16 marzo 2020

Lo Spirito e altri briganti, di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli

Del brigantaggio postunitario è interessato, oltre al Sud, il territorio di tutta l’Italia; in questa raccolta di racconti è interessato l’Appenino tosco emiliano. Il maresciallo Benedetto Santovito, nato in un paesino del Sud, il salernitano Castellabate che era attaccato alla montagna, fu trasferito, durante il fascismo, da Bologna in un paese della Toscana; la caserma aveva come appuntato Cotigno, nato a Morano Calabro in provincia di Cosenza.
    L’ultimo degli otto racconti, che va da pagina 233 alla pagina 280, porta il titolo “Lo Spirito e altri briganti” e dà il titolo al libro. La parola “brigante” assume un significato particolare, contrapposta a “bandito”. I banditi, che troviamo alla fine del Cinquecento, erano più o meno come i Bravi manzoniani, mentre i briganti, che troviamo attorno al 1860 e negli anni successivi, pur forse diversi da quelli dell’Italia meridionale, erano spinti tra l’altro da condizioni di vita disperate, fame, reazione violenta a sopraffazioni, renitenza alla leva.
   Il racconto precedente “Un velo grigiomorte” collega il brigantaggio alla resistenza.
    Ogni racconto è introdotto dal capitolo intitolato “Dai colloqui con Benedetto Santovito”, in cui il maresciallo racconta della sua vita.
    Lo Spirito era il soprannome del brigante Gaetano Prosperi, che svaniva come uno spirito alle ricerche dei carabinieri. Eppure c’era, scrivono Guccini e Macchiavelli, nascosto da qualche parte, e si faceva vivo per assaltare la posta, derubare i viaggiatori o i corrieri del governo che trasportavano le paghe per gli operai, esigere un contributo dai possidenti… Poi di nuovo via, a imbucarsi dove nessuno riusciva a stanarlo.
    Gli altri briganti, di cui si raccontavano le storie in osteria o nelle stalle, erano Luigi Demetrio Bettinelli, soprannominato Principino, Luciano Fioravanti, Domenico Biagini, detto il Curato, e Domenico Tiburzi, detto il Domenichino. I quattro briganti s’incontrarono e decisero di mettersi assieme. Ebbero tutti una morte violenta.
    Ma nel racconto si narra la storia di Spirito, che morì a quarant’anni come il padre, il nonno e il bisnonno. L’ultimo nato da lui l’aveva voluto chiamare Brennero, ma per tutti diventò Ciarèin per gli occhi azzurri che aveva; per lui Gaetano aveva sognato e sperato una vita diversa dalla sua. Ma non fu così. La madre si era ammazzata per la disperazione. Brennero-Ciarèin sparì di casa a dodici anni e per molto tempo non se n’ebbe più notizia. Tornò dopo tanti anni dalla Francia, e una gelata mattina d’inverno lo trovarono morto nella neve.
    Gaetano divenne brigante dopo quanto successe con i caporali della ferrovia. Armato di fucile si aggirò per la montagna, facendo vari soprusi. Finché venne ucciso dai carabinieri.
    Al piccolo Ciarèin sarebbe piaciuto diventare un uomo come lo Spirito. Per molto tempo si rifiutò di parlare. Poi sparì di casa.

Francesco Guccini – Loriano Macchiavelli, Lo Spirito e altri briganti, Mondadori Editore, Milano 2002, pp. 283

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