27 dicembre 2017

Le Memorie di una Brigantessa, di Vincenzo Labanca



Serafina Ciminelli, brigantessa postunitaria davvero esistita, e Giulia Siepelunga, studentessa universitaria di Bologna, sono le protagoniste del romanzo, il secondo della trilogia sul Brigantaggio di Vincenzo Labanca. Giulia, preparando la tesi di laurea sul brigantaggio, scende in Lucania nel 1885 per visitare i luoghi in cui i Briganti agirono. Incontra Serafina, che le racconta la sua triste storia, nel carcere femminile di Potenza, dove ha trascorso venti anni di carcere.
     Altro personaggio del romanzo è Matteo, un giovane lucano studente universitario, che nel 1978 si trasferisce all’Università di Bologna nel tentativo di superare l’esame di Entomologia per finalmente conseguire la laurea in Agraria. Con sua grande sorpresa gli viene affittata, ad un prezzo irrisorio, una villa di tre piani appena ristrutturata, dotata di tutti i confort e comodità. Nessuno andava ad abitare lì dentro perché si diceva che fosse abitata da due streghe, che nelle notti di plenilunio comparivano nel palazzo illuminato a giorno. Erano le anime di Giulia e Serafina, che chiedevano che la loro storia venisse portata alla luce. E Matteo si infilò nella cappa del camino, tirò fuori il manoscritto e lo lesse.
     Labanca, col suo romanzo storico, pur inventando parecchio, ha voluto ricreare la storia dei briganti raccontandola dalla parte dei vinti, contro i piemontesi vincitori. La spedizione dei Mille, Garibaldi, la legge Pica, l’avventura del Generale spagnolo José Borges, Serafina Ciminelli, Antonio Franco, Carmine Crocco, Fiore Ciminelli, Ninco-Nanco, Egidione e tanti altri, vengono narrati sotto una nuova luce. La memoria del passato deve essere sempre viva se vogliamo avere un futuro migliore.
     L’invenzione di una storia costituisce un pretesto per dire cose nuove, per narrare l’altra faccia della Storia, fatta scrivere dall’inventata Giulia Siepelunga che costituisce l’alter ego di Vincenzo Labanca.
     Serafina, nel romanzo, nasce il 5 febbraio 1840 dal barone Prospero Ciminelli. A sedici anni s’innamorò di Antonio Franco, che “era uno di quei cafoni che si affaccendavano nei campi e che mio padre considerava di sua proprietà”.
     Il padre di Serafina voleva farla sposare con Nicola Grimaldi, che poi divenne Sindaco e Capitano della Guardia Nazionale. Ma vista l’insistenza, per non far diventare contadina la figlia fece diventare galantuomo Antonio, facendolo arruolare nell’esercito borbonico. Ma dopo la resa di Gaeta da parte di Francesco II, Antonio fu arrestato dai piemontesi e trattenuto per un anno in carcere. Ritornato al suo paese, si vendicò di Grimaldi bruciandolo vivo, e si diede alla macchia divenendo brigante. Anche Serafina e suo fratello Fiore divennero briganti, al seguito di Antonio.
     I briganti furono accusati di tutto: massacri, furti, violenze carnali, incendi, mutilazioni, ruberie; ma la stragrande maggioranza delle volte non era vero: la lista dei delitti veniva allungata di tutti i reati rimasti senza colpevole. In realtà i briganti combattevano per la loro libertà e per quella del popolo cui appartenevano. I briganti, diceva Serafina, ci sono sempre stati e sempre ci saranno, ogni volta che a comandare ci saranno dei tiranni. Il Brigante è il figlio del popolo oppresso, è la bandiera della Libertà, è l’illusione della Giustizia. I briganti ci sono ancora. Sono ancora vivi.
     Alla fine di dicembre 1865 Antonio Franco, dopo la sentenza, fu fucilato. Fiore Ciminelli, perché minorenne, fu condannato a dieci anni di lavori forzati. A Serafina Ciminelli, perché donna, furono inflitti venti anni di reclusione.
     Giulia nel 1888 andò a trovare lo scrittore Emilio Salgari e gli disse: “Io ti ho capito. I pirati di cui scrivi nei tuoi libri sono i Briganti e Sandokan in realtà si chiama Carmine Crocco, e Tremal-Naik è Ninco-Nanco”. “Complimenti Giulia, disse Salgari. Hai capito tutto; ma ancora oggi quei personaggi non possono essere chiamati con il loro vero nome, per non finire in manicomio”.
     Serafina, che era stata dichiarata morta in carcere, andò, sotto il nome di Giulia Siepalunga, in America in cerca di suo figlio avuto da Antonio Franco. Giulia, finita in manicomio, fu fatta liberare da un capitano, amico del padre; e alla fine del suo racconto scrive: “Non so se in futuro le cose cambieranno per quei popoli oppressi e martoriati da una conquista mascherata da unificazione”.
Rocco Biondi

Vincenzo Labanca, Le Memorie di una Brigantessa, Zaccara Editore, Lagonegro (PZ) 2003, pp. 334

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