4 settembre 2016

Brigantaggio in Basilicata, di Giuseppe Pennacchia



Il libro è una sintesi della storia del brigantaggio, dagli inizi della presenza dell’uomo sulla terra agli anni prossimi al 1870, che segnano convenzionalmente la fine del grande brigantaggio postunitario. Libro utile per uno sguardo d’insieme sul fenomeno che, con alti e bassi, è sempre esistito. Man mano che ci si avvicina ai nostri tempi si parla sempre più dei briganti di Basilicata.
     Quando l’uomo, da raccoglitore diventa cacciatore, imita il comportamento degli animali predatori. Si passa dal lupo (simbolo della forza), alla volpe (simbolo dell’astuzia), al cane (amico dell’uomo pastore-allevatore e nemico dei razziatori-briganti). I briganti però, pur imitando principalmente i primi due animali, nel corso della storia verranno a distinguersi dalle altre tipologie di fuorilegge acquisendo “tratti di relativa nobiltà”. I briganti infatti saranno gli unici a “scrivere e possedere una storia”. Essi «sono riusciti a rappresentare frammenti di storia, anche per periodi non brevi, di una certa importanza e qualità, imponendosi per coraggio e fierezza, nella consapevolezza di appartenere ad una categoria sociale non irriverente e bastarda, ma figlia e simbolo di tradizioni antichissime, se non, in alcuni casi, addirittura nobili».
     Anche i briganti avevano le proprie divinità protettrici. Nel mondo greco si tratta dell’eterno adolescente Hermes e di Autolico, che possiede il potere magico di far sparire gli oggetti rubati e cambiare la forma degli animali che ha razziato. Presso i Romani abbiamo due figure femminili: Laverna, patrona anche della notte e dell’oltretomba, e Furina, preposta principalmente alle fonti ed alle acque.
     Si dà del brigante a chi si comporta con modi spavaldi, ma anche in un certo senso affascinanti, mitizzando il personaggio fino ad indicare colui “che ruba al ricco per dare al povero”. Il brigante spartisce in modo equo il frutto di grassazioni e ricatti, mantiene la parola data, assolve ai debiti, rispetta il capo e i suoi manutengoli ed amici, ma se tradisce viene eliminato. Può conseguire onori e ricchezze, e talvolta diventare famoso.
     Il brigantaggio può non essere molto distante da altre categorie sociali, anche da quelle considerate più alte, cui spesso furono contigue, se non proprio organiche. Non sarebbe possibile infatti scrivere una storia di semplici ladri o di assassini, se si fosse trattato soltanto di individui isolati, privi di consenso sul territorio.
     Il brigante fa giustizia dei torti, prende al ricco e aiuta il povero, non uccide se non per autodifesa o per giusta vendetta, non si distacca mai completamente dalla sua comunità, non è nemico del re, è amato e appoggiato dai suoi compaesani.
     Assai viva rimane ancora oggi la memoria dei briganti nelle comunità che li hanno espressi. Pennacchia cita vari esempi di questa memoria; tra essi le iniziative che svolgono a Villa Castelli in provincia di Brindisi, organizzate dall’associazione “Settimana dei Briganti - l’altra storia” che presiedo.
     Nel libro vengono descritte le gesta di briganti famosi che vanno dal periodo romano all’età moderna (Felix Bulla, Angelo del Duca detto Angiolillo); del periodo napoleonico: repubblica napoletana (Gerardo Curcio detto Sciarpa, Luca Scocozza), regno di Giuseppe Bonaparte (Nicola Abalsamo detto Pagnotta), regno di Gioacchino Murat (Rocco Buonuomo detto Scozzettino, Domenico Rizzi detto Taccone, Pasquale Lisanti detto Quagliarella). Nelle bande non mancavano ecclesiastici e borghesi.
     Nel periodo murattiano viene scatenata una repressione spietata ad opera del generale Manhès, consistente essenzialmente nel far troncare alle radici, con la forza, ogni forma di connivenza tra popolazioni e briganti.
     L’ultima parte del libro (circa un terzo) parla del periodo dell’Italia unita, che inizia il 1860. Protagonista assoluto è Carmine Crocco, che coordinava una grande massa di uomini, suddivisi in molte bande, ognuna delle quali aveva una zona di operazione e un capo; le bande più grandi erano composte da qualche centinaia di uomini. Fra questi capibanda abbiamo Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco, Giovanni Fortunato detto Coppa, Vito Vincenzo Di Gianni detto Tòtaro, Donato Tortora, Giuseppe Caruso detto Zi’ Peppe, che poi tradirà Crocco.
     Sulla falsariga di molti scrittori su Crocco, anche Pennacchia riporta come vero cognome Donatelli e come soprannome Crocco. Dal certificato di nascita invece il vero cognome di famiglia risulta essere Crocco.
     Le operazioni più grandi guidate da Crocco si svolsero a Ripacandida, Venosa, Melfi, Rionero e nell’Alta Irpinia.
     Tra Crocco e Borges, mandato nell’ex Regno delle Due Sicilie per fornire una direzione militare ed un chiaro indirizzo legittimista alla spontanea rivolta contadina guidata dai briganti, sorsero contrasti insanabili, che spinsero quest’ultimo ad abbandonare la Basilicata nel tentativo di raggiungere Roma. Ma Borges venne raggiunto dai piemontesi e fucilato a Tagliacozzo.
     La “legge Pica” diede inizio ufficialmente da parte piemontese alla legislazione eccezionale, che istituì i tribunali militari, le giunte provinciali per l’invio al domicilio coatto, l’autorizzazione a proclamare lo stato d’assedio. Questo provvedimento diede il colpo di grazia al movimento di ribellione.
     Crocco, dopo altri scontri con l’esercito piemontese, si costituì nell’agosto del 1864 nello Stato Pontificio e fu messo in carcere a Roma. Dopo l’annessione del 20 settembre 1870 dello Stato Pontificio al regno piemontese, Crocco fu trasferito in varie carceri italiane, finché nel 1872 fu processato a Potenza. Condannato al carcere a vita morì nel carcere di Portoferraio nell’isola d’Elba il 18 giugno 1905.
     Crocco dettò le sue memorie, al capitano medico Eugenio Massa, che furono pubblicate nel 1903.
     Le ultime pagine del libro di Pennacchia sono dedicate alle brigantesse, che seguivano a vario titolo i briganti uomini. Fra esse abbiamo Maria Rosa Marinelli, Maria Giovanna Tito, Maria Lucia Dinella, Filomena Cianciarulo, Giuseppina Vitale, Arcangela Cotugno, Elisabetta Blasucci, Mariateresa e Serafina Ciminelli, Angela Maria Consiglio, Maria Domenica Piturro.

Giuseppe Pennacchia, Brigantaggio in Basilicata, Edizioni Odisseo, Itri 2007, pp. 168

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