12 novembre 2017

Prete brigante, di Corrado Santoro



Il prete brigante è don Donato De Donatis, nato nel 1767 a Fioli, frazione di Rocca Santa Maria, in provincia di Teramo, regione Abruzzo; morto ucciso dai francesi nel 1807. Nel libro si parla dei fatti avvenuti a Teramo, e paesi vicini, dal 6 dicembre 1798 e alla fine di aprile 1799, nei quali il De Donatis ebbe parte importante, in quanto capo degli insorgenti contro i francesi che avevano occupato, in quegli anni, il Regno di Napoli. Cooperò quindi con il cardinale Fabrizio Ruffo alla conquista antifrancese di Napoli, facendo ritornare in quella città il re Ferdinando IV di Borbone.
     Un libro originale, che trasferisce al campo della ricerca storica la metodologia tipica del vecchio rito processuale penale, mutuando da quello lo schema dell’indagine. È un processo immaginario che offre uno spaccato di vita abruzzese e marchigiana, narrando avvenimenti lontani nel tempo, ma ricchi di interesse ancora oggi. Lo scenario è quello di un processo con il presidente, il giudice a latere, la corte popolare, il rappresentante della Pubblica Accusa e il difensore dell’imputato. I testimoni sono storici che hanno scritto di quel periodo, contemporanei ai fatti e successivi fino ai giorni nostri.
     Durante il procedimento penale vengono esaminate le molte accuse contro don Donato De Donatis: usurpazione di comando militare, costituzione di banda armata, devastazione e saccheggio, omicidio plurimo, violenza privata contro i giacobini, truffa e uso di atti falsi.
     Fra i testimoni vi sono, a detta della pubblica accusa, quelli di parte “giacobina” (Tullj e Delle Bocache), di parte “neutrale” (Januarii e Palma), di parte borbonica (De Jacobis).
     Giacinto Tullj è autore del manoscritto “Minuta relazione dei fatti seguiti in Teramo dall’anno 1798 al 1814”.
     Carlo Januarii è autore della cronaca manoscritta dal titolo “Avvenimenti seguiti nel Teramano dal 1798 al 1809”.
     Angelo De Jacobis è autore della relazione manoscritta “Cronaca degli Avvenimenti di Teramo ed altri luoghi degli Abruzzi dal 1796 al 1823”.
     Omobono Delle Bocache è autore della “Cronaca degli Abruzzi (1798/1808)”.
     Niccola Palma è autore dell’opera “Storia Ecclesiastica e Civile della Regione più settentrionale del Regno di Napoli detta dagli Antichi Praetutium, ne’ bassi tempi Aprutium, oggi Città e Diocesi aprutina”.
     Vengono sentiti molti altri testimoni. Fra essi il più significativo è Luigi Coppa Zuccari, che negli anni 1928/1939 pubblica l’opera dal titolo “L’invasione francese negli Abruzzi”, che raccoglie in quattro volumi e ben 5035 pagine tutto ciò che è stato scritto e quasi tutti i documenti di quel drammatico periodo storico. Viene ascoltato anche il generale Pietro Colletta, che partecipò alla difesa della Repubblica Partenopea (proclamata a Napoli nel 1799 ed esistita per alcuni mesi) e fu autore dell’opera dal titolo “Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825”.
     Si parla, per l’accusa, della Ragione illuministica, di Napoleone Bonaparte, dell’Armata d’Italia, della bandiera tricolore italiana, della Repubblica Partenopea, di Eleonora Fonseca Pimental.
     Per la difesa, si parla di briganti: Giuseppe Costantini (Sciabolone), Giovanni Fontana e figli, Gennaro soprannominato Cappuccino, del vescovo di Teramo: monsignor Luigi Maria Pirelli.
     Nella discussione finale viene data la parola alla pubblica accusa, che si scaglia contro l’imputato De Donatis, facendo proprio quanto detto e scritto dai testimoni d’accusa. A cominciare dal Tullj, che durante l’interrogatorio aveva esclamato: «Quali orridi ceffi si vedevano nella masnada di De Donatis! I mostri dell’Africa avevano l’aspetto meno truce di coloro». E ancora: «La vita, che menava il De Donatis, fatto prelato, è quella di un immondo animale».
     La perorazione della difesa, a favore del De Donatis, si sviluppa in ben cinque udienze. Questo intervento, che l’autore Santoro magistrato di cassazione fa fare all’avvocato della difesa, è quello che lui pensa del De Donatis e del brigantaggio in generale.
     La difesa, prima di addentrarsi nel processo, parla in rapida sintesi di tre condizioni storico-ambientali nelle quali si muoveva il prete brigante. La prima riguarda le profonde differenze che caratterizzavano l’assetto sociale del Regno di Napoli rispetto a quello della Repubblica francese. La società francese era organizzata in tre “stati”: la nobiltà, il clero, la borghesia, la quale ultima comprendeva le libere professioni e le attività commerciali, artigianali, agricole oltre al popolo minuto. Nel Regno di Napoli invece vi era una profonda frattura fra i due ceti della borghesia: la cosiddetta borghesia appunto ed il popolo minuto. La seconda condizione concerne le ragioni che favorirono la resistenza armata antifrancese delle classi più umili, in risposta alla pessima condotta delle truppe di occupazione. La terza condizione attiene al comportamento del De Donatis che difende il Trono e l’Altare allora esistenti.
     Entrando poi nel merito, l’avvocato della difesa afferma che suo intento non è far assolvere l’imputato per insufficienza di prove, ma accertare le ragioni per le quali un oscuro parroco di montagna sia potuto balzare agli onori della Storia e sia stato addirittura caldamente raccomandato dal Re di Napoli all’attenzione del Pontefice romano.
     La difesa fa notare che le fonti manoscritte sono tutte opera di religiosi (la cultura era appannaggio di pochi e tra questi pochi spiccavano i religiosi); lo stesso Palma era un canonico. Quest’ultimo annotò l’opera del Tullj con glosse chiamate “Note al Tullj”. In esse il Palma mentre prede le distanze dalle valutazione negative sul vescovo Pirelli non fa altrettanto per quanto riguarda il De Donatis.
     La difesa poi prende in esame i singoli capi di accusa, dimostrandone di ognuno l’infondatezza.
     Nel libro non vi è una sentenza conclusiva, che viene lasciata dall’autore al pubblico dei lettori. Noi facciamo nostro quello che l’avvocato difensore afferma nella conclusione della sua lunga arringa: «… è giunto il momento di considerare il De Donatis non già e non soltanto come “prete brigante”, ma anche, e soprattutto, come “prete patriota”». Anzi affermiamo che i due termini, prete brigante e prete patriota, coincidano.
Rocco Biondi

Corrado Santoro, Prete brigante, Edigrafital S.p.A, Sant’Atto di Teramo 1999, pp. 504

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