16 settembre 2016

Brigante se more, di Eugenio Bennato



Molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni, le loro rivoluzioni, ma la libertà non è cambiare padrone. Queste parole di Carmine Crocco sono riprodotte nella quarta di copertina del libro di Eugenio Bennato.
     La libertà di cui parla Bennato è quella sbandierata nel 1860 dai piemontesi invasori del Regno delle Due Sicilie; per quella falsa libertà è giusto lanciare una bestemmia.
     La ballata “Brigante se muore” fu scritta da Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò nel 1979, per i titoli di testa dello sceneggiato televisivo “L’eredità della Priora” in sette puntate di Anton Giulio Majano andato in onda su Rai Uno nel 1980, basato sull'omonimo romanzo di Carlo Alianello, ambientato in Basilicata durante il periodo del brigantaggio postunitario.
     A questa canzone è toccata un’avventura particolare ed il libro tenta di raccontarla. Scritta da Bennato e D’Angiò è diventata una canzone di successo con le modalità tipiche della cultura popolare, non condizionata dalla pubblicità e dalle leggi del mercato, e tralascia il riferimento dell’autore vero per far posto alla figura immateriale dell’“autore anonimo”. E così ci ritroviamo che i ragazzi del duemila la cantino convinti che i loro antenati la cantassero nel 1861, molto prima quindi che venisse scritta. Questo processo, che di solito avviene in tempi molto lunghi, per Bennato è avvenuto rapidamente.
     Sorte ancor peggiore è toccata a due versi della canzone. Sono stati cambiati e contraffatti, imbruttendo il canto. L’originale «nun ce ne fotte d’o rre Burbone» viene cambiato in «nuje cumbattimmo p’o Rre Burbone»; l’ultimo verso «e na bestemmia pe sta libertà» diventa «e na preghiera pe sta libertà». Lo sconosciuto manipolatore non capisce che nell’espressione «nun ce ne fotte…» non c’è un intento antiborbonico ma la dichiarata volontà di non affrontare la questione dinastica e che la parola «bestemmia» si intende rivolgerla alla falsa libertà imposta dai piemontesi.
     I briganti combattevano con ardore spontaneo e non per la paga né per l’obbligo di leva, pur nella fedeltà alla causa dinastica; quest’ultima non costituiva la componente principale della loro lotta. E fu questo anche il limite, scrive Bennato, che indebolì l’insorgenza, pose Crocco in contrasto con Borges e indebolì il movimento. Borges infatti fu fucilato e Crocco invecchiò nelle carceri dei Savoia.
     Per i titoli di coda dello sceneggiato “L’eredità della Priora” Bennato scrisse “Vulesse addeventare nu brigante”. Un ritmo incalzante di tarantella per la musica, e un espediente poetico tipicamente popolare per il testo. Anche questa canzone ha subito lo scempio della disinformazione. Eugenio Bennato passa lentamente e inesorabilmente da autore reale ad autore anonimo. Questo è evidentemente, dice ancora Bennato, il prezzo da pagare quando si scrive un brano che diventa best-seller, non nella musica commerciale ma nel circuito alternativo della musica di strada.
     Altre canzoni scritte da Eugenio Bennato e/o Carlo D’Angiò per “L’eredità della Priora” sono: Canzone per Juzzella, Basilicata, Quanno sona la campana, Moresca terza.
     Il sottotitolo che il libro porta è “Viaggio nella musica del Sud”. Bennato analizza alcune sue composizioni e quelle di altri musicisti meridionali, a cominciare da Roberto De Simone. È riportata anche la ballata composta dagli Stormy Six, storico gruppo musicale di area milanese, su Pontelandolfo.
     L’adesione all’Unità era stata una farsa sottoscritta da pochissimi, il popolo nella sua maggioranza stava dall’altra parte. Il fatto storico di quegli anni fu l’insorgenza meridionale contro l’invasione dei Savoia. In quel fatto i due temi del legittimismo e della rivendicazione sociale furono entrambi presenti, con intensità e peso variabili.
     Nel libro vien fatto anche un raffronto tra i contadini del Sud e gli indiani d’America, per i fatti che avvenivano contemporaneamente negli stessi anni successivi al 1860.
     Trent’anni dopo “Brigante se muore”, Bennato nel 2009 ha scritto un’altra canzone che si richiama a quei fatti briganteschi: “Ninco Nanco”. Si prende spunto da due fotografie, fatte scattare dai piemontesi, dopo la sua uccisione a tradimento. Sono foto che ci consegnano, scrive Bennato, «un personaggio eccezionale, un eroe sconfitto che col sorriso appena accennato e scolpito sul volto ci vuol comunicare la grandezza di chi non è morto inutilmente».
     Il libro si chiude con la canzone “Il sorriso di Michela”, scritta da Bennato nel 2010. Si tratta della brigantessa Michelina Di Cesare, uccisa dai piemontesi nel 1868. La fotografia, cui si fa riferimento, molto probabilmente non raffigura una brigantessa reale (e quindi impropriamente viene identificata con Michelina Di Cesare), ma una modella messa in posa dal fotografo nel suo atelier. Certamente di Michelina è invece (come risulta dalla scritta posta sul retro) la foto a seno nudo fatta scattare dai piemontesi dopo l’uccisione della brigantessa.
     Nel successivo libro scritto da Bennato nel 2013 “Ninco Nanco deve morire”, edito da Rubbettino, che ricalca gli stessi argomenti di quello del 2010 che stiamo recensendo, l’ultimo capitolo è intitolato “I briganti del presente”. In esso si dice che i nuovi briganti oggi sono tanti. “Brigante se more” è il loro inno e il loro stile di vita è profondamente segnato dalla conoscenza della storia negata dei briganti.
     E i briganti di oggi, scrive Bennato, sono «imparentati ad altri briganti di altre latitudini, che lanciano da lontano istanze parallele. Dagli indignados di Spagna ai rivoluzionari del Chiapas del subcomandante Marcos in Messico, ai manifestanti di Seattle, ai diseredati del mondo tagliati fuori dal business monetario internazionale».
Rocco Biondi

Eugenio Bennato, Brigante se more, introduzione di Carlo D’Angiò, Coniglio Editore, Roma 2010, pp. 220

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