Anche il fumetto si è interessato del fenomeno del grande brigantaggio socio-politico, che ha coinvolto l’intero sud d’Italia negli anni immediatamente successivi all’unità imposta dai Savoia piemontesi; in pratica gli anni che vanno dal 1860 al 1870.
In quegli anni, al brigantaggio che dilagava nel Mezzogiorno, la popolazione intera fornisce uomini e viveri. Nei fatti il brigantaggio è una vera e propria guerra civile dei poveri contro i ricchi, fra i proprietari (galantuomini) e i proletari (cafoni). Le bande dei briganti sono composte, oltre che da contadini e braccianti, anche da soldati ex borbonici sbandati, ex garibaldini delusi, renitenti alla leva obbligatoria introdotta dalle leggi unitarie.
Il re Borbone Francesco II, che era stato cacciato dal trono del Regno delle due Sicilie, diviene automaticamente alleato dei contadini, finanzia la formazione dei comitati borbonici, assolda in qualche modo i briganti, promette la terra ai contadini. Ed allo stesso tempo tenta di organizzare la restaurazione borbonica nel sud d’Italia. L’ultimo serio tentativo di dare un indirizzo filoborbonico agli spontanei moti contadini viene fatto, alla fine del 1861, con l’ingaggio del generale spagnolo don José Borjes. Il fumetto di Alarico Gattia racconta ed illustra appunto questa avventura.
Borjes, al calare della notte del 13 settembre 1861, con appena una ventina di uomini, sbarca in Calabria. Dopo un percorso avventuroso e pericoloso, il 22 ottobre, nei pressi di Lagopesole in Lucania, si incontra con il capo della rivolta contadina: Carmine Crocco Donatelli. Tra i due non vi sarà mai simpatia. Rappresentano due mondi opposti e due modi diversi di vedere la situazione del sud. Borjes vorrebbe condurre una campagna in favore del legittimismo borbonico con onestà e coerenza militare. Crocco invece combatte una lotta di classe, lotta dei contadini contro tutti i proprietari terrieri, per una ridistribuzione delle ricchezze; consente il saccheggio come mezzo per approvvigionare i suoi uomini e loro famiglie. Crocco abbandona al suo destino Borjes, che l’8 dicembre viene catturato e fucilato dai bersaglieri piemontesi.
In questo contesto storico, nel fumetto, si inserisce la verosimile figura di Don Nicola Solinas, ricco possidente di idee liberali, che nutre una certa simpatia per Crocco e Borjes; ma che nei fatti, per salvare la sua pelle e l’onore di suo padre (che commerciava armi con i Borboni), porterà i soldati piemontesi sulle tracce di Borjes fino all’epilogo finale. Il fumetto si chiude con questo commento: «L’eco degli spari accompagnerà per sempre il giovane cavaliere [Don Nicola] che lentamente sta tornando alla sua terra tanto travagliata. Le sue speranze e le sue illusioni sono ormai le stesse dei diseredati e degli oppressi, della sua gente…». Ma questo, forse, è solo il desiderio dell’autore del fumetto. La storia ci dirà altro sul comportamento dei nobili e dei borghesi. Il loro mondo è altro rispetto a quello dei poveri. «Ci rivedremo a dicembre, a Napoli, per l’apertura della stagione al San Carlo», così Don Nicola saluta la nobile signorina Chiara Cantore che aveva salvata dai briganti. Idee più chiare aveva invece il suo colono Pizzicchio: «Ma cosa sanno di noi poveri cafoni i piemontesi che ora ci troviamo in casa? Ci guardano come fossimo selvaggi…». L’esercito piemontese non conosce la pietà… Chiunque venga trovato in possesso di un’arma è fucilato sul posto.
Lisa Baruffi nell’introduzione a L’uomo del Sud, intitolata Briganti e contadini, scrive che è impossibile stabilire il numero esatto dei morti, degli arrestati, dei deportati. Un giornale del 1863 calcola 18.000 fucilati e 14.000 incarcerati in un solo anno.
La spietata repressione del brigantaggio, da parte dei piemontesi, riuscirà infine a spezzare il legame che univa la popolazione e le bande armate. Conclude la Baruffi: «Verso la metà degli anni sessanta del secolo scorso, con la morte o l’arresto degli ultimi capibanda, il contadino meridionale non troverà altra soluzione alla sua miseria se non nella emigrazione».
Il fumetto di Alarico Gattia è un cartonato di grande formato (24x32 cm), di 56 pagine, pubblicato nel 1978 nella collana “Un uomo un’avventura” delle edizioni CEPIM di Milano, che avevano come direttore Sergio Bonelli. I disegni delle vignette sono accattivanti e riproducono spesso fotogarafie originali d'epoca (briganti in posa, ritratti di personaggi storici).
A suo modo questo fumetto contribuisce alla meritoria, e per noi necessaria, impresa di riscrivere la storia di quei tragici anni anche dalla parte dei vinti.
Allego tre link sul fumetto
http://www.ubcfumetti.com/uoa/15.htm
http://www.blogga.name/blog/yellow_baby/nostalgia/2005/11/21/luomo_del_sud
http://digilander.libero.it/trombealvento/altriillustrat/gattia.htm
Alarico Gattia, L'uomo del Sud, Edizioni CEPIM, Milano 1978, Collana "Un uomo un'avventura", n. 15, pp. 56
28 luglio 2007
22 luglio 2007
Festival del Libro - Cassano delle Murge (Bari)
Idea originale ed impegnativa quella di organizzare un festival del libro. Non una rassegna di canzonette o film, ma di libri. E’ risaputo e documentato lo scarso interesse che gli italiani hanno per la lettura. Ed allora un festival del libro va controcorrente. E’ grandemente meritorio tentare di portare in piazza la gente ad ascoltare la lettura di poesie o la presentazione di un libro. La scommessa è grande, ma pare che a Cassano delle Murge, in terra di Bari, stanno cominciando a vincerla. Sono già alla seconda edizione del Festival.
Ieri sera, sabato 21 luglio 2007, ho accompagnato l’amico Valentino Romano, affermato storico del brigantaggio meridionale, che presentava il suo ultimo libro: “Le brigantesse” - edito dalle Edizioni Controcorrente, libro che tra l’altro non è ancora uscito nelle librerie. La piazzetta antistante la biblioteca comunale si è affollata di gente che ha seguito con interesse e partecipazione. Numerosi sono stati gli interventi nel dialogo finale con l’autore.
Il brigantaggio è il tema principale del Festival di quest’anno. Oltre alla presentazione del libro del Romano, in programma vi è anche quella del libro di Raffaele Nigro: “Giustiziateli sul campo” - edito dalla Rizzoli, una degustazione di piatti tipici del periodo del brigantaggio, la narrazione delle imprese del bandito cassanese Servodio. Durante il periodo del Festival, inoltre, sono esposti presso la biblioteca comunale circa duecento libri e giornali appartenenti alla biblioteca personale dello scrittore Raffaele Nigro sul tema del brigantaggio.
A Cassano saranno ancora presenti, per presentare le loro opere, gli scrittori Ferdinando Boero, Gian Antonio Stella, Lorenzo Del Boca, Gianrico Carofiglio, Marco Brando, Giordano Bruno Guerri, Roberto Lorusso.
Il Festival del Libro è iniziato il 13 luglio e terminerà il 30 dello stesso mese. Creatore ed animatore dell’importante evento è Silvio Missoni, assessore alla Cultura del Comune di Cassano. Il Festival è stato organizzato dal Comune, in grande economia, con qualche contributo esterno. Esempio di soldi ben spesi.
Ieri sera, sabato 21 luglio 2007, ho accompagnato l’amico Valentino Romano, affermato storico del brigantaggio meridionale, che presentava il suo ultimo libro: “Le brigantesse” - edito dalle Edizioni Controcorrente, libro che tra l’altro non è ancora uscito nelle librerie. La piazzetta antistante la biblioteca comunale si è affollata di gente che ha seguito con interesse e partecipazione. Numerosi sono stati gli interventi nel dialogo finale con l’autore.
Il brigantaggio è il tema principale del Festival di quest’anno. Oltre alla presentazione del libro del Romano, in programma vi è anche quella del libro di Raffaele Nigro: “Giustiziateli sul campo” - edito dalla Rizzoli, una degustazione di piatti tipici del periodo del brigantaggio, la narrazione delle imprese del bandito cassanese Servodio. Durante il periodo del Festival, inoltre, sono esposti presso la biblioteca comunale circa duecento libri e giornali appartenenti alla biblioteca personale dello scrittore Raffaele Nigro sul tema del brigantaggio.
A Cassano saranno ancora presenti, per presentare le loro opere, gli scrittori Ferdinando Boero, Gian Antonio Stella, Lorenzo Del Boca, Gianrico Carofiglio, Marco Brando, Giordano Bruno Guerri, Roberto Lorusso.
Il Festival del Libro è iniziato il 13 luglio e terminerà il 30 dello stesso mese. Creatore ed animatore dell’importante evento è Silvio Missoni, assessore alla Cultura del Comune di Cassano. Il Festival è stato organizzato dal Comune, in grande economia, con qualche contributo esterno. Esempio di soldi ben spesi.
20 luglio 2007
Il prete brigante - una storia del Sud
Nell’ambito delle manifestazioni “Grottaglie d’estate 2007”, è stato rappresentato mercoledì 18 luglio lo spettacolo teatrale “Il prete brigante - una storia del Sud” di Mimmo Fornaro, con la regia di Alfredo Traversa, a cura della Compagnia “Cesare Giulio Viola” di Taranto.
Scenario naturale era il giardino Mediterraneo del Castello Episcopio, con le sue piante di ficodindia, uva a pergola, fichi, edera, e con fondale un antico muro di pietra e tufo.
La storia è tratta da un poemetto in dialetto del contadino cantastorie Leonardo Arcadio, vissuto a Grottaglie all’epoca dei fatti narrati. L’inquadramento storico è fornito dalla biografia del prete brigante (Don Ciro Annicchiarico 1775-1818) scritta da Rosario Quaranta.
La notte del 16 luglio 1803 viene ucciso don Giuseppe Motolese, contendente dell’Annicchiarico dei favori della bella Antonia Zaccaria (la Curciòla). Viene accusato del delitto Don Ciro, che viene arrestato e condannato a 15 anni di galera. Don Ciro, che si proclamò sempre innocente di questo delitto, si dette alla macchia e divenne capo di una banda di briganti. Tradito dai suoi venne arrestato presso la masseria Scasserba e fucilato a Francavilla Fontana l’8 febbraio 1818.
Un cantastorie porta in giro sul suo carro un gruppo di attori-burattini, con i quali racconta la storia del prete brigante, Papa Ggiru. Il racconto tenta di mettere insieme, in un unicum artistico, recitazione, musiche in diretta, costumi, coreografia. Non sempre il risultato è buono, però. Vi è qualche caduta di stile. Qualche parte deve essere limata e migliorata.
Vengono portate in scena le differenze di classe, sempre esistite, tra ricchi e poveri. E i tentativi di questi ultimi di reagire e ribellarsi, senza alcuna speranza di riuscita però. La storia non viene scritta per i poveri.
Il brigantaggio assumerà una sua più precisa connotazione sociale e politica a cavallo degli anni che portarono all’unità d’Italia: 1860/1870, quando il fenomeno da sporadico ed individuale diventerà corale e di massa. Ma nemmeno allora i poveri riuscirono a riscattarsi dalla loro condizione di sottomissione e sfruttamento.
Attori, molto apprezzati ed applauditi: Daniela Figliola, Mimmo Fornaio, Claudio Genga, Mariangela Lincesso, Marina Lupo, Franco Nacca, Maria Pugliese, Tiziana Risolo, Vincenzo Raimondi; percussioni e musiche originali: Mimmo Gori.
Il prete brigante (video)
Scenario naturale era il giardino Mediterraneo del Castello Episcopio, con le sue piante di ficodindia, uva a pergola, fichi, edera, e con fondale un antico muro di pietra e tufo.
La storia è tratta da un poemetto in dialetto del contadino cantastorie Leonardo Arcadio, vissuto a Grottaglie all’epoca dei fatti narrati. L’inquadramento storico è fornito dalla biografia del prete brigante (Don Ciro Annicchiarico 1775-1818) scritta da Rosario Quaranta.
La notte del 16 luglio 1803 viene ucciso don Giuseppe Motolese, contendente dell’Annicchiarico dei favori della bella Antonia Zaccaria (la Curciòla). Viene accusato del delitto Don Ciro, che viene arrestato e condannato a 15 anni di galera. Don Ciro, che si proclamò sempre innocente di questo delitto, si dette alla macchia e divenne capo di una banda di briganti. Tradito dai suoi venne arrestato presso la masseria Scasserba e fucilato a Francavilla Fontana l’8 febbraio 1818.
Un cantastorie porta in giro sul suo carro un gruppo di attori-burattini, con i quali racconta la storia del prete brigante, Papa Ggiru. Il racconto tenta di mettere insieme, in un unicum artistico, recitazione, musiche in diretta, costumi, coreografia. Non sempre il risultato è buono, però. Vi è qualche caduta di stile. Qualche parte deve essere limata e migliorata.
Vengono portate in scena le differenze di classe, sempre esistite, tra ricchi e poveri. E i tentativi di questi ultimi di reagire e ribellarsi, senza alcuna speranza di riuscita però. La storia non viene scritta per i poveri.
Il brigantaggio assumerà una sua più precisa connotazione sociale e politica a cavallo degli anni che portarono all’unità d’Italia: 1860/1870, quando il fenomeno da sporadico ed individuale diventerà corale e di massa. Ma nemmeno allora i poveri riuscirono a riscattarsi dalla loro condizione di sottomissione e sfruttamento.
Attori, molto apprezzati ed applauditi: Daniela Figliola, Mimmo Fornaio, Claudio Genga, Mariangela Lincesso, Marina Lupo, Franco Nacca, Maria Pugliese, Tiziana Risolo, Vincenzo Raimondi; percussioni e musiche originali: Mimmo Gori.
Il prete brigante (video)
15 luglio 2007
Voci di Luna - Musiche da film
Anche la musica è cultura. A Villa Castelli, in provincia di Brindisi, l’estate culturale, programmata e patrocinata dall’amministrazione comunale, è iniziata con un concerto di flauto (Francesca Salvemini) e pianoforte (Silvana Libardo), venerdì 13 luglio 2007. Sono state eseguite musiche da colonne sonore di film famosissimi. Gli autori erano Cipriani, Rota, Micaliazzi, Trovajoli, Oliviero, Ortolani, Morricone, Salvemini, Bacalov. I brani eseguiti sono stati: Anonimo veneziano, Amarcord, Parla più piano, Il valzer del gattopardo, La dolce vita, Otto e mezzo, L’ultima neve di primavera, Roma nun fa’ la stupida stasera, Ti guarderò nel cuore, C’era una volta il west, Il etait une fois la revolution, Love theme, Gabriel’s oboe, Playng love, Tema di Cecco, Tragico risveglio notturno, Dedicato ad una stella, Il postino.
Tutti i brani sono raccolti in un CD intitolato “Voci di Luna”, pubblicato dall’etichetta “Velut Luna” di Casalserugo di Padova.
Il duo ha suonato con un affiatamento eccezionale; le due artiste sono tra l’altro madre (pianoforte) e figlia (flauto). Sono riuscite a creare un’atmosfera affascinante e coinvolgente. I titoli posseduti sono di livello molto alto. La flautista Francesca Salvemini ha studiato nei conservatori di Lecce, Milano, Ginevra; ha suonato oltre che in Italia, anche in Francia, Germania, Spagna, Belgio, Svizzera, Olanda, Turchia, Romania, Polonia, Stati Uniti, Brasile, Argentina; conseguendo tantissimi premi. La pianista Silvana Libardo si è formata nel conservatorio di Bari, perfezionandosi a Roma; ha svolto attività didattica, come docente, a Lecce, Roma, Molfetta, Pugnochiuso, S. Maria in Brasile, Resistencia in Argentina, Macon e San Antonio in USA, Bruxelles; ha svolto un’intensa attività concertistica, come solista, con formazioni cameristiche ed orchestre; è fondatrice e direttore artistico dell’Associazione artistico musicale “Nino Rota” di Brindisi.
Il concerto è stato tenuto nell’aula consiliare del Comune. Il pubblico, numeroso, ha apprezzato ed ha applaudito con entusiasmo.
La serata è stata organizzata dall’Associazione culturale “l’altro suono”, diretta dai maestri Mino La Penna ed Angelo Pignatelli.
Tutti i brani sono raccolti in un CD intitolato “Voci di Luna”, pubblicato dall’etichetta “Velut Luna” di Casalserugo di Padova.
Il duo ha suonato con un affiatamento eccezionale; le due artiste sono tra l’altro madre (pianoforte) e figlia (flauto). Sono riuscite a creare un’atmosfera affascinante e coinvolgente. I titoli posseduti sono di livello molto alto. La flautista Francesca Salvemini ha studiato nei conservatori di Lecce, Milano, Ginevra; ha suonato oltre che in Italia, anche in Francia, Germania, Spagna, Belgio, Svizzera, Olanda, Turchia, Romania, Polonia, Stati Uniti, Brasile, Argentina; conseguendo tantissimi premi. La pianista Silvana Libardo si è formata nel conservatorio di Bari, perfezionandosi a Roma; ha svolto attività didattica, come docente, a Lecce, Roma, Molfetta, Pugnochiuso, S. Maria in Brasile, Resistencia in Argentina, Macon e San Antonio in USA, Bruxelles; ha svolto un’intensa attività concertistica, come solista, con formazioni cameristiche ed orchestre; è fondatrice e direttore artistico dell’Associazione artistico musicale “Nino Rota” di Brindisi.
Il concerto è stato tenuto nell’aula consiliare del Comune. Il pubblico, numeroso, ha apprezzato ed ha applaudito con entusiasmo.
La serata è stata organizzata dall’Associazione culturale “l’altro suono”, diretta dai maestri Mino La Penna ed Angelo Pignatelli.
13 luglio 2007
“Maledetti Savoia” di Lorenzo Del Boca
«Dov’è l’Italia?», si chiede Lorenzo Del Boca nell’ultimo capitolo del suo libro. E la risposta che si dà è: «Chi cerca l’Italia non la trova, forse perché non esiste».
Esistono tanti italiani, con le loro accentuate differenze di tradizioni socio-culturali, di differenze linguistiche e dialettali, di differenze comportamentali. L’Unità d’Italia ancora non esiste e forse non esisterà mai.
«L’Unità d’Italia – scrive Del Boca – è stato uno slogan con cui la mitologia del Risorgimento ha giustificato un capitolo di storia del tricolore». A partire dal 1860, l’Italia non piemontese non è stata liberata, ma conquistata. Le regioni meridionali non sono state unite nell’unica Italia, ma annesse. L’Italia del Sud e la sua gente sono state maltrattate, anche in modo volgare. Per infangare l’immagine di Francesco II, cacciato dal suo Regno delle due Sicilie, i servizi segreti piemontesi misero in giro una serie di fotomontaggi di sua moglie, la regina Maria Sofia, in atteggiamenti pornografici.
I malanni dell’Italia di oggi sono figli di quella di ieri. La storia ufficiale ha nascosto truffe, imbrogli, bugie, mistificazioni. L’Italia dell’Ottocento è ricca di politici corrotti, di ufficiali mestatori, di traffichini di regime, di burocrati inefficienti, di magistrati senza giustizia.
Ma sono ormai molti gli studiosi che cominciano a rileggere la storia con più attenzione e con uno sguardo più critico.
E’ ormai accertato che l’incontro di Teano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II è un falso storico. In realtà l’incontro è avvenuto a Vairano. E la scena fu goffa ed impacciata. Niente a che fare con l’affresco che il pittore Pietro Aldi disegnò sulla parete del municipio di Siena, a cominciare dall’iconografia dei due personaggi, che sono stati idealizzati come tutti i fatti del Risorgimento.
Vittorio Emanuele II era un poco di buono. Usava il lucido delle scarpe per annerirsi i pochi capelli che gli rimanevano. Vittorio Emanuele considerava la cultura una perdita di tempo; i libri lo innervosivano. Era un campione delle scappatelle; approfittando della sua posizione si faceva tutte le ragazzotte che gli capitavano a tiro. Consumava ingenti somme per cavalli, cani e favorite (più o meno puttane). I soldi non gli bastavano mai. E Vittorio Emanuele pagava con i soldi degli italiani, spremuti con tante tasse.
Vittorio Emanuele II diventò re d‘Italia quasi per caso, usato per loro comodo da altri veri regnanti.
Massimo d’Azeglio, nel suo diario, ipotizza addirittura che Vittorio Emanuele non fosse nemmeno lui, perché quello vero sarebbe morto in un incendio provocato dalla nutrice, e segretamente sostituito con il figlio di un macellaio di Porta Romana a Firenze.
E Garibaldi, chi era? «Un babbeo», secondo Maxime du Camp, uno scrittore francese che aveva vestito la camicia rossa. «Una canna al vento», secondo Giuseppe Mazzini. «Rozzo e incolto», secondo Denis Mack Smith. «Un onesto pasticcione», secondo Indro Montanelli. Tracagnotto e con le gambe corte. Amava l’odore della polvere da sparo e il profumo dei capelli delle signorine; passava indifferentemente dal clangore delle battaglie alle fatiche fra le lenzuola. Gli vengono attribuiti una dozzina di figli fra legali, mezzi legali e illegittimi.
La spedizione dei Mille in realtà, forse, fu solo una farsa. Non ci sarebbe stata la conquista del regno delle due Sicilie se non si fossero unite le convenienze degli inglesi e della mafia meridionale, che finanziarono ed appoggiarono l’impresa. I loro interessi non erano più compatibili con la monarchia dei Borboni. Ammiragli, capitani, generali dell’esercito borbonico furono comprati a peso doro; scapparono anziché difendere ed attaccare. I 100.000 soldati dell’esercito borbonico, se avessero voluto, avrebbero potuto fare a pezzi i mille garibaldini.
Altra farsa fu quella del plebiscito del 21 ottobre 1860, con il quale i meridionali del Regno delle Due Sicilie avrebbero votato l’annessione al Piemonte. Non ci si preoccupò nemmeno di dare una parvenza di consultazione democratica.
Le promesse di Garibaldi e dei piemontesi rimasero solo parole vuote. Le terre non vennero distribuite ai contadini. Le tasse non diminuirono, anzi ne vennero istituite delle nuove. I nuovi padroni non si preoccuparono nemmeno di nascondere gli atteggiamenti, il disprezzo, la supponenza propria degli invasori. I ricchi rimasero ricchi e i poveri divennero più poveri.
E i meridionali cercarono di difendersi. Si nascosero nei boschi e usarono le armi. Non potevano ricevere bastonate ed esseri contenti. Fu una reazione popolare, che durò parecchi anni. I meridionali divennero tutti “briganti”.
Ma il nuovo Stato, straniero per la maggioranza dei meridionali, usò le maniere forti. Fu una mattanza ed un massacro. Quasi un milione di italiani del Sud, considerati tutti briganti, furono ammazzati.
Il libro di Del Boca affronta tanti altri argomenti, dei quali cito solo i titoli: la mafia in campo, un parlamento da operetta, Sicilia senza pace, ferrovie: un affare milionario, Regie Tabaccherie in fumo, il crack della Banca Romana.
“Maledetti Savoia”, che porta il sottotitolo “Il vero Risorgimento non è quello che ci hanno insegnato a scuola”, è un libro che dovrebbe essere letto da tutti. Per conoscere la verità.
Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia, Edizioni Piemme, 1998, (V Edizione Pocket 2005), pp. 287, € 7,90
Esistono tanti italiani, con le loro accentuate differenze di tradizioni socio-culturali, di differenze linguistiche e dialettali, di differenze comportamentali. L’Unità d’Italia ancora non esiste e forse non esisterà mai.
«L’Unità d’Italia – scrive Del Boca – è stato uno slogan con cui la mitologia del Risorgimento ha giustificato un capitolo di storia del tricolore». A partire dal 1860, l’Italia non piemontese non è stata liberata, ma conquistata. Le regioni meridionali non sono state unite nell’unica Italia, ma annesse. L’Italia del Sud e la sua gente sono state maltrattate, anche in modo volgare. Per infangare l’immagine di Francesco II, cacciato dal suo Regno delle due Sicilie, i servizi segreti piemontesi misero in giro una serie di fotomontaggi di sua moglie, la regina Maria Sofia, in atteggiamenti pornografici.
I malanni dell’Italia di oggi sono figli di quella di ieri. La storia ufficiale ha nascosto truffe, imbrogli, bugie, mistificazioni. L’Italia dell’Ottocento è ricca di politici corrotti, di ufficiali mestatori, di traffichini di regime, di burocrati inefficienti, di magistrati senza giustizia.
Ma sono ormai molti gli studiosi che cominciano a rileggere la storia con più attenzione e con uno sguardo più critico.
E’ ormai accertato che l’incontro di Teano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II è un falso storico. In realtà l’incontro è avvenuto a Vairano. E la scena fu goffa ed impacciata. Niente a che fare con l’affresco che il pittore Pietro Aldi disegnò sulla parete del municipio di Siena, a cominciare dall’iconografia dei due personaggi, che sono stati idealizzati come tutti i fatti del Risorgimento.
Vittorio Emanuele II era un poco di buono. Usava il lucido delle scarpe per annerirsi i pochi capelli che gli rimanevano. Vittorio Emanuele considerava la cultura una perdita di tempo; i libri lo innervosivano. Era un campione delle scappatelle; approfittando della sua posizione si faceva tutte le ragazzotte che gli capitavano a tiro. Consumava ingenti somme per cavalli, cani e favorite (più o meno puttane). I soldi non gli bastavano mai. E Vittorio Emanuele pagava con i soldi degli italiani, spremuti con tante tasse.
Vittorio Emanuele II diventò re d‘Italia quasi per caso, usato per loro comodo da altri veri regnanti.
Massimo d’Azeglio, nel suo diario, ipotizza addirittura che Vittorio Emanuele non fosse nemmeno lui, perché quello vero sarebbe morto in un incendio provocato dalla nutrice, e segretamente sostituito con il figlio di un macellaio di Porta Romana a Firenze.
E Garibaldi, chi era? «Un babbeo», secondo Maxime du Camp, uno scrittore francese che aveva vestito la camicia rossa. «Una canna al vento», secondo Giuseppe Mazzini. «Rozzo e incolto», secondo Denis Mack Smith. «Un onesto pasticcione», secondo Indro Montanelli. Tracagnotto e con le gambe corte. Amava l’odore della polvere da sparo e il profumo dei capelli delle signorine; passava indifferentemente dal clangore delle battaglie alle fatiche fra le lenzuola. Gli vengono attribuiti una dozzina di figli fra legali, mezzi legali e illegittimi.
La spedizione dei Mille in realtà, forse, fu solo una farsa. Non ci sarebbe stata la conquista del regno delle due Sicilie se non si fossero unite le convenienze degli inglesi e della mafia meridionale, che finanziarono ed appoggiarono l’impresa. I loro interessi non erano più compatibili con la monarchia dei Borboni. Ammiragli, capitani, generali dell’esercito borbonico furono comprati a peso doro; scapparono anziché difendere ed attaccare. I 100.000 soldati dell’esercito borbonico, se avessero voluto, avrebbero potuto fare a pezzi i mille garibaldini.
Altra farsa fu quella del plebiscito del 21 ottobre 1860, con il quale i meridionali del Regno delle Due Sicilie avrebbero votato l’annessione al Piemonte. Non ci si preoccupò nemmeno di dare una parvenza di consultazione democratica.
Le promesse di Garibaldi e dei piemontesi rimasero solo parole vuote. Le terre non vennero distribuite ai contadini. Le tasse non diminuirono, anzi ne vennero istituite delle nuove. I nuovi padroni non si preoccuparono nemmeno di nascondere gli atteggiamenti, il disprezzo, la supponenza propria degli invasori. I ricchi rimasero ricchi e i poveri divennero più poveri.
E i meridionali cercarono di difendersi. Si nascosero nei boschi e usarono le armi. Non potevano ricevere bastonate ed esseri contenti. Fu una reazione popolare, che durò parecchi anni. I meridionali divennero tutti “briganti”.
Ma il nuovo Stato, straniero per la maggioranza dei meridionali, usò le maniere forti. Fu una mattanza ed un massacro. Quasi un milione di italiani del Sud, considerati tutti briganti, furono ammazzati.
Il libro di Del Boca affronta tanti altri argomenti, dei quali cito solo i titoli: la mafia in campo, un parlamento da operetta, Sicilia senza pace, ferrovie: un affare milionario, Regie Tabaccherie in fumo, il crack della Banca Romana.
“Maledetti Savoia”, che porta il sottotitolo “Il vero Risorgimento non è quello che ci hanno insegnato a scuola”, è un libro che dovrebbe essere letto da tutti. Per conoscere la verità.
Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia, Edizioni Piemme, 1998, (V Edizione Pocket 2005), pp. 287, € 7,90
5 luglio 2007
Siamo borbonici e non asini
La sconfitta dei Borboni non fu provocata dallo slancio dei garibaldini né dal valore delle loro armi. Fu letteralmente comprata a peso d’oro. Ammiragli e capitani di vascelli, in mare, generali e tenenti effettivi, sulla terraferma, concordarono il prezzo per ritirare le loro truppe davanti al nemico, scappando invece di attaccare.
Non ci sarebbe stata conquista del regno delle due Sicilie se non si fossero unite le convenienze inglesi con quelle della mafia meridionale e se, gli uni e l’altra, non avessero finanziato e soccorso il movimento garibaldino.
Gli inglesi investirono nell’operazione circa 29 (ventinove) miliardi delle nostre vecchie lire.
A fare queste affermazioni non è stato un leghista del nord o del sud o un neoborbonico, ma Lorenzo Del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, in carica ormai da più di un decennio.
Garibaldi quindi è stato semplicemente un «onesto babbeo», come scrisse il garibaldino scrittore francese Maxime du Camp. In pratica un utile idiota, direi io.
Meravigliano quindi le improvvide celebrazioni in atto per il secondo centenario della nascita del montato «eroe dei due mondi», con grande sperpero di denaro pubblico, soldi questa volta non degli inglesi ma degli italiani uniti.
Meraviglia pure il grande battage pubblicitario che tutti i giornali italiani stanno facendo per la commemorazione. Persino l’Unità ha messo in vendita in allegato un libro su Garibaldi.
Anzi, il giornale fondato da Gramsci ha pubblicato un articolo nel quale Bruno Gravagnuolo dà dell’asino a chi non si accoda ad incensare Garibaldi, informandoci che Garibaldi aveva battezzato due suoi muli coi nomi di Napoleone III e Pio IX e «non immaginava proprio – aggiunge – quanti asini avrebbe dovuto battezzare e collezionare duecento anni dopo la sua nascita». Io quando avrò un asino lo battezzerò Gravagnuolo.
Mi chiedo su quali libri di storia si sia formato questo giornalista garibaldino. Suppongo su vecchi libri agiografici del Risorgimento. Qualcuno lo informi che la storiografia su tale periodo è andata molto avanti. Il vero Risorgimento non è quello che ci hanno insegnato a scuola.
Concordo con Beppe Grillo, che peraltro seguo poco, quando afferma: «A scuola il Borbone è il cattivo e il Savoia il buono. Stato borbonico è sinonimo di degrado delle istituzioni. Brigante di protomafioso. Forse vanno cambiati i testi di scuola oltre al significato delle parole. Rivalutati i patrioti che persero la vita contro l’esercito piemontese. Forse dobbiamo raccontarci un’altra storia. In cui il Risorgimento è stato in parte, in gran parte, espansionismo di una dinastia. Che ci ha lasciato in eredità l’emigrazione di milioni di persone che fuggivano dalla fame, due guerre mondiali, il fascismo».
Ed allora, siamo borbonici e non asini.
Non ci sarebbe stata conquista del regno delle due Sicilie se non si fossero unite le convenienze inglesi con quelle della mafia meridionale e se, gli uni e l’altra, non avessero finanziato e soccorso il movimento garibaldino.
Gli inglesi investirono nell’operazione circa 29 (ventinove) miliardi delle nostre vecchie lire.
A fare queste affermazioni non è stato un leghista del nord o del sud o un neoborbonico, ma Lorenzo Del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, in carica ormai da più di un decennio.
Garibaldi quindi è stato semplicemente un «onesto babbeo», come scrisse il garibaldino scrittore francese Maxime du Camp. In pratica un utile idiota, direi io.
Meravigliano quindi le improvvide celebrazioni in atto per il secondo centenario della nascita del montato «eroe dei due mondi», con grande sperpero di denaro pubblico, soldi questa volta non degli inglesi ma degli italiani uniti.
Meraviglia pure il grande battage pubblicitario che tutti i giornali italiani stanno facendo per la commemorazione. Persino l’Unità ha messo in vendita in allegato un libro su Garibaldi.
Anzi, il giornale fondato da Gramsci ha pubblicato un articolo nel quale Bruno Gravagnuolo dà dell’asino a chi non si accoda ad incensare Garibaldi, informandoci che Garibaldi aveva battezzato due suoi muli coi nomi di Napoleone III e Pio IX e «non immaginava proprio – aggiunge – quanti asini avrebbe dovuto battezzare e collezionare duecento anni dopo la sua nascita». Io quando avrò un asino lo battezzerò Gravagnuolo.
Mi chiedo su quali libri di storia si sia formato questo giornalista garibaldino. Suppongo su vecchi libri agiografici del Risorgimento. Qualcuno lo informi che la storiografia su tale periodo è andata molto avanti. Il vero Risorgimento non è quello che ci hanno insegnato a scuola.
Concordo con Beppe Grillo, che peraltro seguo poco, quando afferma: «A scuola il Borbone è il cattivo e il Savoia il buono. Stato borbonico è sinonimo di degrado delle istituzioni. Brigante di protomafioso. Forse vanno cambiati i testi di scuola oltre al significato delle parole. Rivalutati i patrioti che persero la vita contro l’esercito piemontese. Forse dobbiamo raccontarci un’altra storia. In cui il Risorgimento è stato in parte, in gran parte, espansionismo di una dinastia. Che ci ha lasciato in eredità l’emigrazione di milioni di persone che fuggivano dalla fame, due guerre mondiali, il fascismo».
Ed allora, siamo borbonici e non asini.
2 luglio 2007
Operazione Speciale
Per chi gioca il generale Speciale?
Ovviamente non per l’attuale maggioranza governativa, avendo denunciato Prodi e Padoa-Schioppa.
E’ poco credibile che giochi solo per se stesso, avendo egli affidato l’incarico di suo portavoce ad un politico transfuga dall’Italia dei Valori alla Casa della pseudo libertà.
Ed allora non resta che prendere atto che lui gioca per l’attuale opposizione parlamentare, cioè per Berlusconi.
E’ la prima volta che accade, in Italia, che un generale faccia causa ad un governo in carica.
La motivazione della querela rivolta dal generale contro il presidente del consiglio ed il ministro dell’economia è «per diffamazione e calunnia».
Io credo invece che Padoa-Schioppa abbia tutti i documenti necessari per poter affermare che il generale Speciale abbia gestito il suo ufficio in modo personalistico ed anomalo, contro ogni regola ed ogni normale procedura. A questo proposito andatevi a leggere anche voi il documento di 22 pagine, depositato da Padoa-Schioppa in Senato, con tutte le accuse al generale Speciale.
Concordo con Padoa-Schioppa quando afferma: «Là dove sono i generali o i colonnelli a determinare la sorte dei governanti e non viceversa siamo fuori della democrazia».
Forse, come è stato detto, ci troviamo di fronte a rivelazioni truccate di un generale, nel tentativo di abbattere un governo.
E’ ovvio che questo non potrà avvenire per via giudiziaria. Le valutazioni politiche del governo, espresse in Parlamento, sono penalmente insindacabili.E suppongo che chi consiglia Speciale queste cose le sappia. Ma tutto serve ad alzare polveroni. A screditare le istituzioni. A creare confusione. Ad abbattere la normale dialettica democratica. Viviamo ancora in tempi bui. Lo smog lanciato da Berlusconi nella politica italiana non si è ancora diradato. Bisogna continuare a vigilare e non abbandonare il campo.
Ovviamente non per l’attuale maggioranza governativa, avendo denunciato Prodi e Padoa-Schioppa.
E’ poco credibile che giochi solo per se stesso, avendo egli affidato l’incarico di suo portavoce ad un politico transfuga dall’Italia dei Valori alla Casa della pseudo libertà.
Ed allora non resta che prendere atto che lui gioca per l’attuale opposizione parlamentare, cioè per Berlusconi.
E’ la prima volta che accade, in Italia, che un generale faccia causa ad un governo in carica.
La motivazione della querela rivolta dal generale contro il presidente del consiglio ed il ministro dell’economia è «per diffamazione e calunnia».
Io credo invece che Padoa-Schioppa abbia tutti i documenti necessari per poter affermare che il generale Speciale abbia gestito il suo ufficio in modo personalistico ed anomalo, contro ogni regola ed ogni normale procedura. A questo proposito andatevi a leggere anche voi il documento di 22 pagine, depositato da Padoa-Schioppa in Senato, con tutte le accuse al generale Speciale.
Concordo con Padoa-Schioppa quando afferma: «Là dove sono i generali o i colonnelli a determinare la sorte dei governanti e non viceversa siamo fuori della democrazia».
Forse, come è stato detto, ci troviamo di fronte a rivelazioni truccate di un generale, nel tentativo di abbattere un governo.
E’ ovvio che questo non potrà avvenire per via giudiziaria. Le valutazioni politiche del governo, espresse in Parlamento, sono penalmente insindacabili.E suppongo che chi consiglia Speciale queste cose le sappia. Ma tutto serve ad alzare polveroni. A screditare le istituzioni. A creare confusione. Ad abbattere la normale dialettica democratica. Viviamo ancora in tempi bui. Lo smog lanciato da Berlusconi nella politica italiana non si è ancora diradato. Bisogna continuare a vigilare e non abbandonare il campo.