visto ieri sera.
Il film si apre con la certezza da parte di Moore che Bush non abbia vinto le elezioni presidenziali di quattro anni fa con il voto popolare, ma con una colossale truffa messa in atto da parte dei poteri forti degli Stati Uniti.
Il film segue poi nello smantellare una per una tutte le bugie dette da Bush e dal suo entourage per giustificare l’invasione dell’Iraq, voluta in realtà per fini poco nobili: mettere la mani sul petrolio iracheno ed incrementare le commesse alle industrie belliche.
Vengono anche presentati minuziosamente fatti e documenti che testimoniano dei forti legami economici tra la famiglia di Bush e la famiglia di Bin Laden, che esistevano prima dell’attacco alle torri gemelle e che continuano ad esistere oggi.
Parte predominante del film è la guerra in Iraq: le menzogne dette per giustificarla, i sistemi usati per arruolare i soldati fra i giovani più poveri e bisognosi, la tragicità delle bombe intelligenti che colpiscono a caso uccidendo principalmente civili inermi, i corpi martoriati di americani ed iracheni, i tantissimi morti, le famiglie colpite dai lutti abbandonate a se stesse, i feriti da dimenticare perché non servono più e costano troppo.
Moore ha voluto fare scientemente un film militante, nella speranza che possa aiutare a far venire fuori e a far vincere l’America migliore che vuole la pace ed il rispetto degli altri.
Ma il film è anche molto bello, non a caso ha vinto la Palma d’Oro nell’ultimo Festival di Cannes.
Cast Tecnico Artistico
genere Documentario
anno 2004
nazione U.S.A.
casa distributrice BIM
regista Michael Moore
interpreti Michael Moore , George W. Bush , Debbie Petriken
sceneggiatura Michael Moore
fotografia Mike Desjarlais
musiche Jeff Gibbs montaggio Kurt Engfehr, Christopher Seward, T. Woody Richman
durata 110
data uscita 27-08-2004
31 agosto 2004
29 agosto 2004
Olimpiadi di Atene – Stefano Baldini
Finalmente! Dopo l’ansia, la speranza, la delusione di ieri per la sconfitta con l’Argentina nella finale di basket, di oggi pomeriggio per la sconfitta con il Brasile nella finale di pallavolo, stasera finalmente l’esplosione di gioia per la vittoria di Stefano Baldini nella maratona. Le olimpiadi di Atene non potevano chiudersi nel modo migliore. Ho seguito con grande interesse le gare, a cominciare dalla vittoria nel ciclismo di Paolo Bettini.
Cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Atene
Dalla cerimonia inaugurale tutta elettronica e tecnologica si è passati alla cerimonia di chiusura in cui è prevalso l’aspetto umano. Ho apprezzato di più.
Cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Atene
Dalla cerimonia inaugurale tutta elettronica e tecnologica si è passati alla cerimonia di chiusura in cui è prevalso l’aspetto umano. Ho apprezzato di più.
28 agosto 2004
Porta del giardino
27 agosto 2004
In memoria di Enzo Baldoni
La morte di Enzo Baldoni, la morte di Fabrizio Quattrocchi, la morte dei 20 militari italiani uccisi a Nassyria, la morte dei 14 mila civili iracheni (conteggio dell’iraqbodycount.net), la morte delle migliaia e migliaia di soldati iracheni che nessuno conta, la morte dei soldati inglesi e dei soldati delle altre nazioni che hanno invaso l’Iraq, la morte degli oltre venti giornalisti morti dall’inizio della guerra, tutti questi morti e tutti gli altri morti dell’assurda e meschina guerra che si continua a combattere in Iraq peseranno sulle coscienze di Bush, di Blair, di Berlusconi, che questa guerra hanno voluto e continuano a volere.
Ma questi signori hanno una coscienza?
Il tribunale dell’umanità li ha condannati al massimo della pena. Saranno chiamati a renderne conto.
Ma questi signori hanno una coscienza?
Il tribunale dell’umanità li ha condannati al massimo della pena. Saranno chiamati a renderne conto.
25 agosto 2004
La rivincita di Natale
Cinema in villa 2004 – Martina Franca (Taranto) – 5° film
La vita è un gioco sporco dove vince chi bara più forte. E’ un mondo senza morale quello che Avati mostra nel suo film. Sarebbe una fortuna se questo esistesse solo nella finzione cinematografica, ma purtroppo esempi del genere abbondano nella vita reale: politica, sociale, amministrativa, sportiva, artistica.
Il massimo valore diventa il potere raggiunto con qualsiasi mezzo anche se disonesto (quasi sempre). Il pessimismo regna sovrano nel film. Ma forse un piccolo filo di speranza ci viene comunque lasciato; il film si chiude con l’inquadratura di un piccolo presepe.
Un film in pratica senza una storia (se non una partita a poker), interamente giocato sulla recitazione degli attori, tutti bravissimi, senza alcuna caduta di tono.
E’ triste la nostra società se ci porta verso la più nera solitudine ed il più totale fallimento.
Trama
Il tavolo verde di Avati si accende ancora e riluce degli sguardi di cinque personaggi in cerca di sé stessi e di un momento che per tutti, vincente o perdente, si imprime in una vita che non sempre è quella che sembra, e, molto frequentemente, rappresenta una dura realtà.
Franco, 18 anni dopo una sconfitta in una partita a carte che lo ha segnato (anche economicamente), cerca i suoi “compagni di ventura” per giocare una rivincita su molti fronti. Lele, critico cinematografico malato di cancro, Ugo, conduttore televisivo, Stefano, proprietario del “luogo del delitto”, l’avvocato Santelia. I protagonisti, fra giochi delle parti, si presentano nuovamente a rivivere quell’attimo che li mette a confronto in valore assoluto, senza considerare la loro condizione di vita attuale. La tensione della vecchia amicizia è ora dentro il mazzo di carte, che legge e mette a confronto ancora una volta l’anima e il cuore di chi è coinvolto.
Cast Tecnico Artistico
Regia Pupi Avati
Sceneggiatura Pupi Avati
Fotografia Pasquale Rachini
Scenografia Simona Migliotti
Musica Riz Ortolani
Montaggio Amedeo Salfa
Prodotto da Antonio Avati (Medusa Film, Duea Film)
Durata 99'
Distributore Medusa Film
Personaggi e Iterpreti
Franco Mattioli Diego Abatantuono
Antonio Santelia Carlo Delle Piane
Lele Bagnoli Alessandro Haber
Ugo Cavara Gianni Cavina
Stefano Bertoni George Eastman
La vita è un gioco sporco dove vince chi bara più forte. E’ un mondo senza morale quello che Avati mostra nel suo film. Sarebbe una fortuna se questo esistesse solo nella finzione cinematografica, ma purtroppo esempi del genere abbondano nella vita reale: politica, sociale, amministrativa, sportiva, artistica.
Il massimo valore diventa il potere raggiunto con qualsiasi mezzo anche se disonesto (quasi sempre). Il pessimismo regna sovrano nel film. Ma forse un piccolo filo di speranza ci viene comunque lasciato; il film si chiude con l’inquadratura di un piccolo presepe.
Un film in pratica senza una storia (se non una partita a poker), interamente giocato sulla recitazione degli attori, tutti bravissimi, senza alcuna caduta di tono.
E’ triste la nostra società se ci porta verso la più nera solitudine ed il più totale fallimento.
Trama
Il tavolo verde di Avati si accende ancora e riluce degli sguardi di cinque personaggi in cerca di sé stessi e di un momento che per tutti, vincente o perdente, si imprime in una vita che non sempre è quella che sembra, e, molto frequentemente, rappresenta una dura realtà.
Franco, 18 anni dopo una sconfitta in una partita a carte che lo ha segnato (anche economicamente), cerca i suoi “compagni di ventura” per giocare una rivincita su molti fronti. Lele, critico cinematografico malato di cancro, Ugo, conduttore televisivo, Stefano, proprietario del “luogo del delitto”, l’avvocato Santelia. I protagonisti, fra giochi delle parti, si presentano nuovamente a rivivere quell’attimo che li mette a confronto in valore assoluto, senza considerare la loro condizione di vita attuale. La tensione della vecchia amicizia è ora dentro il mazzo di carte, che legge e mette a confronto ancora una volta l’anima e il cuore di chi è coinvolto.
Cast Tecnico Artistico
Regia Pupi Avati
Sceneggiatura Pupi Avati
Fotografia Pasquale Rachini
Scenografia Simona Migliotti
Musica Riz Ortolani
Montaggio Amedeo Salfa
Prodotto da Antonio Avati (Medusa Film, Duea Film)
Durata 99'
Distributore Medusa Film
Personaggi e Iterpreti
Franco Mattioli Diego Abatantuono
Antonio Santelia Carlo Delle Piane
Lele Bagnoli Alessandro Haber
Ugo Cavara Gianni Cavina
Stefano Bertoni George Eastman
24 agosto 2004
Agata e la tempesta
Cinema in villa 2004 – Martina Franca (Taranto) – 4° film
La tempesta richiamata nel titolo è tutta interiore. Le certezze, che i personaggi credevano di avere, diventano illusorie. La realtà di ieri non è la realtà di oggi, che a sua volta non sarà quella di domani. La concretezza dei fatti si tramuta in dilatazione onirica. L’esperienza da reale diventa gradatamente surreale. Il quotidiano diviene sogno ad occhi aperti.
Agata ha in sé tutte queste potenzialità, ma quasi mai ne è consapevole; la vita degli altri si trasforma al suo contatto, o forse è solo in lei che avviene questa trasformazione.
Un film commedia che tende a trasformarsi in favola. Luci, suoni e paesaggi assecondano questa trasformazione. Molto bravi tutti gli attori ad immergersi in questo mondo fatato e a dargli vita.
Trama
Agata si sentiva al sicuro nella sua libreria e invece è come se all'improvviso fosse precipitata dentro la trama di un bizzarro romanzo: la passione inattesa per un ragazzo esuberante e forse troppo disinvolto, l'improvvisa scoperta che l'amato fratello Gustavo in realtà non è suo fratello e le lampadine che misteriosamente si fulminano al suo passaggio.
Sulle tracce di Gustavo, architetto in fuga da una vita che non sente più sua, Agata finisce a Cicognara, un piccolo paese sprofondato nella nebbia d’inverno e nell'afa d'estate. E' qui che vive Romeo il vero fratello di Gustavo che nel frattempo, accantonata momentaneamente l'architettura, si dedica alla cura di Bianchina, la gallina di sua madre buonanima, e alla ricerca di suo padre.
Romeo fa il rappresentante d'abbigliamento, scorazza su e giù per la pianura a bordo della sua familiare arancione, ama profondamente sua moglie ma non perde occasione di tradirla. Ha un sogno: mollare tutto e aprire un vivaio di trote.
Per Agata, Gustavo e Romeo, e per i singolari personaggi che intorno a loro si raccolgono, si aprono le porte di una stramba famiglia tutta da scoprire e di una vita tutta da inventare.
Cast tecnico artistico
Regia Silvio Soldini
Sceneggiatura Silvio Soldini, Doriana Leondeff, Francesco Piccolo
Fotografia Arnaldo Catinari
Scenografia Paola Bizzarri
Costumi Silvia Nebiolo
Musica Giovanni Venosta
Montaggio Carlotta Cristiani
Prodotto da Luigi Musini, Roberto Cicuto, Tiziana Soudani per Albachiara, Amka Film, Mercury Films Productions, Lumière & Co., Euroimages
(Italia, 2004)
Durata 120'
Distribuzione Mikado
Personaggi e Interpreti
Agata Licia Maglietta
Romeo Giuseppe Battiston
Gustavo Emilio Solfrizzi
Ines Marina Massironi
Nico Claudio Santamaria
Maria Libera Giselda Volodi
Generoso Remo Remotti
Daria Monica Nappo
La tempesta richiamata nel titolo è tutta interiore. Le certezze, che i personaggi credevano di avere, diventano illusorie. La realtà di ieri non è la realtà di oggi, che a sua volta non sarà quella di domani. La concretezza dei fatti si tramuta in dilatazione onirica. L’esperienza da reale diventa gradatamente surreale. Il quotidiano diviene sogno ad occhi aperti.
Agata ha in sé tutte queste potenzialità, ma quasi mai ne è consapevole; la vita degli altri si trasforma al suo contatto, o forse è solo in lei che avviene questa trasformazione.
Un film commedia che tende a trasformarsi in favola. Luci, suoni e paesaggi assecondano questa trasformazione. Molto bravi tutti gli attori ad immergersi in questo mondo fatato e a dargli vita.
Trama
Agata si sentiva al sicuro nella sua libreria e invece è come se all'improvviso fosse precipitata dentro la trama di un bizzarro romanzo: la passione inattesa per un ragazzo esuberante e forse troppo disinvolto, l'improvvisa scoperta che l'amato fratello Gustavo in realtà non è suo fratello e le lampadine che misteriosamente si fulminano al suo passaggio.
Sulle tracce di Gustavo, architetto in fuga da una vita che non sente più sua, Agata finisce a Cicognara, un piccolo paese sprofondato nella nebbia d’inverno e nell'afa d'estate. E' qui che vive Romeo il vero fratello di Gustavo che nel frattempo, accantonata momentaneamente l'architettura, si dedica alla cura di Bianchina, la gallina di sua madre buonanima, e alla ricerca di suo padre.
Romeo fa il rappresentante d'abbigliamento, scorazza su e giù per la pianura a bordo della sua familiare arancione, ama profondamente sua moglie ma non perde occasione di tradirla. Ha un sogno: mollare tutto e aprire un vivaio di trote.
Per Agata, Gustavo e Romeo, e per i singolari personaggi che intorno a loro si raccolgono, si aprono le porte di una stramba famiglia tutta da scoprire e di una vita tutta da inventare.
Cast tecnico artistico
Regia Silvio Soldini
Sceneggiatura Silvio Soldini, Doriana Leondeff, Francesco Piccolo
Fotografia Arnaldo Catinari
Scenografia Paola Bizzarri
Costumi Silvia Nebiolo
Musica Giovanni Venosta
Montaggio Carlotta Cristiani
Prodotto da Luigi Musini, Roberto Cicuto, Tiziana Soudani per Albachiara, Amka Film, Mercury Films Productions, Lumière & Co., Euroimages
(Italia, 2004)
Durata 120'
Distribuzione Mikado
Personaggi e Interpreti
Agata Licia Maglietta
Romeo Giuseppe Battiston
Gustavo Emilio Solfrizzi
Ines Marina Massironi
Nico Claudio Santamaria
Maria Libera Giselda Volodi
Generoso Remo Remotti
Daria Monica Nappo
23 agosto 2004
Che ne sarà di noi
Cinema in villa 2004 – Martina Franca (Taranto) – 3° film
E’ un film sui giovani di oggi che offre tanti spunti di riflessione sia ai giovani che agli adulti, sia ai figli che ai genitori. Gli spettatori giovani potranno chiedersi, appunto, “che ne sarà di noi?”; gli adulti potranno dire “ecco cosa eravamo noi!”, ma anche facendo ricorso alla loro esperienza pratica prevedere cosa diventeranno i giovani.
E’ una storia raccontata dal punto di vista dei giovani, non a caso il giovane protagonista del film Silvio Muccino (22 anni) è anche autore del soggetto e della sceneggiatura.
Ma i giovani di oggi sono tutti come quelli presentati nel film: disimpegnati, dediti alle droghe, svogliati negli studi? Io credo e so di no. Ma anche gli adulti sono tutti come quelli del film: rassegnati, separati, assenti? Io so di no.
Bei colori, bei paesaggi; un film che prende e si fa seguire. Buona testimonianza del nuovo cinema italiano.
Trama
Matteo (Silvio Muccino) ha appena fatto l’esame di maturità ed è innamorato follemente di una ragazza più grande di lui. Carmen (Violante Placido), questo il nome della fanciulla, decide di partire per la Grecia senza neanche avvertirlo. Matteo non si perderà d’animo e dopo aver convinto i suoi amici Manuel (Elio Germano) e Paolo (Giuseppe Sanfelice) a seguirlo a Santorini farà in modo di incontrare la sua amata proprio sulla bellissima isola greca. Quando i tre arriveranno in questo lembo di terra in mezzo al mediterraneo scopriranno però che la bella Carmen è una ragazza ambigua e problematica che farà soffrire non poco il povero Matteo.
Cast tecnico
Regia Giovanni Veronesi
Sceneggiatura Giovanni Veronesi, Silvio Muccino
Durata 100'
Montaggio Claudio Di Mauro
Musiche Andrea Guerra
Scenografia Marco Dentici
Fotografia Fabio Zamarion
Paese, Anno Italia 2004
Produzione Aurelio Deaurentiis
Distribuzione FilmAuro
Personaggi e Interpreti
Matteo Silvio Muccino
Carmen Violante Placido
Paolo Giuseppe Sanfelice
Manuel Elio Germano
Bea Valeria Solarino
Sandro Enrico Silvestrin
Valentina Katy Louise Sanders
Monica Myriam Catania
E’ un film sui giovani di oggi che offre tanti spunti di riflessione sia ai giovani che agli adulti, sia ai figli che ai genitori. Gli spettatori giovani potranno chiedersi, appunto, “che ne sarà di noi?”; gli adulti potranno dire “ecco cosa eravamo noi!”, ma anche facendo ricorso alla loro esperienza pratica prevedere cosa diventeranno i giovani.
E’ una storia raccontata dal punto di vista dei giovani, non a caso il giovane protagonista del film Silvio Muccino (22 anni) è anche autore del soggetto e della sceneggiatura.
Ma i giovani di oggi sono tutti come quelli presentati nel film: disimpegnati, dediti alle droghe, svogliati negli studi? Io credo e so di no. Ma anche gli adulti sono tutti come quelli del film: rassegnati, separati, assenti? Io so di no.
Bei colori, bei paesaggi; un film che prende e si fa seguire. Buona testimonianza del nuovo cinema italiano.
Trama
Matteo (Silvio Muccino) ha appena fatto l’esame di maturità ed è innamorato follemente di una ragazza più grande di lui. Carmen (Violante Placido), questo il nome della fanciulla, decide di partire per la Grecia senza neanche avvertirlo. Matteo non si perderà d’animo e dopo aver convinto i suoi amici Manuel (Elio Germano) e Paolo (Giuseppe Sanfelice) a seguirlo a Santorini farà in modo di incontrare la sua amata proprio sulla bellissima isola greca. Quando i tre arriveranno in questo lembo di terra in mezzo al mediterraneo scopriranno però che la bella Carmen è una ragazza ambigua e problematica che farà soffrire non poco il povero Matteo.
Cast tecnico
Regia Giovanni Veronesi
Sceneggiatura Giovanni Veronesi, Silvio Muccino
Durata 100'
Montaggio Claudio Di Mauro
Musiche Andrea Guerra
Scenografia Marco Dentici
Fotografia Fabio Zamarion
Paese, Anno Italia 2004
Produzione Aurelio Deaurentiis
Distribuzione FilmAuro
Personaggi e Interpreti
Matteo Silvio Muccino
Carmen Violante Placido
Paolo Giuseppe Sanfelice
Manuel Elio Germano
Bea Valeria Solarino
Sandro Enrico Silvestrin
Valentina Katy Louise Sanders
Monica Myriam Catania
22 agosto 2004
La notte della taranta
Per annullare l’effetto del morso della tarantola bisogna ballare tutta la notte.
La pizzica è appunto il tradizionale ballo liberatorio provocato da lu pízzicu della taranta.
Melpignano, un paese di 2.200 abitanti a sud di Lecce, ha celebrato ieri la settima edizione de “La Notte della Taranta”. Evento musicale straordinario al quale hanno partecipato, a detta dei giornali locali, dalle 50 alle 70 mila persone. Maestro concertatore l’etnomusicologo e organettista Ambrogio Sparagna, che per l’occasione ha dato vita ad un’Orchestra Popolare formata da sessanta musicisti salentini che suonavano tamburelli, organetti, timpani e grancasse, mandolini, chitarre, ciaramelle e cornamuse; ruolo importantissimo ha svolto la voce umana, anche con molti canti in forma polifonica.
Ospiti d’eccezione Franco Battiato, Gianna Nannini e Francesco di Giacomo (voce del Banco del Mutuo Soccorso), che hanno cantato brani della tradizione popolare salentina.
Io avevo sentito suonare e cantare Ambrogio Sparagna ed il suo gruppo al 1° Festival dell’Organetto, svoltosi all’inizio di agosto a Villa Castelli in provincia di Brindisi.
La pizzica è appunto il tradizionale ballo liberatorio provocato da lu pízzicu della taranta.
Melpignano, un paese di 2.200 abitanti a sud di Lecce, ha celebrato ieri la settima edizione de “La Notte della Taranta”. Evento musicale straordinario al quale hanno partecipato, a detta dei giornali locali, dalle 50 alle 70 mila persone. Maestro concertatore l’etnomusicologo e organettista Ambrogio Sparagna, che per l’occasione ha dato vita ad un’Orchestra Popolare formata da sessanta musicisti salentini che suonavano tamburelli, organetti, timpani e grancasse, mandolini, chitarre, ciaramelle e cornamuse; ruolo importantissimo ha svolto la voce umana, anche con molti canti in forma polifonica.
Ospiti d’eccezione Franco Battiato, Gianna Nannini e Francesco di Giacomo (voce del Banco del Mutuo Soccorso), che hanno cantato brani della tradizione popolare salentina.
Io avevo sentito suonare e cantare Ambrogio Sparagna ed il suo gruppo al 1° Festival dell’Organetto, svoltosi all’inizio di agosto a Villa Castelli in provincia di Brindisi.
20 agosto 2004
Non ti muovere
Cinema in villa 2204 – Martina Franca (Taranto) – 2° film
Quando fatico tanto con la mente, come sta succedendo dopo aver visto questo film, prima di poter cominciare a scrivere qualcosa, significa che il film non mi è piaciuto.
Film duro e senza speranza. Non ho letto il libro da cui è stato tratto il film. Credo che certe storie possono avere un valore artistico quando vengono trascritte con le parole in un romanzo, ma non hanno nessun senso quando vengono tradotte con le immagini in un film. O almeno così è successo in questo film. Le immagini non riescono a mostrare il vuoto interiore e la mancanza di sentimenti dei personaggi.
La pioggia battente a inizio film sul luogo dell’incidente zummato dall’alto, le squallide sagome in cemento armato dei palazzi nascenti attorno all’ancora sopravvissuta vecchia casa popolare della coprotagonista del film, la truce simulazione della violenza sessuale peggio ancora se poi confessata con una scritta sulla sabbia, il tanto sangue fatto sgorgare dai corpi umani, la scarpa rossa depositata nel punto di materializzazione di una visione onirica, sono immagini che non connotano nulla.
In questo film maggiore significato hanno spesso le parole, tradendo appunto l’origine letteraria. Come per esempio in un dialogo tra Timoteo e Italia. «Mi perdonerai mai?». «Dio non ti perdonerà!». «Dio non esiste, amore mio». «Speriamo, amore mio, speriamo».
Trama
Una giornata di pioggia, uno stop non rispettato, una ragazza di quindici anni che frena, scivola e cade dal motorino. Una corsa in ambulanza verso l'ospedale. Lo stesso in cui il padre lavora come chirurgo. Mentre un collega opera sua figlia, Timoteo rimane in attesa. Nel terrore dell'evento estremo, racconta, getta la sua maschera di fermezza e cinismo, di padre e marito modello, per svelare un'immagine di sé straniata e violenta. Nella speranza di poter barattare le parole con il silenzio del coma, la morte con la vita, rivela, in un immaginario dialogo con la figlia, un segreto doloroso: la storia, dall'apparenza squallida, di un amore extraconiugale potente e viscerale. Ed ecco apparire un'estate arroventata di tanti anni prima, una squallida periferia urbana, una donna docile e derelitta, con un nome spropositato, Italia.
Cast tecnico artistico
Regia: Sergio Castellitto
Sceneggiatura: Margaret Mazzantini, Sergio Castellitto
Fotografia: Gianfilippo Corticelli
Scenografia: Francesco Frigeri
Costumi: Isabella Rizza
Montaggio: Patrizio Marone
Musica: Lucio Godoy
Prodotto da: Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Riccardo Tozzi
(Italia, Spagna, Inghilterra 2004)
Durata: 125'
Distribuzione cinematografica: Medusa
Personaggi e Interpreti
Timoteo: Sergio Castellitto
Italia: Penelope Cruz
Elsa: Claudia Gerini
Ada: Angela Finocchiaro
Manlio: Marco Giallini
Alfredo: Pietro De Silva
Quando fatico tanto con la mente, come sta succedendo dopo aver visto questo film, prima di poter cominciare a scrivere qualcosa, significa che il film non mi è piaciuto.
Film duro e senza speranza. Non ho letto il libro da cui è stato tratto il film. Credo che certe storie possono avere un valore artistico quando vengono trascritte con le parole in un romanzo, ma non hanno nessun senso quando vengono tradotte con le immagini in un film. O almeno così è successo in questo film. Le immagini non riescono a mostrare il vuoto interiore e la mancanza di sentimenti dei personaggi.
La pioggia battente a inizio film sul luogo dell’incidente zummato dall’alto, le squallide sagome in cemento armato dei palazzi nascenti attorno all’ancora sopravvissuta vecchia casa popolare della coprotagonista del film, la truce simulazione della violenza sessuale peggio ancora se poi confessata con una scritta sulla sabbia, il tanto sangue fatto sgorgare dai corpi umani, la scarpa rossa depositata nel punto di materializzazione di una visione onirica, sono immagini che non connotano nulla.
In questo film maggiore significato hanno spesso le parole, tradendo appunto l’origine letteraria. Come per esempio in un dialogo tra Timoteo e Italia. «Mi perdonerai mai?». «Dio non ti perdonerà!». «Dio non esiste, amore mio». «Speriamo, amore mio, speriamo».
Trama
Una giornata di pioggia, uno stop non rispettato, una ragazza di quindici anni che frena, scivola e cade dal motorino. Una corsa in ambulanza verso l'ospedale. Lo stesso in cui il padre lavora come chirurgo. Mentre un collega opera sua figlia, Timoteo rimane in attesa. Nel terrore dell'evento estremo, racconta, getta la sua maschera di fermezza e cinismo, di padre e marito modello, per svelare un'immagine di sé straniata e violenta. Nella speranza di poter barattare le parole con il silenzio del coma, la morte con la vita, rivela, in un immaginario dialogo con la figlia, un segreto doloroso: la storia, dall'apparenza squallida, di un amore extraconiugale potente e viscerale. Ed ecco apparire un'estate arroventata di tanti anni prima, una squallida periferia urbana, una donna docile e derelitta, con un nome spropositato, Italia.
Cast tecnico artistico
Regia: Sergio Castellitto
Sceneggiatura: Margaret Mazzantini, Sergio Castellitto
Fotografia: Gianfilippo Corticelli
Scenografia: Francesco Frigeri
Costumi: Isabella Rizza
Montaggio: Patrizio Marone
Musica: Lucio Godoy
Prodotto da: Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Riccardo Tozzi
(Italia, Spagna, Inghilterra 2004)
Durata: 125'
Distribuzione cinematografica: Medusa
Personaggi e Interpreti
Timoteo: Sergio Castellitto
Italia: Penelope Cruz
Elsa: Claudia Gerini
Ada: Angela Finocchiaro
Manlio: Marco Giallini
Alfredo: Pietro De Silva
19 agosto 2004
Il segreto della bandana
Il Berlusca trascorre le vacanze estive per ricostruirsi. Lo scorso anno si fece il lifting alla faccia. Quest’anno si è trapiantato i capelli. Il prossimo anno a quale organo toccherà? Ma chi se ne frega, sono cazzi suoi, usando il pluralis maiestatis.
Si è messo in testa che vuole diventare eterno. Usa e userà tutti i troppi soldi che ha per raggiungere questo obiettivo. L’unica differenza fra lui e Dio è che Dio è sempre esistito, lui invece purtroppo è nato un certo anno.
Dobbiamo rassegnarci, noi e i figli dei nostri figli e oltre, a vederlo per sempre candidato alla presidenza del consiglio. Speriamo solo candidato, ma non eletto. Dipenderà da noi e dai figli dei nostri figli.
Una proposta però gliela farei al Berlusca: noi gli riconosciamo l’eternità, ma lui si toglie dai coglioni per sempre.
Si è messo in testa che vuole diventare eterno. Usa e userà tutti i troppi soldi che ha per raggiungere questo obiettivo. L’unica differenza fra lui e Dio è che Dio è sempre esistito, lui invece purtroppo è nato un certo anno.
Dobbiamo rassegnarci, noi e i figli dei nostri figli e oltre, a vederlo per sempre candidato alla presidenza del consiglio. Speriamo solo candidato, ma non eletto. Dipenderà da noi e dai figli dei nostri figli.
Una proposta però gliela farei al Berlusca: noi gli riconosciamo l’eternità, ma lui si toglie dai coglioni per sempre.
18 agosto 2004
Il miracolo
Cinema in villa 2004 – Martina Franca (Taranto) – 1° film
«Hai visto Dio? Allora sei scemo pure tu». E’ una battuta, rivolta al protagonista, che potrebbe essere una chiave di volta per una possibile lettura del film Il miracolo di Edoardo Winspeare.
I miracoli non sono quelli soprannaturali, ma possono avverarsi nella vita quotidiana fatti dall’amore, dall’amicizia, dalla tolleranza, dall’accettazione reciproca. La Luce non è quella che ci colpisce da fuori, ma è dentro ognuno di noi e ci fa vedere all’improvviso cose mai pensate e forse mai volute. Dio non è fuori di noi, ma è dentro di noi e tutti potremmo vederlo.
Il film è stato presentato, con scarso successo, lo scorso anno alla Mostra del Cinema di Venezia. Winspeare, a dispetto del nome, è sempre vissuto in Puglia, terra che ama e che mostra nei suoi film. Il miracolo è stato girato interamente a Taranto, la città dei fumi avvelenati e portatori di morte dell’Ilva (già Italsider) dai quali nessun miracolo riesce a liberarci. Ma è anche la città dalla luce incantevole che dall’alba al tramonto colora il suo mare.
Parte della critica non ha accolto con favore questo film, ma per fortuna non sono i critici a fare i film. A me il film è piaciuto molto, e non solo perché sono pugliese. Fra gli attori io assegno la palma a Stefania Casciaro, che interpreta il personaggio di Cinzia, ragazza abbandonata e disadattata che vive nella solitudine, ma che infine sarà miracolata dall’amore e dall’amicizia del piccolo santo protagonista del film.
Il film è stato il primo di una piccola rassegna, intitolata “Cinema in villa”, presentata a Martina Franca in provincia di Taranto, organizzata con grande merito e competenza dal critico cinematografico Gianluca Fumarola.
Trama
Tonio è un bambino di 12 anni. Un giorno viene investito da un'automobilista (Cinzia) che poi scappa spaventata senza prestargli soccorso. Prima di perdere i sensi Tonio vede una strana luce che cambierà la sua vita. Portato in ospedale si risveglia dal coma. Lì, aggirandosi per i corridoi e le stanze durante la notte, viene casualmente in contatto con un uomo in fin di vita: l'elettrocardiogramma sul monitor è una linea piatta, ma quando Tonio gli si avvicina e lo tocca, il suo cuore riprende il battito normale. Il nonno di un suo compagno di classe, terminale per un cancro allo stomaco, riprende a mangiare grazie alle sue visite. Le voci corrono e ben presto i media s'interessano al caso.
Cast Tecnico Artistico
Regia: Edoardo Winspeare
Sceneggiatura: Giorgia Cecere, Pierpaolo Pirone
Fotografia: Paolo Carnera
Scenografia: Sabrina Balestra
Costumi: Maria Giovanna Caselli
Montaggio: Luca Benedetti
Musica: Officina Zoé
Prodotto da: Maurizio Tini (Italia, 2003)
Durata: 93'
Distribuzione cinematografica: 01 Distribution
Personaggi e Interpreti
Tonio: Claudio D'Agostino
Cinzia: Stefania Casciaro
Pietro: Carlo Bruni
Annalisa: Anna Ferruzzo
Nonno: Angelo Gamarro
Sarino: Rosario Sambito
Giornalista: Luca Cirasola
Masi: Frank Crudele
Madre di Cinzia: Celeste Cacciaro
«Hai visto Dio? Allora sei scemo pure tu». E’ una battuta, rivolta al protagonista, che potrebbe essere una chiave di volta per una possibile lettura del film Il miracolo di Edoardo Winspeare.
I miracoli non sono quelli soprannaturali, ma possono avverarsi nella vita quotidiana fatti dall’amore, dall’amicizia, dalla tolleranza, dall’accettazione reciproca. La Luce non è quella che ci colpisce da fuori, ma è dentro ognuno di noi e ci fa vedere all’improvviso cose mai pensate e forse mai volute. Dio non è fuori di noi, ma è dentro di noi e tutti potremmo vederlo.
Il film è stato presentato, con scarso successo, lo scorso anno alla Mostra del Cinema di Venezia. Winspeare, a dispetto del nome, è sempre vissuto in Puglia, terra che ama e che mostra nei suoi film. Il miracolo è stato girato interamente a Taranto, la città dei fumi avvelenati e portatori di morte dell’Ilva (già Italsider) dai quali nessun miracolo riesce a liberarci. Ma è anche la città dalla luce incantevole che dall’alba al tramonto colora il suo mare.
Parte della critica non ha accolto con favore questo film, ma per fortuna non sono i critici a fare i film. A me il film è piaciuto molto, e non solo perché sono pugliese. Fra gli attori io assegno la palma a Stefania Casciaro, che interpreta il personaggio di Cinzia, ragazza abbandonata e disadattata che vive nella solitudine, ma che infine sarà miracolata dall’amore e dall’amicizia del piccolo santo protagonista del film.
Il film è stato il primo di una piccola rassegna, intitolata “Cinema in villa”, presentata a Martina Franca in provincia di Taranto, organizzata con grande merito e competenza dal critico cinematografico Gianluca Fumarola.
Trama
Tonio è un bambino di 12 anni. Un giorno viene investito da un'automobilista (Cinzia) che poi scappa spaventata senza prestargli soccorso. Prima di perdere i sensi Tonio vede una strana luce che cambierà la sua vita. Portato in ospedale si risveglia dal coma. Lì, aggirandosi per i corridoi e le stanze durante la notte, viene casualmente in contatto con un uomo in fin di vita: l'elettrocardiogramma sul monitor è una linea piatta, ma quando Tonio gli si avvicina e lo tocca, il suo cuore riprende il battito normale. Il nonno di un suo compagno di classe, terminale per un cancro allo stomaco, riprende a mangiare grazie alle sue visite. Le voci corrono e ben presto i media s'interessano al caso.
Cast Tecnico Artistico
Regia: Edoardo Winspeare
Sceneggiatura: Giorgia Cecere, Pierpaolo Pirone
Fotografia: Paolo Carnera
Scenografia: Sabrina Balestra
Costumi: Maria Giovanna Caselli
Montaggio: Luca Benedetti
Musica: Officina Zoé
Prodotto da: Maurizio Tini (Italia, 2003)
Durata: 93'
Distribuzione cinematografica: 01 Distribution
Personaggi e Interpreti
Tonio: Claudio D'Agostino
Cinzia: Stefania Casciaro
Pietro: Carlo Bruni
Annalisa: Anna Ferruzzo
Nonno: Angelo Gamarro
Sarino: Rosario Sambito
Giornalista: Luca Cirasola
Masi: Frank Crudele
Madre di Cinzia: Celeste Cacciaro
17 agosto 2004
In cerca di Dio
Sarà moda o bisogno reale? O solo desiderio di fuggire dalla normalità e dalla banalità. La domanda di religiosità è molto forte, accomuna cattolici e non, credenti e non.
In Italia la percentuale di quelli che si dichiarano cattolici praticanti è salita dal 33 al 38 per cento. Molti di questi vanno a messa tutte le domeniche.
I luoghi sacri sono meta di molti pellegrini. Santiago di Compostela in Spagna, Lourdes in Francia, Roma in Italia e tantissimi altri. Forte è la commistione del sacro con il profano. La media giornaliera dei pellegrini che partono a piedi da Roncisvalle per andare a Campostela è di quasi 700; di giorno si cammina nel massimo silenzio, ma la sera i viaggiatori di tutti i continenti si riuniscono in una specie di net café per una chat mondiale.
Per il santuario della Madonna del Divino Amore, ai Castelli romani, ogni sabato a mezzanotte dal Circo Massimo partono molte migliaia di pellegrini, che imboccano la via Appia ed arrivano all’alba; partecipano italiani ed extracomunitari: etiopi, eritrei, filippini, latinoamericani.
Il santuario mariano di Lourdes è frequentato da 6 milioni di visitatori l’anno.
Altrettanti pellegrini richiama il santuario di padre Pio a San Giovanni Rotondo.
Altro luogo di pellegrinaggio è Taizé in Francia, dove affluiscono credenti e non credenti, cattolici e protestanti.
La religiosità non è più stanziale ma in movimento. Non si proviene più dalle parrocchie ma dai movimenti. I santi più amati, oltre San Pio da Pietralcina, sono madre Teresa di Calcutta, papa Giovanni XXIII, Santa Teresa del Bambino Gesù; San Francesco di Assisi è un santo antico, ma sempre modernizzato, è un santo acclamato da pacifisti, ambientalisti, no global, è popolare anche tra i musulmani.
Contraltare a questi movimenti religiosi sono le sette di Satana, ma è tutta un’altra storia.
In Italia la percentuale di quelli che si dichiarano cattolici praticanti è salita dal 33 al 38 per cento. Molti di questi vanno a messa tutte le domeniche.
I luoghi sacri sono meta di molti pellegrini. Santiago di Compostela in Spagna, Lourdes in Francia, Roma in Italia e tantissimi altri. Forte è la commistione del sacro con il profano. La media giornaliera dei pellegrini che partono a piedi da Roncisvalle per andare a Campostela è di quasi 700; di giorno si cammina nel massimo silenzio, ma la sera i viaggiatori di tutti i continenti si riuniscono in una specie di net café per una chat mondiale.
Per il santuario della Madonna del Divino Amore, ai Castelli romani, ogni sabato a mezzanotte dal Circo Massimo partono molte migliaia di pellegrini, che imboccano la via Appia ed arrivano all’alba; partecipano italiani ed extracomunitari: etiopi, eritrei, filippini, latinoamericani.
Il santuario mariano di Lourdes è frequentato da 6 milioni di visitatori l’anno.
Altrettanti pellegrini richiama il santuario di padre Pio a San Giovanni Rotondo.
Altro luogo di pellegrinaggio è Taizé in Francia, dove affluiscono credenti e non credenti, cattolici e protestanti.
La religiosità non è più stanziale ma in movimento. Non si proviene più dalle parrocchie ma dai movimenti. I santi più amati, oltre San Pio da Pietralcina, sono madre Teresa di Calcutta, papa Giovanni XXIII, Santa Teresa del Bambino Gesù; San Francesco di Assisi è un santo antico, ma sempre modernizzato, è un santo acclamato da pacifisti, ambientalisti, no global, è popolare anche tra i musulmani.
Contraltare a questi movimenti religiosi sono le sette di Satana, ma è tutta un’altra storia.
16 agosto 2004
La berlusconite
Massimo Riva sul settimanale L’espresso n. 33/2004 continua a metterci in guardia dal pifferaio di Arcore. Sono pienamente d’accordo con Riva e faccio mio quello che lui scrive e che qui sintetizzo.
Nubi sempre più nere si allungano sulla finanza pubblica dopo tre anni di governo Berlusconi. A dispetto della situazione economica pesante e negativa, Berlusconi non smette di sfoggiare i suoi sorrisi a 64 denti e continua a dire che taglierà le tasse. Impermeabile a realtà e verità, mentre continua a far salire la pressione fiscale, insiste nel dire che lui mai ha messo e mai metterà le mani nelle tasche degli italiani.
Non è il primo venditore di fumo che compare sulla scena politica italiana, ma ciò che particolarmente allarma della propaganda berlusconiana è che essa ha fatto breccia in larghe fasce della società, diffondendovi una pericolosa forma di allucinazione politica che porta a perdere il contatto con la realtà, a credere nelle panzane miracolistiche, a cullarsi in sogni prodigiosi. Questa sindrome infettiva merita il nome di “berlusconite”.
Siamo di fronte, con le scemenze a ruota libera, a una demagogica opera di diseducazione di massa che ricorda precedenti inquietanti: il Mussolini degli anni Trenta. Con gli aggiornamenti dovuti ai tempi nuovi, si propone così lo stesso problema: come riportare alla logica della ragione e della realtà quei tanti, troppi, italiani che si sono lasciati incantare dal pifferaio di Arcore.
Nubi sempre più nere si allungano sulla finanza pubblica dopo tre anni di governo Berlusconi. A dispetto della situazione economica pesante e negativa, Berlusconi non smette di sfoggiare i suoi sorrisi a 64 denti e continua a dire che taglierà le tasse. Impermeabile a realtà e verità, mentre continua a far salire la pressione fiscale, insiste nel dire che lui mai ha messo e mai metterà le mani nelle tasche degli italiani.
Non è il primo venditore di fumo che compare sulla scena politica italiana, ma ciò che particolarmente allarma della propaganda berlusconiana è che essa ha fatto breccia in larghe fasce della società, diffondendovi una pericolosa forma di allucinazione politica che porta a perdere il contatto con la realtà, a credere nelle panzane miracolistiche, a cullarsi in sogni prodigiosi. Questa sindrome infettiva merita il nome di “berlusconite”.
Siamo di fronte, con le scemenze a ruota libera, a una demagogica opera di diseducazione di massa che ricorda precedenti inquietanti: il Mussolini degli anni Trenta. Con gli aggiornamenti dovuti ai tempi nuovi, si propone così lo stesso problema: come riportare alla logica della ragione e della realtà quei tanti, troppi, italiani che si sono lasciati incantare dal pifferaio di Arcore.
15 agosto 2004
Moana Pozzi
Uscirà a metà settembre un libro postumo di Moana Pozzi, intitolato Il diario.
Moana che aveva frequentato le elementari dalle suore Orsoline, il liceo scientifico dai Padri Scolopi e aveva studiato chitarra classica al Conservatorio, a 14 anni scopre il sesso, ma poi divenuta pornostar teorizzò che la penetrazione è apprezzabile come fornitrice di piacere solo dopo aver compiuto i 17 anni.
Collezionò flirt e passioni di alto livello mondano, personaggi che lei citò per nome e cognome nel suo libro La filosofia di Moana: Luciano De Crescenzo, Marco Tardelli, Renzo Arbore, Massimo Troisi, Francesco Nuti, Nicola Pietrangeli, Roberto Falcao. Ma non disdegnava di farsi accarezzare nuda, nei suoi spettacoli teatrali, da spettatori qualunque.
Era talmente forte il richiamo del sesso che dopo aver girato metri e metri di pellicola in un’orgia con quattro maschi, corre in bagno «a farmi scopare appoggiata a un lavandino» con il più attraente dei quattro.
Nella vita reale, fuori dal porno, confessava di amare leggere scrittori come «Moravia, Kundera, Poe, Yourcenar, Anais Nin, Burroughs».
Nella sua casa amava circondarsi con oggetti di arte sacra, inginocchiatoi, acquasantiere; timida e imbarazzata nelle conferenze stampa con i giornalisti, diceva: «Mi sento molto più a mio agio quando sono in palcoscenico e mi esibisco nuda». Diceva di credere in Dio e nella vita dopo la morte, «immagino il Paradiso come un posto di campagna con tanti alberi. Penso che avremo vicino le persone a cui abbiamo voluto bene e che il tempo non esisterà», ma nello stesso tempo ti invitava a vivere «come se dovessi morire domani e pensa come se non dovessi morire mai». Lei è morta dieci anni fa, all’età di 33 anni, in un ospedale di Lione per un cancro al fegato. Moana Pozzi è stata definita in tanti modi, eccone uno: «Una Jessica Rabbit in polpa, che pratica fellatio, cunnilingus e ogni genere di coito, davanti alla macchina da presa o sui palcoscenici a luci rosse, senza perdere la naturale eleganza che le viene dalla nascita buona borghese». Moana è stata considerata un simbolo per i suoi tempi, ma oggi “l’estremo” da lei praticato si è in pratica trasferito nel costume corrente.
Moana che aveva frequentato le elementari dalle suore Orsoline, il liceo scientifico dai Padri Scolopi e aveva studiato chitarra classica al Conservatorio, a 14 anni scopre il sesso, ma poi divenuta pornostar teorizzò che la penetrazione è apprezzabile come fornitrice di piacere solo dopo aver compiuto i 17 anni.
Collezionò flirt e passioni di alto livello mondano, personaggi che lei citò per nome e cognome nel suo libro La filosofia di Moana: Luciano De Crescenzo, Marco Tardelli, Renzo Arbore, Massimo Troisi, Francesco Nuti, Nicola Pietrangeli, Roberto Falcao. Ma non disdegnava di farsi accarezzare nuda, nei suoi spettacoli teatrali, da spettatori qualunque.
Era talmente forte il richiamo del sesso che dopo aver girato metri e metri di pellicola in un’orgia con quattro maschi, corre in bagno «a farmi scopare appoggiata a un lavandino» con il più attraente dei quattro.
Nella vita reale, fuori dal porno, confessava di amare leggere scrittori come «Moravia, Kundera, Poe, Yourcenar, Anais Nin, Burroughs».
Nella sua casa amava circondarsi con oggetti di arte sacra, inginocchiatoi, acquasantiere; timida e imbarazzata nelle conferenze stampa con i giornalisti, diceva: «Mi sento molto più a mio agio quando sono in palcoscenico e mi esibisco nuda». Diceva di credere in Dio e nella vita dopo la morte, «immagino il Paradiso come un posto di campagna con tanti alberi. Penso che avremo vicino le persone a cui abbiamo voluto bene e che il tempo non esisterà», ma nello stesso tempo ti invitava a vivere «come se dovessi morire domani e pensa come se non dovessi morire mai». Lei è morta dieci anni fa, all’età di 33 anni, in un ospedale di Lione per un cancro al fegato. Moana Pozzi è stata definita in tanti modi, eccone uno: «Una Jessica Rabbit in polpa, che pratica fellatio, cunnilingus e ogni genere di coito, davanti alla macchina da presa o sui palcoscenici a luci rosse, senza perdere la naturale eleganza che le viene dalla nascita buona borghese». Moana è stata considerata un simbolo per i suoi tempi, ma oggi “l’estremo” da lei praticato si è in pratica trasferito nel costume corrente.
14 agosto 2004
Le olimpiadi dello spreco
La cerimonia inaugurale dei giochi olimpici di Atene è stata la più costosa di tutti i tempi: sono stati spesi 120 milioni di euro. Uno schiaffo alla povertà della stragrande maggioranza dei 201 paesi partecipanti. Chissà cosa direbbe il barone De Coubertin. Sarebbe bastata una spartana sfilata delle squadre delle nazioni partecipanti, l’accensione della fiaccola olimpica e la dichiarazione dell’inizio dei giochi.
Tutti quei soldi buttati al vento nel giro di poche ore avrebbero potuto essere utilizzati proficuamente per costruire impianti sportivi nei paesi poveri che ne sono carenti.
Il kitsch ha imperato per tutta la lunghissima cerimonia, quasi un videogioco scadente. Sei ore per riempire d’acqua tutta la parte centrale della pista, tre soli minuti per svuotarla, 22.500 chili di scenografie coordinate da 72 computer, 1.888 luci, 370 casse acustiche per 859.900 watt, 2.428 esseri umani dipinti, travestiti, seminudi, tipo la donna incinta che entra in acqua: tutto sfarzo inutile.
Più kitsch ancora quella specie di immenso cannone, che funge da fiaccola.
Spettacolo complicatissimo e freddo.
Altra cifra spropositata è stata spesa per l’apparato di sicurezza, che è costato un miliardo e 700 mila euro. E queste sono solo piccole cifre rispetto al costo complessivo di tutta l’olimpiade. Ma per fortuna che ci sono le gare.
Tutti quei soldi buttati al vento nel giro di poche ore avrebbero potuto essere utilizzati proficuamente per costruire impianti sportivi nei paesi poveri che ne sono carenti.
Il kitsch ha imperato per tutta la lunghissima cerimonia, quasi un videogioco scadente. Sei ore per riempire d’acqua tutta la parte centrale della pista, tre soli minuti per svuotarla, 22.500 chili di scenografie coordinate da 72 computer, 1.888 luci, 370 casse acustiche per 859.900 watt, 2.428 esseri umani dipinti, travestiti, seminudi, tipo la donna incinta che entra in acqua: tutto sfarzo inutile.
Più kitsch ancora quella specie di immenso cannone, che funge da fiaccola.
Spettacolo complicatissimo e freddo.
Altra cifra spropositata è stata spesa per l’apparato di sicurezza, che è costato un miliardo e 700 mila euro. E queste sono solo piccole cifre rispetto al costo complessivo di tutta l’olimpiade. Ma per fortuna che ci sono le gare.
13 agosto 2004
Sottoscrizione per la casa di Gramsci
Ho sempre considerato le uscite di Francesco Cossiga delle sbruffonate. Ma questa volta no. L’allarme che lancia e la proposta che fa le condivido appieno. Spero che non sia un’altra delle sue provocazioni. Ma se quello che dice è vero, al di là delle sue intenzioni, è una cosa molto seria.
La casa dove a Torino visse, pensò, scrisse e operò politicamente Antonio Gramsci sta per essere trasformata in albergo. «Se si consumerà lo scempio di una destinazione alberghiera data con il permesso delle autorità a quello che dovrebbe essere un monumento storico, vuol dire che questo Paese sta perdendo ormai il senso dei valori più profondi ed attuali della sua identità nazionale: civile, culturale e politica».
Condivido appieno questa affermazione di Cossiga, che si auspica invece che la casa di Gramsci diventi un museo e un centro di studio. E per raggiungere questo obiettivo lancia un appello a Stato, Regione, Provincia, Comune o a qualche “ricco signore” affinché trovino i soldi per acquistare quella casa. E si rivolge anche a l’Unità, il giornale fondato da Antonio Gramsci, affinché apra una sottoscrizione. Sono pronto a dare il mio contributo, non da “ricco signore” ma da povero dipendente statale. Chiedo però che i soldi che verranno raccolti vengano usati solo ed elusivamente per acquistare la casa di Gramsci e per eventuali successive iniziative in essa; altrimenti vengano restituiti a chi li ha dati. Ho tristi esperienze di soldi da me dati per un fine e poi utilizzati per altro.
La casa dove a Torino visse, pensò, scrisse e operò politicamente Antonio Gramsci sta per essere trasformata in albergo. «Se si consumerà lo scempio di una destinazione alberghiera data con il permesso delle autorità a quello che dovrebbe essere un monumento storico, vuol dire che questo Paese sta perdendo ormai il senso dei valori più profondi ed attuali della sua identità nazionale: civile, culturale e politica».
Condivido appieno questa affermazione di Cossiga, che si auspica invece che la casa di Gramsci diventi un museo e un centro di studio. E per raggiungere questo obiettivo lancia un appello a Stato, Regione, Provincia, Comune o a qualche “ricco signore” affinché trovino i soldi per acquistare quella casa. E si rivolge anche a l’Unità, il giornale fondato da Antonio Gramsci, affinché apra una sottoscrizione. Sono pronto a dare il mio contributo, non da “ricco signore” ma da povero dipendente statale. Chiedo però che i soldi che verranno raccolti vengano usati solo ed elusivamente per acquistare la casa di Gramsci e per eventuali successive iniziative in essa; altrimenti vengano restituiti a chi li ha dati. Ho tristi esperienze di soldi da me dati per un fine e poi utilizzati per altro.
12 agosto 2004
Forno della masseria Antoglia
11 agosto 2004
Fay Wray – La ragazza di King Kong
Fay Wray, la bella di cui si innamorò King Kong, è morta all'età di 96 anni domenica notte nel suo appartamento sulla Quinta Avenue di Manhattan. La Wray era nata nel 1907 in una fattoria dell'Alberta, in Canada e si era trasferita a Los Angeles ancora adolescente con la madre, dopo la separazione dei genitori.
Ha interpretato più di 100 film. Ma la celebrità arrivò con il mitico King Kong del 1933 diretto da Merian Cooper e Ernest B. Schoedsack. Inorridita e affascinata dall’enorme bestione, passerà con lui dalla giungla alla cima dell’Empire State Building di New York, prima che gli aeroplani da guerra glielo ammazzino. Ma King Kong, e l'esile Fay lo sapeva, era una bestia ferita, capace di provare sentimenti e di riconoscere la bellezza. Le pose procaci e le infinite letture trasversali la innalzano a figura simbolo della storia del cinema facendo dimenticare tutte le altre pellicole da lei girate. Era la stessa Wray, infatti, a riconoscere che la sua interpretazione in King Kong era stata la più importante di tutta la sua carriera cinematografica: "Con gli anni ho capito che King Kong è diventata una cosa spirituale per molti e anche per me", aveva rivelato in un'intervista nel 1993.
Rifiutò anche una piccola parte offertale nel 1976 nel remake di King Kong con Jessica Lange. "Il film che ho interpretato io - aveva risposto la Wray - era così straordinario, così pieno di immaginazione e effetti speciali, che non potrà mai essere eguagliato".
Prima di girare King Kong, la Wray aveva lavorato con registi del calibro di Erich Von Stroheim (Sinfonia nuziale) e David Sterberg (Le mazzate).
Dopo questi ruoli ne interpretò altri venti da protagonista al fianco di William Powell, Richard Arlen e Gary Cooper.
10 agosto 2004
Vacanze a luci rosse
Non so quanti di noi, che scriviamo nei blog o li leggiamo, possono permettersi una vacanza a luci rosse. Forse nessuno. E allora consentitemi un simile viaggio, anche se piccolo, con la fantasia; e voi seguitemi, non costa niente.
I locali con le caratteristiche cui accennerò esistono veramente, ma non li nominerò, non voglio fare propaganda gratuita. In questi locali l’erotismo e la sensualità sono più importanti della conversazione e dei cocktail.
Se abbiamo 6 mila euro e una momentanea “amnesia” sul valore dei soldi possiamo passare un’intera notte, previo appuntamento telefonico, in un locale con una pista da ballo di 4 mila posti, ma anche con un ballatoio da cui si accede a dieci mini-suite in stile marocchino dove possiamo attuare qualsiasi fantasia erotica con una compagnia stimolante ed accondiscendente.
Altro locale in cui fare una puntatina, ma solo il lunedì notte, è un megaclub da 13 mila persone dove consentirci una “manumission”. Verso le 3 di notte il palco diventa quasi un set di una pellicola hard core, con sesso esplicito (anche molto duro) in diretta. Il pubblico si lascia coinvolgere.
Le donne potranno andare nel locale per scambisti più grande d’Europa, di proprietà di Jessica Rizzo. Qui il sesso si fa davvero.
Ma con la fantasia si può viaggiare anche in internet, e qui le vie sono infinite.
8 agosto 2004
Investire sulla creatività
Basta con i politici di professione. O meglio basta con quello che fanno e dicono i politici di professione. Dopo il disastro della politica di destra di Berlusconi, nella sinistra si ritorna a parlare di programma.
Giuliano Amato su la Repubblica ha detto la sua, suscitando varie reazioni. A me interessano quelle provenienti dalla cosiddetta società civile, che è l’anima di ogni possibile cambiamento. Roberto Cotroneo su l’Unità sta provocando le risposte di personalità appartenenti a quest’area. Cominciando da Domenico De Masi, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione alla Sapienza di Roma. E De Masi va giù duro contro Giuliano Amato, che «è un uomo intelligente e stimabile; ma il suo articolo su Repubblica è l’articolo di un burocrate noioso». Bisogna avere più coraggio, il personale politico della sinistra deve essere sì integerrimo ma anche creativo. Il programma della sinistra non può più interessarsi solo degli operai che fanno lavoro manuale e che rappresentano al massimo il 20 per cento della popolazione, ma deve occuparsi anche e di più dei lavoratori intellettuali. Non solo lotte sindacali, pensioni, debito pubblico, ma movimenti, aggregazioni, flessibilità, creatività. «Non viviamo più di catene di montaggio e di meccanismi ripetitivi. E il lavoro creativo rende liberi. E dunque felici».
Evviva De Masi, sono d’accordissimo con te.