19 gennaio 2020

In nome di Francesco Re, di Vincenzo Santoro

È un romanzo storico in cui si racconta la storia del pugliese sergente Pasquale Romano, che con la sua banda brigantesca combatte contro gli usurpatori piemontesi. Vengono raccontate le gesta di personaggi che ormai fanno parte della vera storia (Crocco, Ninco Nanco, Coppolone, Pizzichicchio, Nenna Nenna, Capraro, La Veneziana), mescolati con fatti e vicende verosimili frutto di fantasia.
     Francesco Romano, come il padre, faceva il pastore. All’età di diciotto anni decise di arruolarsi volontario nella carriera militare. Ottenne la nomina a Primo Sergente e la qualifica di Alfiere nella compagnia a cavallo. Era vicino a diventare ufficiale quando il sogno fu troncato. Ritiratosi il re borbone Francesco II nella fortezza di Gaeta, sciolta la compagnia, ritornò nel suo paese, Gioia del Colle in Terra di Bari. Aveva due sorelle.
     A Gioia fu costituito un Comitato Borbonico, che elesse come suo comandante l’ex sergente. Dopo l’uccisione del caporale della guardia nazionale Teodorico Prisciantelli, ad opera di quattro sbandati aggregatisi alla compagnia del Romano, quest’ultimo benché fosse contrario abbracciò la volontà della maggioranza e decise di attaccare Gioia, che resistette. Anzi vi fu una contro rappresaglia da parte dei piemontesi e dei suoi alleati; molti resistenti furono fucilati. Il Romano riuscì a fuggire.
     Pasquale incontra Crocco e Borges a Lagopesole, per concertare sul da farsi. Ma il sergente rimase deluso della inconsistenza dei programmi concreti dello spagnolo. Crocco offrì una cena, durante la quale si continuò a parlare del futuro. Pasquale ricordò che un tempo in Inghilterra visse Robin Hood che toglieva ai ricchi per dare ai poveri; “ma adesso – aggiunse – la situazione è diversa: non siamo noi a dover aiutare i contadini, ma sarà il nostro re Francesco, non appena tornerà sul trono”.
     Romano assaltò con successo Alberobello, Carovigno, Grottaglie; avrebbe voluto unire la sua comitiva a quella di Crocco, ma quest’ultimo non accettò. La comitiva del sergente subì una grave sconfitta alla masseria dei Monaci di San Domenico.
     Pasquale Romano fu ucciso nel bosco di Vallata con una sciabolata in mezzo alla fronte da un brigadiere piemontese. Il suo corpo fu portato in macabro corteo a dorso d’un asino, con i piedi e la testa all’ingiù, a Gioia del Colle; un vecchio disse che non era stato ucciso il sergente, ma uno che gli somigliava.
     Nel romanzo si narra diffusamente dell’amore fra Pasquale e Laura, figlia di don Ciccio d’Onghia, un ricco commerciante di stoffe. Amore anche fisico. Alla vista del suo uomo sfigurato nel volto e la testa spaccata, Laura «si portò una mano sul petto e, senza un solo gemito, s’afflosciò sulle gambe a due passi da lui. Mentre toccava il suolo, il suo cuore cessò di battere».
     Il libro si chiude con Titta, Giambattista, studente di medicina a Napoli, figlio del dottor Musci di Gioia del Colle. Dopo aver fatto parte della banda Romano, spinto da quest’ultimo, divenne emigrante verso le Americhe.
Rocco Biondi

Vincenzo Santoro, In nome di Francesco Re. L’epopea dei perdenti all’indomani della fine del Regno delle Due Sicilie, Capone Editore, Cavallino di Lecce 1999, pp. 184

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